L’inquinamento da plastica è diventato un problema così grave da minacciare i nostri diritti umani. A sostenere questa tesi, lo scorso 1 giugno, sono stati i relatori speciali delle Nazioni Unite (consiglieri per i diritti umani) che hanno messo in guardia tutte e tutti noi dalla “travolgente ondata tossica” della plastica che mette in pericolo noi e l’ambiente “in una miriade di modi nel suo intero ciclo di vita”. Si tratta di un appello che non sorprende, dato che l’overdose di plastica e la sua diffusione nell’ambiente è da anni sotto gli occhi di tutte e tutti.
Senza dimenticare che a novembre in Kenya si terrà il terzo appuntamento, sui cinque previsti dal percorso dei negoziati, che punta a ottenere un trattato globale sulla plastica entro la fine del 2024.
La novità è però la correlazione tra l’inquinamento e i diritti, da parte di una fonte così autorevole come l’ONU. Soprattutto alla luce della tendenza sempre più diffusa delle battaglie giudiziarie, in cui si prova a modificare le politiche nazionali o ad accertare le responsabilità di un’impresa. In questo senso il filone più “caldo”, è proprio il caso di dirlo, è quello della giustizia climatica. Ma in questi anni anche le citazioni in giudizio riguardanti la plastica sono aumentate notevolmente.
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Più di 30 i Paesi interessati dalle cause sulla plastica
“Anche il trattato delle Nazioni Unite sull’inquinamento da plastica, concordato in linea di principio e attualmente in fase di negoziazione, difficilmente potrà produrre cambiamenti fondamentali, almeno nel breve termine. E non vi è alcuna garanzia che le nuove misure a cui ciò porterebbe avrebbero un destino diverso dalle numerose leggi esistenti sull’inquinamento da plastica che i governi non riescono ad attuare. Tra le crescenti preoccupazioni sull’inquinamento da plastica e la debole risposta dei governi ad esso, gli individui e le comunità hanno cercato di agire ricorrendo ai tribunali”. Le parole di Sam Varvastian, ricercatore presso l’università di Cambridge, sono riportate sul sito The Conservation, uno dei siti più affidabili a livello ambientale. E sintetizzano bene la molla principale che spinge sempre più persone in tutto il mondo ad affidarsi alle aule giudiziarie.
Ma dove sono i principali procedimenti? Che caratteristiche hanno? E che esiti hanno finora ottenuto? A queste domande prova a rispondere lo stesso Varvastian, con uno studio approfondito pubblicato sul sito del prestigioso ateneo inglese.
Sono più di 30 i Paesi interessati da questo genere di “plastic litigation”, cioè di contenziosi legati appunto alla plastica (c’è anche l’Italia). “Dato il gran numero e l’ampia distribuzione geografica di tali casi, è utile classificare le rispettive cause per determinare il ruolo dei tribunali in relazione alla governance dell’inquinamento da plastica – si legge nello studio – Esistono due tipi di reclami sull’inquinamento da plastica: reclami contro gli organismi di regolamentazione; e pretese contro le società. Le due categorie più importanti di azioni legali contro gli organismi di regolamentazione sono: azioni che mirano all’adozione o all’attuazione di misure normative (azioni pro-regolamentazione); e pretese che mirano ad annullare le misure normative esistenti (pretese anti-normative). Da parte loro, i reclami contro le aziende si concentrano tipicamente sull’inquinamento causato dal ciclo di vita dei prodotti in plastica, o sulla pubblicità falsa e ingannevole di tali prodotti”.
Come era facile immaginare a prevalere finora è l’eterogeneità. C’è chi si concentra sull’intero sistema, contestando la filiera in toto, e chi invece si scaglia contro un singolo impianto. Ad esempio, un gruppo di persone nelle Filippine ha convinto la corte suprema del Paese a rivedere l’attuazione da parte del governo della legge sulla gestione dei rifiuti solidi. Mentre un gruppo di Maori in Nuova Zelanda, invece, ha recentemente presentato ricorso contro la decisione di espandere un impianto idrico da un miliardo di bottiglie all’anno.
Ci sono anche le richieste di risarcimento, come ad esempio è avvenuto con alcune persone residenti in Texas che hanno vinto un risarcimento di 50 milioni di dollari (39 milioni di sterline) dopo aver trovato miliardi di pellet di plastica nei loro corsi d’acqua locali.
Anche le aziende produttrici di plastica fanno causa
Ma a ricorrere ai tribunali sono anche le aziende produttrici di plastica, nonché supermercati e ristoranti, che spesso si scagliano contro le crescenti restrizioni sui prodotti di plastica e gli imballaggi, chiedendo di annullare tali misure che, a loro dire, causerebbero perdite economiche o sarebbero scientificamente infondate.
Il risultato finale è che si tratta di una matassa non facile da sbrogliare. Allo stesso modo di ciò che avviene con la giustizia climatica, anche l’ambito delle “plastic litigations” è tutt’ora in corso di definizione, come riconosce ancora il ricercatore Sam Varvastian.
“Dal ritenere responsabili gli inquinatori privati alla valutazione della costituzionalità delle restrizioni su alcuni prodotti di plastica e all’ordinare agli organismi di regolamentazione di adottare o implementare tali misure, i tribunali stanno svolgendo un ruolo importante nella governance dell’inquinamento da plastica – è la conclusione dello studio – È vero che le lacune persistenti nella risposta normativa hanno in una certa misura ostacolato il contributo dei tribunali nell’affrontare questa crisi ma, all’aumentare delle sollecitazioni la risposta normativa complessiva diventa gradualmente più completa, e dunque aumenta anche la capacità dei tribunali di affrontare le varie questioni giuridiche”.
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Il monitoraggio delle cause sulla plastica
Oltre allo studio pubblicato dall’università di Cambridge, c’è anche un altro strumento interattivo per monitorare l’avanzamento delle cause giudiziarie sulla plastica in tutto il mondo. Si chiama Plastics Litigation Tracker ed è stato realizzato dalla New York University School of Law. Attualmente il database fornisce 51 risultati, specificando per ciascuno il tipo di causa, i ricorrenti e l’avanzamento.
“Il Plastics Litigation Tracker – si legge sul sito – tiene traccia dei casi riguardanti la plastica nei tribunali federali e statali. Comprende i casi risolti e quelli ancora pendenti. I casi possono essere filtrati per categoria, attore, convenuto e giurisdizione. Sono elencati in ordine cronologico inverso in base alla data dell’ultimo aggiornamento in ciascun caso. In assenza di decisione, i casi appariranno in ordine alfabetico. L’indice verrà aggiornato man mano che i casi vengono risolti e nuovi casi vengono archiviati”.
Per chi fosse interessata o interessato a segnalare nuovi casi, suggerire aggiornamenti o correzioni a questo database basta inviare una e-mail a stateimpactcenter@nyu.edu.
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