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giovedì, Novembre 14, 2024

Sacchetti, bottiglie, contenitori per il cibo, reti da pesca… La plastica monouso soffoca gli oceani

Uno studio pubblicato su Nature Sustainability afferma che la plastica che arriva dai nostri acquisti è il rifiuto più frequente nei mari. Globalmente si tratta di oggetti di largo consumo, ma nei Paesi ricchi soprattutto reti da pesca. Per questo la direttiva Sup potrebbe non bastare

Lea Pietrosante
Lea Pietrosante
Appassionata di tematiche ambientali dall'età di sei anni, ha approfondito gli effetti della crisi climatica nell'ambito dei suoi studi di filosofia, economia e geopolitica delle risorse, concentrandosi su etica ambientale e giustizia intergenerazionale. Aspirante cittadina critica e consumatrice responsabile, vuole morire su un pianeta più pulito.

Il problema della dispersione dei rifiuti negli oceani è una delle grandi minacce del nostro secolo: allo stato attuale, più di 150 milioni di tonnellate di plastica sono state immesse in mare. La preoccupazione del mondo scientifico per questo fenomeno ha dato luogo a importanti ricerche sulla distribuzione e sull’impatto dei rifiuti marini. Restava però frammentario lo studio sulla loro natura. Per colmare questa lacuna, una nuova pubblicazione su Nature Sustainability fornisce la prima diagnosi completa dell’origine dei rifiuti che finiscono negli oceani.

Le informazioni preesistenti si basavano su metodi di campionamento e criteri di classificazione disorganici. Per raccogliere i dati necessari all’analisi, il team di ricerca ha invece integrato modelli regionali e armonizzato sistematicamente dati su tipologie di rifiuti rinvenuti nei grandi ambienti marini a livello globale. Più di 12 milioni di informazioni provenienti da 36 banche dati sono stati standardizzati grazie alla collaborazione con istituti di ricerca e ONG di 10 Paesi.

La plastica rappresenta l’80% dei rifiuti in mare

Guidato dalla ricercatrice Carmen Morales-Caselles dell’Università di Cadice e finanziato dalla Fondazione Bbva e dal ministero della Scienza spagnolo, lo studio ha permesso di identificare i prodotti più inquinanti per i principali ecosistemi acquatici su scala globale, analizzando la composizione dei rifiuti nell’oceano.

Dalla ricerca emerge che solo 10 tipi di prodotti di plastica rappresentano il 75% dei rifiuti, questo a causa sia dell’utilizzo diffuso di questi oggetti che della degradazione estremamente lenta. La plastica originata dal consumo terrestre infatti è di gran lunga l’elemento più frequente nei rifiuti marini su scala globale, costituendone l’80%. A seguire metallo, vetro, tessuti, carta e legno lavorato. A soffocare gli oceani sono soprattutto sacchetti monouso, bottiglie di plastica, contenitori per alimenti e involucri di cibo, i quattro oggetti più diffusi che costituiscono quasi la metà dei rifiuti. “Non ci ha sorpreso che la plastica costituisca l’80% dei rifiuti, ma ci ha sorpreso l’alta percentuale di imballaggi da asporto” ha dichiarato la stessa Morales-Caselles.

Gli articoli per il consumo da asporto hanno quindi costituito la quota maggiore, seguiti da quelli derivanti dalle attività di pesca, soprattutto corde, reti sintetiche e altre attrezzature. Tuttavia, la proporzione di rifiuti legati alle attività marittime come pesca e navigazione aumenta nelle zone scarsamente abitate, diventando il tipo di rifiuti predominante nelle acque oceaniche aperte e alle alte latitudini (> 50°), dove costituisce all’incirca la metà dei rifiuti totali. Secondo la ricercatrice, “il contributo delle attività marittime ai rifiuti oceanici è in media del 22% in tutti gli ecosistemi, ma questo numero dovrebbe essere considerato come un minimo poiché alcuni oggetti non sono facili da collegare alle attività marittime”.

Tale variazione nella composizione dei rifiuti sulla superficie dell’oceano dipende dall’effetto del vento e delle onde, che spazzano regolarmente i grandi oggetti galleggianti verso le coste, dove si accumulano sul fondale marino o subiscono un processo di erosione accelerata e rottura sulla riva, trasformandosi in microplastiche. È così, sotto forma di microplastiche, che possono superare più facilmente le onde, arrivare in mare aperto ed entrare nei circuiti di trasporto delle correnti oceaniche (oltre che nella catena alimentare).

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Leggi anche: Tutti i danni che fa la plastica in giro per il Pianeta

Fattori socioeconomici

La più alta concentrazione di rifiuti è stata trovata sui litorali e sui fondali marini vicino alle coste. Le differenze di composizione tra gli ambienti indicano infatti una tendenza dei rifiuti più voluminosi a restare intrappolati nelle zone costiere, mentre la plastica di origine terrestre che viene rilasciata in mare aperto ha per lo più la forma di piccole particelle (tuttavia, l’analisi pubblicata su Nature Sustainability ha incluso unicamente oggetti più grandi di 3 cm, escludendo frammenti e microplastiche).

A livello mondiale, la composizione dei rifiuti immessi nearshore (sotto costa) riflette i fattori socioeconomici, con un peso relativamente ridotto di oggetti monouso nei Paesi ad alto reddito, dove invece prevalgono reti e altri strumenti usati nella filiera ittica.

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“Vietare il monouso e puntare su EPR e deposito su cauzione”

Nel complesso, questo studio può essere utilizzato per individuare le azioni necessarie a gestire la produzione, l’utilizzo e il destino degli oggetti più inquinanti prodotti dall’uomo sul Pianeta, fornendo informazioni utili alle politiche di prevenzione. Identificare le principali fonti della plastica oceanica è infatti necessario per fermare il flusso di rifiuti marini verso l’oceano alla fonte, piuttosto che limitarsi a pulirlo, evitando così in primo luogo l’immissione nell’ambiente.

Partendo da questo presupposto, gli autori sostengono divieti normativi sui prodotti di plastica da asporto non indispensabili. Per gli altri prodotti, lo studio suggerisce di applicare sistemi di responsabilità estesa del produttore (Epr), unitamente an sistema di deposito e rimborso per i consumatori di prodotti da asporto (deposito su cauzione), entrambe giustificate dal rischio di dispersione di questi prodotti nell’ambiente.

La sostituzione dei più inquinanti articoli in plastica con altri prodotti realizzati con materiali più facilmente degradabili dovrebbe invece tenere conto di tutti gli impatti del ciclo di vita dei prodotti alternativi, incluso il fatto che sostituendoli alla plastica si avrebbe con tutta probabilità come unico effetto una sostituzione della tipologia di rifiuti dispersi in mare. Senza tener conto poi, chiariscono i ricercatori, l’impatto del ciclo di vita dei prodotti alternativi, che non sempre garantiscono un approvvigionamento sostenibile delle materie prime.

Leggi anche: Troppa plastica, invertire la rotta è necessario: il report della Fondazione Ellen MacArthur

La direttiva Ue sulla plastica monouso? Potrebbe non bastare

Lo studio conclude che il modo migliore per affrontare l’inquinamento da plastica è che i governi limitino severamente gli imballaggi di plastica monouso.

Carmen Morales-Caselles e il suo team analizzano anche le politiche Ue a riguardo (come la direttiva SUP sulla plastica monouso), sostenendo che l’azione europea rischia talvolta di distogliere l’attenzione dal fulcro della questione. ”È un bene che ci sia un’azione contro i cotton fioc di plastica, ma se non aggiungiamo a quest’azione gli oggetti più comuni nei rifiuti, allora non stiamo affrontando il cuore del problema, ci stiamo distraendo”, ha detto la ricercatrice dell’Università di Cadice. Cannucce e palette da caffè infatti costituiscono solamente il 2,3% dei rifiuti, cotton fioc e bastoncini di lecca-lecca lo 0,16%.

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Anche l’Italia tra i grandi inquinatori

Uno dei set di dati utilizzato da Morales-Caselles e colleghi è uno studio pubblicato sulla stessa rivista che prende in esame i rifiuti immessi nell’oceano da 42 fiumi in Europa. Lo studio afferma che Turchia, Italia e Regno Unito sono i primi tre contributori di rifiuti marini galleggianti. “Adottare misure di mitigazione non significa pulire la foce del fiume”, ha detto Daniel González-Fernández dell’Università di Cadice, che ha condotto quest’ultima ricerca. “Bisogna fermare la spazzatura alla fonte, in modo che la plastica non entri nemmeno nell’ambiente”. La complessa sfida che ci troviamo ad affrontare ha bisogno pertanto di un’azione urgente a partire dalla terraferma e dai fiumi, bloccando l’immissione dei rifiuti in mare.

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