Quante gambe servono per sostenere l’economia circolare? Per i suoi progetti circolari e di mobilità sostenibile il Comune di Palermo sembra preferire le sei zampe di Eni. Ma non aveva fatto i conti con il mondo ambientalista, che ha sollevato una protesta ampia e articolata – sfociata in un incontro pubblico -, dopo la quale si è registrata una mezza marcia indietro della giunta Orlando.
Una conferma della sempre maggiore attenzione per i temi della sostenibilità e della tutela ambientale, con le istituzioni che non possono più permettersi passi falsi e le aziende che quando si fermano al greenwashing vengono spesso smascherate. Per raccontare questa strana storia di circolarità a sei zampe, serve partire da un documento.
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Il protocollo della discordia
È il 6 dicembre quando con la delibera comunale n. 315 la giunta palermitana approva all’unanimità (assente soltanto un assessore su 11) il protocollo d’intesa tra Comune di Palermo, Anci Sicilia (l’associazione dei Comuni italiani) ed Eni spa. Nella delibera, che promuove una città “vivibile, ecologica e sostenibile“, si legge tra l’altro che “l’economia circolare nasce dalla consapevolezza che l’attuale modello economico di sviluppo non è più in grado di sostenere determinati ritmi produttivi senza danneggiare valori tangibili e intangibili dell’attuale società” e che “il modello di economia circolare ha trovato forza e ispirazione anche dal più ampio concetto di sviluppo sostenibile promosso da diversi anni dai governi, che intende dare alle future generazioni le stesse possibilità di sviluppo economico, sociale e ambientale di quella attuale”.
Per attuare queste buone intenzioni, dunque, ci si sarebbe aspettati di rivolgersi a soggetti riconosciuti come protagonisti nel campo dell’economia circolare: Icesp, ad esempio, ovvero la piattaforma degli attori italiani per l’economia circolare, o il Cen, il Circular Economy Network che mette insieme molte aziende del settore e la Fondazione Sviluppo Sostenibile. Invece il Comune sceglie di affidarsi a Eni, all’azienda cioè che ha il suo “core business”, come si dice in gergo, nelle fonti energetiche fossili. Coinvolgendola, come si legge all’art.1, in “possibili iniziative di divulgazione, formazione, promozione, studio e sperimentazione sui temi dell’economia circolare nelle sue varie declinazioni”.
E al Cane a sei zampe la giunta Orlando chiede pure di occuparsi di mobilità sostenibile. Così non sorprende che nelle 10 pagine del protocollo d’intesa Eni si impegni a individuare “alternative possibili che vanno dalla mobilità a metano al carsharing all’impiego di biolubrificanti e fuel alternativi, quali l’idrogeno e il biometano”. Ovvero fonti fossili (metano e idrogeno blu) ed energie finora piuttosto criticate come il biometano e i biolubrificanti. Tutte soluzioni che sono già nel “portafoglio” del colosso energetico nostrano. Il protocollo parla infatti anche di valorizzazione dei rifiuti, soprattutto nell’ottica della raccolta degli oli esausti domestici che per Eni serviranno ad alimentare la cosiddetta bioraffineria di Gela. Un impianto che dalla sua inaugurazione, nel settembre 2019, è alimentato con olio di palma proveniente dall’Indonesia e oli grassi animali provenienti dall’America Latina. Di economia circolare, insomma, c’è ben poco.
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Insorge l’ambientalismo locale
“Quando siamo venuti a conoscenza dell’accordo del Comune di Palermo con Eni, e soprattutto quando abbiamo letto il protocollo d’intesa, abbiamo pensato subito a uno scherzo. Non potevamo credere che fosse tutto vero”. Naida Samonà è un’attivista di Extinction Rebellion e la sua incredulità è quella di tanti altri ambientalisti locali. Insieme al gruppo di Ecologia Politica Palermo, di Legambiente e di A Sud Sicilia, organizzano un incontro pubblico per chiedere alla giunta di motivare le ragioni di un accordo che definiscono “inaccettabile”.
L’incontro si svolge lunedì 20 dicembre ai Cantieri Culturali della Zisa, e tra gli ospiti vede anche il nostro cronista Andrea Turco. Tutti gli interventi spiegano perché Eni non è l’interlocutore più credibile per parlare di economia circolare. C’è chi ricorda la condanna in primo grado, lo scorso marzo, per traffico illecito di rifiuti, chi critica l’unanimità di consensi in giunta rispetto alla scelta di affidarsi al cane a sei zampe, chi ricorda le reazioni analoghe registratesi quando l’Associazione Nazionale Presidi programmava con Eni “incontri sui temi della sostenibilità ambientale” dedicati alle scuole.
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La parziale retromarcia del Comune
Ad ascoltare le ragioni degli ambientalisti, durante le oltre due ore di incontro, c’è l’assessore al Bilancio Sergio Marino. L’assessore replica affermando che “protocolli del genere se ne firmano tanti, sono più dichiarazioni d’intenti che strategie vere e proprie, non intendiamo certamente affidare a Eni l’educazione ambientale”. Poi concorda sul fatto che il protocollo sia comunque vago e nebuloso, e afferma che da ex dirigente di Arpa Sicilia conosce bene “come ha operato Eni a Gela”.
In più, Marino aggiunge che sottoporrà alla giunta le critiche espresse dalla galassia ambientalista palermitana, pronto a “un eventuale passo indietro se dovesse servire”. E di fronte ai timori di un eventuale contenzioso giudiziario da parte di Eni, è stato proprio Andrea Turco a ricordare che nell’art. 4 del protocollo viene stabilito che “è facoltà di ciascuna delle parti recedere dal protocollo in ogni momento con preavviso da rendersi in forma scritta nel termine di 30 giorni”.
Come a dire: la revoca si può fare. E sarebbe un segnale di attenzione e condivisione (per quanto tardiva) delle perplessità espresse dagli ambientalisti. L’assessore ha infine promesso di fissare un incontro tra dicembre e gennaio per discutere “insieme e seriamente di economia circolare”. Intanto il capoluogo siciliano diventa un piccolo laboratorio e un esempio di come l’economia circolare sia un tema sul quale i cittadini possono e debbano giocare un ruolo centrale si stimolo e controllo.
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