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Anno dopo anno, report dopo report, l’Italia continua a spiccare nei dati europei e internazionali per i ritardi che riguardano il complesso delle variabili che descrivono la qualità e l’efficacia delle politiche in materia di istruzione e formazione e della loro capacità di assicurare una buona occupabilità. Ormai per gli addetti ai lavori elencare le voci in cui l’Italia arranca rispetto al resto d’Europa è sempre più sconsolante e deprimente: alta dispersione scolastica, bassa offerta di servizi educativi per l’infanzia, basso tasso di laureati, alto tasso di disoccupazione giovanile, pochi laureati in discipline stem, alto mismatch domanda e offerta di competenze e potremo continuare ancora perché l’elenco purtroppo è lungo.
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Gli allarmi si susseguono ogni volta che viene pubblicato un aggiornamento dei dati ma le politiche finora messe in atto non hanno innescato una decisiva inversione di tendenza. Questo quadro, già allarmante, sarà inevitabilmente aggravato dall’impatto della pandemia sul livello degli apprendimenti, sulla dispersione scolastica, sulla disoccupazione giovanile. Come andiamo dicendo ormai da mesi le ingenti risorse messe in campo dall’Europa per sostenere gli Stati membri nella lotta alla pandemia saranno forse l’ultima occasione che ha il nostro Paese per investire seriamente sulle competenze di giovani ed adulti aiutandoli a cogliere le occasioni ed opportunità della transizione ecologica e digitale e scongiurando il rischio che i costi delle due transizioni siano pagati da lavoratori e disoccupati con bassi livelli di competenze. Si dovrebbe partire da un orientamento ben fatto nei passaggi tra i cicli di istruzione che aiuti le famiglie e gli studenti a cogliere le opportunità di filiere di istruzione e formative considerate di serie B come la filiera tecnico – professionale.
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Ogni anno i dati del Ministero dell’Istruzione fotografano uno scenario praticamente immobile. Più di uno studente su due preferisce il liceo, specie se scientifico: il 57,8% delle domande di iscrizione dei ragazzi e delle ragazze. Gli istituti tecnici crescono leggermente dal 19,6 al 20,3% mentre i professionali perdono un altro punto nei consensi e scendono all’11,9%. Investire nella filiera tecnico professionale sia a livello secondario che terziario ha due effetti importanti: aiuta a combattere la dispersione scolastica e a ridurre il mismacht tra domanda e offerta di competenze, tra le professionalità richieste dal mercato del lavoro e quelle formate dal sistema di istruzione. Inoltre è in questi istituti che si sperimentano con successo le, purtroppo ancora poche, esperienze di alternanza scuola – lavoro rafforzata e di apprendistato di primo e terzo livello. Si tratta d strumenti che in altri paesi europei sono la norma, e che invece da noi sono ancora di nicchia, ma che è indubbio aiutino l’incontro tra domanda e offerte di competenze e profili professionali e aumentino l’occupabilità dei giovani.
In questi mesi sarà necessario lavorare con il coinvolgimento di tutti, a partire dalle parti sociali, perché il Ministero dell’Istruzione e quello del Lavoro elaborino dei piani di azione per utilizzare le risorse del Next Generation EU per investire nella formazione di competenze green, digitali e legate alle esigenze dell’implementazione su larga scala delle strategie dell’economia circolare, sia di giovani e adulti disoccupati che di lavoratori con competenze non adeguate o in settori in crisi a causa della pandemia. È necessario rafforzare sia a livello secondario che terziario materie di studio e indirizzi che preparino i giovani a lavori legati alla green economy e all’impiego del digitale in tutte le fasi del processo produttivo. Così come è fondamentale che le imprese approfittino del Fondo Nuove competenze per aggiornare e formare le competenze dei loro lavoratori per agganciare la ripresa e permettere all’economia di ripartire appena la pandemia lo consentirà.
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Se non saremo pronti ed attrezzati il gap tra giovani e adulti in possesso di titoli di studio e competenze obsolete e aziende che non trovano le professionalità che cercano sarà sempre più ampio con un impatto devastante sui livelli di disoccupazione, in particolare giovanile, e di competitività delle imprese che il nostro Paese non può permettersi. Si stima che nei prossimi cinque anni ci sarà un forte aumento della richiesta di competenze legate alla green economy e a profili sia tecnici che manageriali che introducano nei processi produttivi strategie di riuso e trasformazione di prodotti, anche in collegamento tra filiere produttive diverse, pensiamo all’allevamento e alla lavorazione delle pelli, per ridurre lo spreco e l’inquinamento ambientale. Sono temi che stanno sempre di più conquistando le coscienze dei cittadini- consumatori e sui quali il nostro paese dovrà investire, a partire dalla formazione delle competenze, se vuole rilanciare l’economia, l’occupazione a partire da quella in filiere produttive strategiche, in cui l’Italia rappresenta l’eccellenza, come il turismo, l’agricoltura e l’allevamento sostenibile, l’artigianato, la ristorazione e l’enogastronomia.
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