A più di 10 anni dall’entrata in vigore del provvedimento che impone che le buste per la spesa (i cosiddetti shopper) siano biodegradabili (negli anni dovranno essere anche compostabili) più di una borsa in plastica “fornita ai consumatori per il trasporto di merci o prodotti” su quattro (il 28% per l’esattezza) non risponde ai requisiti di legge. È insomma illegale. Il dato è emerso durante la presentazione del “IX Rapporto sulla filiera italiana delle bioplastiche compostabili” presentato il 6 luglio a Roma durante un convegno organizzato da Assobioplastiche, Consorzio Biorepack e CIC (Consorzio Italiano Compostatori). Facendo la spesa al supermarket o nel negozio di quartiere sotto casa, una volta su quattro ci troviamo consegnata una busta che non è certificata biodegradabile e compostabile come impone la legge. I protagonisti dell’aggiramento della norma rischiano un’ammenda da 2.500 euro fino (in caso di grandi quantità) a 100.000 euro. Eppure nell’ultimo periodo la diffusione degli shopper pirata è aumentata.
Leggi anche: Riciclo meccanico della plastica, “settore in stagnazione”
Il mercato italiano degli shopper, compostabili e non
Stando ai dati del rapporto curato da Plastic Consult, risulta che gli shopper messi sul mercato nel 2022 sono stati pari a 78.000 tonnellate, grosso modo che corrispondono (calcolando che le buste pesano mediamente dai 5 ai 15 grammi) a oltre sette miliardi di pezzi. Nel 2013 le tonnellate erano 118 mila, con una tendenza costante al calo (tolta la parentesi covid, nel 2022 la quantità è tornata agli stessi livelli del 2019, 10 mila tonnellate in meno del 2018).
Delle 78 mila tonnellate totali di buste, ben 22.000 (appunto il 28,2%) non erano a norma. Il trend delle buste non a norma è ovviamente speculare rispetto a quelle regolari, passando da 91.700 tonnellate nel 2013 (il 77% del totale) alle 17mila del 2021 (22%) per poi risalire leggermente nel 2022 al 28%, come già ricordato.
Il contesto esterno – nel 2022 la crisi energetica e l’aumento dell’inflazione – che alimenta “la ricerca del prezzo stimola l’illegalità – ha commentato Luca Bianconi, presidente di Assobioplastiche -: la presenza di sacchi non a norma è nettamente in recrudescenza”.
Diverse le forme di illegalità, spiegano Assobioplasstiche, Biorepal e Cic: “Decisamente frequente la commercializzazione di borse per asporto merci o alimenti sfusi prive di qualsiasi requisito di legge (certificazioni di biodegradabilità e compostabilità, rinnovabilità e relative etichettature). Altre volte vengono riportati falsi e ingannevoli slogan ambientali. Oppure compaiono marchi di certificazione di compostabilità su sacchetti privi dei requisiti stabiliti dallo standard EN 13432, ad esempio contenenti percentuali di materia prima di origine rinnovabile inferiore al 60%. E c’è poi il caso dei sacchetti dichiarati compostabili ma che in realtà contengono quantità più o meno rilevanti di polietilene, materia prima non ammessa per i bioshopper ma che viene usata per ridurre il costo di produzione. Una frode per chi, in buona fede, li acquista”.
Leggi anche: Trattato globale sulla plastica: ecco cosa ci ha detto il secondo round di negoziati
I numeri e i trend della filiera italiana delle bioplastiche compostabili
Come certifica il report di Plastic Consult per Assobioplastiche, la filiera delle bioplastiche compostabili continua a crescere: salgono volumi, fatturato e occupati. Aumentano anche tasso di riciclo degli imballaggi in bioplastica compostabile, popolazione coperta e corrispettivi economici riconosciuti ai Comuni.
Nel 2022 l’industria delle plastiche biodegradabili e compostabili è rappresentata da 271 aziende: 5 produttori di chimica di base e intermedi, 19 produttori e distributori di granuli, 182 operatori di prima trasformazione, 65 operatori di seconda trasformazione.
La produzione ha raggiunto le 127.950 tonnellate di manufatti compostabili: +2,1% sul 2021, + 226 dal 2012; il fatturato complessivo valeva 1.168 milioni di euro (+10,1% sul 2021, con un tasso di crescita media annua del 10% dal 2012, quando era di 370 milioni). Gli addetti (le risorse che nelle aziende del comparto si occupano direttamente dei prodotti che entrano nella filiera delle plastiche compostabili) sono 3.005: +3,8% rispetto al 2021, cresciuti del 135% dal 2012.
“Sul fronte delle attività di riciclo i numeri sono altrettanto positivi – spiegano Assobioplastiche, Biorepak e Cic -: il riciclo organico delle bioplastiche compostabili ha raggiunto nel 2022 quota 60,7% dell’immesso al consumo, 9 punti in più rispetto al 2021, superando con 8 anni di anticipo gli obiettivi fissati per il 2030 (pari al 55%)”.
Il monouso traina la crescita delle bioplastiche
A trainare la filiera verso questi risultati è il segmento del monouso (piatti, bicchieri e posateria), cresciuto del 23% tra il 2021 e il 2022, ma addirittura del 55% (variazione media annua) dal 2019. (sul monouso in bioplastica e sul recepimento italiano della direttiva sulle Single use plastic abbiamo scritto qui)
Seguono i film per applicazione non alimentare: +26% di media annua dal 2019; quelli alimentari (+7%) e poi i film agricoli per la pacciamatura (+6%). I comparti storici (sacchetti per asporto merci e ultraleggeri) sono rimasti al meglio stazionari.
Per fugare i dubbi che la forte crescita del monouso in bioplastica possa ostacolare la riduzione complessiva dell’usa e getta, il report spiega (vedi immagine seguente) che la produzione di monouso nazionale (piatti e bicchieri in polistirene-PS e in plastiche compostabili) è passata dalle 125 mila tonnellate del 2016 alle 43 mila dell’anno scorso (-66%). “Prosegue la contrazione della produzione nazionale di articoli monouso (piatti e bicchieri), ha spiegato Paolo Arcelli, direttore Plastic Consult, durante la presentazione”. Ovviamente nel tempo cambia la composizione di questo totale del “monouso PS+compostabile”, con la progressiva crescita del compostabile e una parallela riduzione del PS.
Chiediamo lumi ad Arcelli sulla scelta di rappresentare il monouso con solo il polistirene e la bioplastica compostabile: “Abbiamo deciso di fare un benchmark solo con il PS – ci spiega – per una serie di motivi. I due principali sono i seguenti: innanzitutto il grosso, sia dei piatti che delle posate monouso (ovvero i prodotti banditi dalla SUP, anche se nella presentazione abbiamo per semplicità considerato piatti e bicchieri), venivano realizzati in PS; con il PET si producono infatti solo bicchieri, e anche il polipropilene (PP) era in precedenza utilizzato prevalentemente per i bicchieri (che ricordiamo non sono messi al bando dalla SUP). Altro motivo è che la serie storica di dati più robusta sul monouso in plastica convenzionale è relativa al polistirene”. Comunque, rispetto al 2016, anche la produzione di monouso in PP e PET, largamente minoritaria rispetto al PS, si è ridotta di circa due terzi: “Anche per gli altri polimeri (PP in particolare) si è verificato un drastico calo della produzione, analogo a quello che abbiamo riportato stringendo il focus su PS e bioplastiche”. Insomma, conclude Arcelli, “i dati su PS e bioplastiche restano sufficienti a caratterizzare l’evoluzione degli ultimi anni del comparto monouso nel suo complesso, vista la rappresentatività del PS e del compostabile nei piatti e bicchieri”.
Leggi anche: “Bioplastica sì, ma solo a certe condizioni”. La linea della Commissione Europea
I piatti ‘cosiddetti’ riutilizzabili
Tra le preoccupazioni dei produttori, la ‘competizione scorretta’ dei “piatti cosiddetti riutilizzabili in plastica convenzionale”: “Per quanto riguarda i manufatti cosiddetti riutilizzabili basta osservare con attenzione gli scaffali di negozi e supermercati per rendersi conto che stanno proliferando piatti, bicchieri e posate realizzati in plastica tradizionale ma venduti con la dicitura ‘riutilizzabile’. Un escamotage tecnico per aggirare la norma che vieta il monouso e offrire prodotti il cui costo di produzione è ovviamente molto più basso”, afferma ancora Bianconi.
“Tutti questi fenomeni creano danni da molti punti di vista”, aggiunge Marco Versari, presidente di Biorepack. “Erodono i margini di crescita delle aziende che operano nella legalità e, così facendo, riducono le loro possibilità di fare investimenti che hanno ricadute positive sia in termini occupazionali sia per l’individuazione di soluzioni innovative a ridotto impatto ambientale. Inoltre creano problemi anche economici ai Comuni impegnati nella raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti: una minore qualità della raccolta equivale infatti a minori corrispettivi economici che possiamo garantire loro come consorzio”.
Leggi anche: Inquinamento da plastica, per il rapporto UNEP “serve un cambiamento di sistema”
Le richieste della filiera
Inevitabile, quindi, l’appello di Assobioplastiche, Biorepack e CIC: “Sul fronte del contrasto all’illegalità occorre ripensare e rafforzare il meccanismo dei controlli, che vedono già oggi impegnate le diverse forze dell’ordine”, affermano. Servono poi “interventi capaci di riconoscere il valore strategico dell’intera filiera. Anche perché il quadro è reso più complesso da quanto accade sugli scenari internazionali: dalle direttive europee potenzialmente in grado di azzoppare una filiera di eccellenza alle azioni di grandi Paesi che puntano ad affermarsi nel settore anche attraverso pericolosi meccanismi di dumping. Occorre che la politica si adoperi per difendere e valorizzare un’industria che ha generato innovazione, occupazione e crescita per il Paese e difesa del capitale naturale”. Per questo le tre associazioni rilanciano “la necessità di un riconoscimento del valore strategico del nostro comparto anche tramite apposita classificazione ATECO/NACE”. Altrettanto “doveroso sarebbe prevedere un’aliquota IVA agevolata riconoscendo le positive proprietà intrinseche della bioplastica compostabile e destinare agli organismi accertatori le risorse ottenute con le sanzioni comminate ai produttori di manufatti illegali”, ha rimarcato il presidente di Assobioplastiche.
© Riproduzione riservata