“Gli obiettivi dell’Unione Europea spingono a rivedere i modelli produttivi e tracciano delle nuove linee di sviluppo, basate ad esempio sull’abbandono dei combustibili fossili e a un rafforzamento delle energie alternative, e probabilmente i piani nazionali non sono adeguati a tali scopi. I vari Piani Nazionali Integrati per l’Energia e il Clima dei 27 Stati membri dell’Unione Europea sono molto carenti nel finanziamento della transizione e nel disegno delle politiche necessarie. In questo senso il PNIEC italiano non fa eccezione, e anzi è quello che più di tutti manca di obiettivi dichiarati al 2030”.
All’indomani della diffusione da parte della Commissione europea dei nuovi obiettivi climatici al 2040, il think tank per il clima ECCO ha convocato nella giornata di ieri un incontro con la stampa per illustrare la propria posizione sull’orizzonte forse più cruciale per tutte e tutti noi. Nelle parole di Chiara Di Mambro, responsabile Politiche di Decarbonizzazione di ECCO, emerge la preoccupazione per un Paese, il nostro, che non sembra preparato, e forse neppure realmente invogliato, ad affrontare il cambio di paradigma necessario ad affrontare e arrestare il collasso climatico in atto.
Il punto di partenza è noto: con la bussola della legge europea sul clima, il 6 febbraio la Commissione europea ha presentato la propria raccomandazione sugli obiettivi di decarbonizzazione per il 2040. Nella mole di documenti allegati la Commissione ha analizzato tre possibili scenari di riduzione: fino all’80%, tra l’85% e il 90% e infine tra il 90% e il 95%, rispetto alle emissioni del 1990. Quest’ultimo scenario è coerente con le indicazioni dell’European Scientific Advisory Board on Climate Change (ESABCC), ed è all’interno di questo range che è stato fissato l’obiettivo di riduzione del 90% raccomandato dalla Commissione. Cosa significa concretamente per l’Italia questo obiettivo? E soprattutto: i modi in cui l’Ue intende raggiungere questa nuova riduzione delle emissioni come incideranno sulle politiche nazionali?
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Il contesto europeo sulle emissioni
L’annuncio europeo arriva a pochi mesi di distanza dall’approvazione del Global Stocktake, avvenuto alla Cop28 di Dubai. Previsto già dall’Accordo di Parigi (la Cop21 del 2016), questo “inventario globale” serve a fare il punto sullo stadio di avanzamento delle politiche climatiche e a ricalibrare i piani d’azione nazionali o NDCs (Nationally Determined Contributions) che periodicamente (ogni cinque anni) gli Stati devono consegnare. Come è noto, negli Emirati Arabi Uniti l’Unione Europea spingeva per un abbandono dei combustibili fossili ma alla fine ha prevalso la formula di compromesso “transizione dalle fonti fossili”.
Ecco perché c’era molto attesa sul documento della Commissione europea sugli obiettivi climatici al 2040: si sarebbe proseguiti nell’ambizione o, come hanno mostrato le proteste del mondo agricolo di questi giorni, sarebbero prevalsi i passi indietro? A far propendere per questa seconda ipotesi c’era stata l’anticipazione, poi confermata, secondo la quale i tagli del 30% di emissioni auspicati per il settore agricolo, presenti nella prima bozza, sono stati poi eliminati dal documento finale. Per Carlo Carraro, professore ordinario di Economia Ambientale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e membro del Comitato Strategico della Fondazione Centro Euro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), il bicchiere invece è mezzo pieno.
“Va chiarito che il documento della Commissione non sancisce esattamente un nuovo obiettivo quanto piuttosto una nuova tappa di un percorso già sancito, cioè la neutralità climatica dell’UE al 2050 – spiega Carraro all’incontro con la stampa di ECCO – Il documento è molto ben fatto, sia a livello scientifico che considerando il coinvolgimento degli stakeholders. Magari avessimo questo livello in Italia. Noi non siamo abituati ad avere documenti di 800 pagine con analisi accurate di ogni misura. La consultazione pubblica è stata estesa, e le osservazioni e i suggerimenti spesso sono stati accettati: dalle industrie ai sindaci alle associazioni. Il comitato scientifico della Commissione aveva posto livelli più ambiziosi, sostenendo che dobbiamo fare di più proprio perché gli altri Paesi faranno di meno. I benefici ambientali ed economici sono in ogni caso maggiori rispetto ai costi economici. Oltre alla riduzione delle emissioni ci deve essere una riduzione giusta delle emissioni. E i governi passivi sono molto peggiori rispetto a quelli attivi”.
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Agire sul PNIEC è necessario e urgente
Dell’inadeguatezza attuale del PNIEC italiano abbiamo già accennato attraverso le parole di Chiara Di Mambro, esperta anche di negoziazioni sulle politiche ambientali ambientali e climatiche a livello nazionale e internazionale (come testimonia il suo ricco cv). Alla luce del nuovo lavoro della Commissione, Di Mambro conferma che il PNIEC italiano “manca di incisività, è necessario colmare questo divario in questi sei mesi”.
In una nota alla stampa ECCO confida che ci sia ancora la volontà politica di modificare il PNIEC. Soprattutto perché, pur essendo uno strumento decisivo, fino a questo momento sul PNIEC non c’è stata adeguata trasparenza e neppure un reale coinvolgimento, né della popolazione né del Parlamento. Proprio per questo ECCO ha convocato per il 27 febbraio un incontro alla Camera dei Deputati dal titolo “PNIEC, un piano per l’azione”. Saranno presenti, tra gli altri, il vicepresidente della Camera (ed ex ministro dell’Ambiente) Sergio Costa e l’attuale ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin. Un’occasione importante anche perché il decennio critico in cui agire per affrontare in maniera adeguata il collasso climatico non è il prossimo, ma è questo che stiamo vivendo.
“Per l’Italia – scrive ECCO – il piano di decarbonizzazione è il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC). La nostra analisi evidenzia però che il piano nella sua forma attuale soffre di una mancanza di chiarezza sia nel percorso di eliminazione dei combustibili fossili che nelle misure concrete di accompagnamento per il raggiungimento degli obiettivi 2030, il cui principale elemento abilitante è il raggiungimento degli obiettivi di penetrazione delle rinnovabili nel sistema elettrico. Nel breve periodo il piano promuove tecnologie non allineate agli obiettivi, mentre manca una visione coerente di transizione nel medio/lungo periodo. Entro giugno 2024 il PNIEC dovrà essere aggiornato, e questa sarà un’occasione preziosa, prima di tutto per allinearlo con gli obiettivi 2030, come richiesto dalla Commissione stessa. Un’occasione per far sì che sia in grado di declinare una strada chiara e concreta per la decarbonizzazione del sistema economico italiano, accompagnando le politiche con una coerente strategia di attuazione, anche in termini di sostenibilità economica e sociale, e con meccanismi di monitoraggio che consentano di indirizzare le politiche nel tempo”.
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Le soluzioni italiane sulle emissioni
La scelta della Commissione di non affrontare il necessario taglio delle emissioni del mondo agricolo è evidentemente figlia delle elezioni che si terranno tra il 26 e il 29 giugno. Tale posticipo non deve essere certo dispiaciuto al governo Meloni, che in teoria sostiene le “proteste dei trattori”, soprattutto quando si scagliano contro il Green New Deal. Allo stesso tempo sono anche altri i motivi di soddisfazione per l’esecutivo italiano:
– l’enfasi sulla cattura e lo stoccaggio di carbonio, la tecnologia su cui puntano Eni e Snam per costruire a Ravenna il più grande sito al mondo per la cattura dell’anidride carbonica prodotta dai grandi impianti industriali del Nord Italia che verrà poi conferita nei giacimenti esauriti sul mare Adriatico;
– la conferma della tesi secondo la quale il gas costituisce il combustibile di transizione, col governo Meloni che intende fare dell’Italia l’hub del gas per portare il gas africano nell’Europa del Nord, rafforzando allo stesso tempo l’esplorazione e l’estrazione dai giacimenti nazionali;
– l’eterno ritorno del nucleare, sui quali si prevede che lo sviluppo maggiore possa essere quello dei small modular reactors (SMR), i mini reattori nucleare di terza generazione sui quali punta anche il governo italiano
È comunque sulla ccs che si concentrano i maggiori obiettivi della Commissione europea, nonostante attualmente gli impianti europei catturino appena 50 milioni di tonnellate di C02, vale a dire poco più dello 0,1 per cento delle emissioni legate all’energia. Va anche detto che la scelta Ue si collega ai recenti e analoghi pronunciamenti da parte dell’IPCC e della Cop28. Come spiega il prof. Carraro, “nella forbice della riduzione delle emissioni che va dall’85% (l’obiettivo iniziale della prima bozza) al 90% (l’ultima decisione ufficiale), quel passo in avanti è stato stabilito sulla base proprio dello sviluppo della cattura e stoccaggio di carbonio. C’è una dose di ottimismo da parte della Commissione, nonostante sia una scommessa c’è comunque un investimento da parte di privati molto grande per la produzione a livello industriale di questa tecnologia”. Per Chiara Di Mambro, invece, “le risorse destinate alla ccs tolgono investimenti ad altre tecnologie già pronte come le rinnovabili o l’efficienza energetica. Serve più chiarezza anche da parte dell’UE”.
Allo stesso tempo il prof. Carraro smonta il possibile giubilo da parte dei nuclearisti italiani per quel che riguarda l’inserimento del nucleare tra le tecnologie adatta della decarbonizzazione. L’esperto fa notare che “nel documento della Commissione gli small modular reactors non sono menzionati, cioè si prevede che da qui al 2040 il contributo dell’energia nucleare sarà costante, e quindi è prevedibile che si farà affidamento sugli Stati che le centrali le hanno già. Allo stesso tempo sempre il 6 febbraio la Commissione ha annunciato l’undicesima alleanza strategica sui reattori nucleari, sapendo ovviamente che saranno disponibili dopo il 2040“.
Infine il prof. Carraro, sollecitato dalla giornalista Carlotta Indiano, dice la sua anche sui biocarburanti, l’altro grande appiglio di Eni, del governo Meloni e delle case automobilistiche per proseguire la produzione delle auto a combustione (benzina, diesel, gpl e metano) anche dopo la scadenza fissata dall’UE per il 2035 (ma che potrebbe essere ridiscussa dai nuovi assetti europei dopo giugno). “Nei piani della Commissione sulla riduzione delle emissioni al 2040 i biocarburanti ci sono ma hanno e avranno un ruolo marginale, infimo“.
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