È un quadro complesso quello che emerge dal documento Sviluppo sostenibile nell’Unione europea – Relazione di monitoraggio 2022 sui progressi compiuti verso il conseguimento degli OSS nel contesto UE pubblicato dall’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea. Si tratta di una panoramica statistica degli avanzamenti dell’Ue verso il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS), nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, il programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.
La relazione, pubblicata annualmente, mostra che negli ultimi cinque anni l’Ue ha compiuto progressi significativi verso il conseguimento di cinque OSS, progressi moderati per quanto riguarda la maggior parte degli altri ma anche alcuni allontanamenti dagli obiettivi.
L’auspicio è che strumenti come NextGenerationEU, adottato dalla Commissione in risposta alla pandemia, e le riforme e gli investimenti previsti dagli Stati membri contribuiranno in futuro al conseguimento degli OSS.
Gli effetti della pandemia sugli obiettivi
Anche se, in seguito alla periodo più difficile della pandemia, si sono riscontrati alcuni effetti positivi sull’ambiente, tra cui la riduzione dell’uso di energia e delle emissioni di gas, “è possibile – scrivono nel report – che queste tendenze a breve termine siano temporanee e che i modelli di consumo tornino ai livelli precedenti la crisi nel periodo successivo alla pandemia”.
D’altra parte, mentre l’attività economica nell’Ue sembrava essersi stabilizzata, le continue ripercussioni sulle catene di approvvigionamento e l’invasione russa dell’Ucraina hanno aumentato l’incertezza della situazione, che si riflette, ad esempio, nell’aumento del tasso di inflazione, in parte dovuto all’aumento dei prezzi dell’energia. Inoltre, non sono ancora emersi alcuni degli effetti a lungo termine della pandemia sul mercato del lavoro, sull’istruzione e sull’economia, oltre che sulle questioni ambientali. Senza contare, purtroppo, le conseguenze di un possibile protrarsi della guerra in Ucraina.
“L’Europa – ha dichiarato Paolo Gentiloni, Commissario per l’Economia – si trova ad affrontare il secondo ‘cigno nero’ in appena tre anni. Tuttavia, pur gestendo l’impatto dello shock economico causato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, non dobbiamo permetterci di perdere di vista il nostro obiettivo di trasformare il modello economico dell’Ue. Dobbiamo invece sentirci motivati a raddoppiare i nostri sforzi per rafforzare la nostra resilienza e la sostenibilità dei nostri processi produttivi e delle nostre attività quotidiane. In questo sforzo collettivo, gli obiettivi di sviluppo sostenibile rimangono la nostra bussola e il nostro metro per misurare il successo.”
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Passi avanti e passi indietro
Tra i progressi significativi, l’Unione Europea annovera, come negli scorsi anni, quelli nel campo della pace e della sicurezza delle persone nel suo territorio, avendo migliorato l’accesso alla giustizia e la fiducia nelle istituzioni (obiettivo di sviluppo sostenibile numero 16). Ma anche verso il raggiungimento degli obiettivi di riduzione della povertà e dell’esclusione sociale (OSS 1), di miglioramento dell’economia e del mercato del lavoro (OSS 8), della produzione di energia pulita e a prezzi accessibili (OSS 7), nonché di promozione dell’innovazione e delle infrastrutture (OSS 9).
Si sono avuti progressi moderati verso gli obiettivi di assicurare salute e benessere (OSS 3), proteggere la vita sott’acqua (OSS 14), raggiungere la parità di genere (OSS 5), promuovere città e comunità sostenibili (OSS 11), ridurre le disuguaglianze (OSS 10), garantire modelli di consumo e produzione responsabili (OSS 12), fornire un’istruzione di qualità (OSS 4), agire per il clima (OSS 13) e porre fine alla fame (OSS 2).
Per quel che riguarda i progressi sui partenariati per lo sviluppo sostenibile (OSS 17) e sull’obiettivo di garantire acqua pulita e servizi igienico-sanitari (OSS 6), si è raggiunta una valutazione neutrale: vale a dire che gli sviluppi sostenibili e non sostenibili sono stati pressoché equivalenti.
Negli ultimi cinque anni, si è però riscontrato anche un leggero allontanamento dai rispettivi obiettivi di sviluppo sostenibile per la protezione dell’ecosistema terreste (OSS 15), il che indica che gli ecosistemi e la biodiversità subiscono ancora la pressione antropica.
Vediamo nel dettaglio i progressi dell’Ue verso alcuni obiettivi.
Energia pulita e accessibile: in linea con l’obiettivo del 2030
L’Ue mira ad aumentare la propria efficienza energetica di almeno il 20% entro il 2020 e del 32,5% entro il 2030.
Come per tutti i dati che hanno a che fare con il periodo pandemico, anche la valutazione sui progressi riguardo all’obiettivo 7, ossia “Energia pulita e accessibile”, è fortemente influenzata dalle misure adottate per contrastare il covid19, dalle restrizioni alla vita pubblica alla riduzione dell’attività economica. Proprio grazie a questo significativo calo del consumo di energia nel 2020, l’Ue è stata in grado di raggiungere il suo obiettivo di efficienza energetica e, secondo il report, sulla base dei progressi compiuti finora sembra essere in linea con l’obiettivo del 2030.
Gli obiettivi sono stati fissati in relazione a delle proiezioni del consumo di energia: entro il 2030, l’Ue non dovrebbe consumare più di 1.128 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) di energia primaria – l’energia che misura la domanda totale di energia domestica – e 846 Mtep di energia finale, cioè l’energia totale consumata dagli utenti finali, che arriva negli edifici (famiglie, industria, agricoltura, servizi commerciali e pubblici) e include anche la trasformazione e la distribuzione. Il consumo di energia primaria dell’Ue ha registrato una tendenza generale al ribasso dal 2005, raggiungendo i 1.236,5 Mtep nel 2020. Nell’intero periodo, il consumo di energia primaria è diminuito del 17,4% mentre il consumo di energia finale è diminuito del 12,9%.
La riduzione del consumo energetico ha influito positivamente anche sui progressi nell’approvvigionamento energetico, con un aumento della quota di energie rinnovabili e una leggera riduzione della dipendenza dell’Ue dalle importazioni di energia da Paesi terzi.
Nonostante la continua crescita delle fonti di energia rinnovabili nell’ultimo decennio, però, le importazioni di combustibili da Paesi terzi – come ben sappiamo – sono rimaste una fonte importante per soddisfare il fabbisogno energetico dell’Ue, contribuendo 57,5% dell’energia disponibile lorda, misurata in base alle importazioni nette (importazioni meno esportazioni) nel 2020. Questa è quasi la stessa quota del 2005, quando le importazioni coprivano 57,8%.
E le rinnovabili? Le importazioni nette, compresi i biocarburanti, rappresentano l’8,5% dell’energia rinnovabile lorda disponibile nel 2020 e solo l’1,7% delle importazioni nette totali.
La tendenza quinquennale dell’accesso all’energia a prezzi accessibili è favorevole, nonostante un recente aumento della percentuale (salita dal 6,9% del 2019 al 8,2% del 2020) di persone che non possono permettersi di mantenere la propria casa adeguatamente calda nel 2020. Dal report fanno però notare che l’aumento dei prezzi dell’energia, già osservato nel 2021, ancora non si riflette su questi dati.
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Si viaggia sempre più in auto
Si registrano dei miglioramenti legati alla qualità della vita nelle città – che attiene all’OSS numero 11,”città e comunità sostenibili” – per quanto riguarda invece la mobilità sostenibile e l’impatto ambientale il quadro è più complesso.
Tra gli anni 1990 e 2020 tutti i settori dell’economia hanno ridotto le loro emissioni di gas serra in questo periodo, tranne i trasporti.
Nonostante il calo del traffico stradale durante la pandemia, le concentrazioni di PM2,5 (particelle di diametro aerodinamico inferiore o uguale ai 2,5 micrometri), non sono diminuite in modo coerente in tutte le città europee. Più in generale, le misure di chiusura introdotte dai Paesi europei per combattere la pandemia nel 2020 hanno portato a una riduzione delle emissioni di inquinanti atmosferici, migliorando la qualità dell’aria, anche se solo temporaneamente: l’inquinamento atmosferico dovuto al trasporto su strada è tornato ad aumentare da settembre del 2021.
Nel 2019, le auto sono state responsabili di 14,9% delle emissioni totali di CO2 nell’Ue. Dal 2000, la quota di autobus e treni nel trasporto interno di passeggeri terrestre è rimasta ben al di sotto del 20%, rappresentando solo il 17,2% nel 2019. Le tendenze a lungo e a breve termine mostrano che queste modalità di trasporto pubblico stanno perdendo quote a favore delle auto: la maggior parte dei viaggi nell’Ue è infatti ancora effettuata in auto.
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Aria irrespirabile
Ogni anno, si stima che l’esposizione all’inquinamento atmosferico provochi sette milioni di morti premature e la perdita di altri milioni di anni di vita sana in tutto il mondo. Nell’Ue, l’esposizione a lungo termine al particolato fine è stata responsabile di circa 307.000 morti premature nel 2019, secondo le stime dell’Agenzia europea dell’Ambiente (AEA).
Dal 2005, il numero di morti premature è diminuito ma questa diminuzione è rallentata dal 2014. Saranno dunque necessari ulteriori sforzi per ridurre le concentrazioni di particolato nell’aria affinché l’Ue possa raggiungere l’obiettivo del 2030 di ridurre l’inquinamento atmosferico di oltre il 55% rispetto al 2005.
Riciclo dei rifiuti urbani: lontani dal 60%
Anche se rifiuti urbani rappresentano meno del 10% del peso dei rifiuti totali prodotti nell’Ue, sono strettamente legati ai modelli di consumo. La gestione sostenibile di questo flusso di rifiuti riduce l’impatto ambientale negativo delle città e delle comunità, ed è per questo che l’Unione Europea ha fissato l’obiettivo di riciclare almeno il 60% dei rifiuti urbani entro il 2030.
L’aumento del tasso di riciclo dei rifiuti nell’Ue è purtroppo rallentato negli ultimi anni, mettendoci fuori strada rispetto al raggiungimento del rispettivo obiettivo. Dal 2000, il tasso di riciclo dei rifiuti urbani è aumentato costantemente dal 27,3% al 47,8% nel 2020. Tuttavia, la tendenza è rallentata dal 2016, con la quota di rifiuti urbani riciclati che è aumentata solo di 1,3 punti percentuali tra il 2016 e il 2020.
Nel 2020, i cittadini dell’Ue hanno prodotto 225.732 mila tonnellate di rifiuti urbani, il che corrisponde a 505 chilogrammi di rifiuti pro capite all’anno anno, aumentati di 25 chili rispetto al 2015.
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Consumi e circolarità tra alti e bassi
Negli ultimi anni, le tendenze relative all’obiettivo 12, “Consumo e produzione responsabili”, sono state contrastanti. Nel 2019, gli utenti finali dell’Ue hanno consumato 6,52 miliardi di tonnellate di materie prime, con un aumento del 5,2% rispetto al 2014.
Come sappiamo, riciclare rifiuti e reimmetterli nell’economia come materie prime seconde è fondamentale per fronteggiare la domanda di materie prime. Tuttavia, mentre la produzione di rifiuti in Ue è in aumento, il tasso di uso circolare dei materiali – in inglese Circular Material Use Rate, CMUR, cioè il contributo dei materiali riutilizzati rapportato all’utilizzo complessivo di materiali – tra il 2005 e il 2020, è passato dall’8,8% al 12,8% ed è cresciuto di solo 1,5 punti percentuali dal 2015.
Una buona notizia viene però dal settore ambientale (in inglese Environmental Goods and Services Sector, EGSS) che è in Ue cresciuto molto più velocemente di altri settori economici: del 66,4% negli ultimi 15 anni, passando da 176,2 miliardi di euro nel 2004 a 293,2 miliardi di euro nel 2019. Questo dato può essere attribuito alla crescita delle energie rinnovabili e all’efficienza energetica, nonché all’aumento della spesa per le infrastrutture verdi. La maggior parte di questa crescita, tuttavia, si è verificata nel periodo fino al 2011. Dal 2004, l’occupazione nel settore è comunque aumentata del 35,8%: nel 2019, il settore impiegava circa 4,5 milioni di persone in tutta l’Ue.
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Le azioni per il clima
La valutazione complessiva dei progressi verso l’obiettivo 13, “Azione per il clima”, è moderatamente positivo, anche se le tendenze nelle aree monitorate su mitigazione, adattamento e finanza mostrano un quadro piuttosto eterogeneo. Sebbene, secondo le stime provvisorie per il 2020, l’Ue abbia già ridotto le sue emissioni nette di gas serra di circa il 31% dal 1990 (GHG), saranno necessari ulteriori progressi per raggiungere il nuovo obiettivo di riduzione del 55% per il 2030, tanto più che si ritiene che le emissioni di gas serra siano aumentate di nuovo nel 2021 con la ripresa economica.
Per quanto riguarda gli impatti climatici e l’adattamento, negli ultimi anni le perdite economiche dovute a catastrofi climatiche e meteorologiche sono aumentate sempre di più. Gli estremi climatici più costosi nel periodo dal 1980 al 2020 sono stati: l’alluvione del 2002 in Europa centrale (oltre 21 miliardi di euro), la siccità e l’ondata di calore del 2003 (quasi 15 miliardi di euro), la tempesta Lothar del 1999 e l’inondazione del 2000 in Francia e in Italia (entrambe 13 miliardi di euro).
Una nota positiva è rappresentata dal numero di firmatari del Patto dei sindaci per il clima e l’energia – istituito nel 2008 – che continua a crescere. Inoltre, c’è da augurarsi che le misure pianificate nei Piani Nazionali per l’Energia e il Clima degli Stati membri influiscano positivamente e in maniera concreta su questo obiettivo.
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