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lunedì, Dicembre 16, 2024

Percorsi di lettura, dall’oceano all’Amazzonia per decostruire la nostra visione del mondo

Con l'abbassarsi delle temperature leggere diventa ancora più piacevole ma per questi due libri vi chiediamo di stare scomode e scomodi. Nei consigli di lettura di questo mese troviamo infatti due visioni della natura che ci dicono molto sulla nostra società e sui rapporti umani e di potere

Sarah Di Nella
Sarah Di Nella
Sarah Di Nella è socia della libreria Tuba. Oltre a dedicarsi a questo spazio femminista, traduce fumetti e cura dal 2013 Bande de Femmes, il festival di fumetto e illustrazione che si svolge per le strade del quartiere Pigneto a Roma. È giornalista professionista.

Dall’oceano e dalla foresta, si alzano due voci originali in un unico grido per fermare lo sfruttamento, prima che sia troppo tardi: due autrici che decostruiscono la visione “bianca”, razzista, patriarcale, eteronormata, binaria e la centralità della persona umana, invitandoci ad avvicinarci ai nostri corpi e ad ascoltare il respiro del mondo.

Lezioni di femminismo Nero dai mammiferi marini

Dal viaggio al quale ci invita Alexis Pauline Gumbs in Undrowned.Lezioni di femminismo Nero dai mammiferi marini (edito da Timeo) non si esce indenne. “Una delle cose che più mi ha colpito – scrive Gumbs – mentre studiavo manuali scientifici sui mammiferi marini è stato ritrovare nelle descrizioni ‘scientifiche’ lo stesso linguaggio che alimenta razzismo, binarismo di genere e altre forme di oppressioni”. Undrowned è una successione di meditazioni, nel corso delle quali ci immergiamo nelle acque marine e nelle loro infinite storie, a noi sconosciute: “Tanto tempo fa, nel mare di Bering viveva una creatura marina gigante che pesava ventitré tonnellate. L’Hydrodamalis gigas, grande almeno tre volte i lamantini odierni, ha nuotato libera e felice fino al 1741, quando fu ‘scoperta’ da un zoologo tedesco. In soli ventisette anni l’intera specie si estinse, assassinata dalle spedizioni europee a caccia di pelle e manto di foca. Perciò lei sa quello che anche noi sappiamo: è pericoloso essere scoperte”.

A partire dall’età moderna e fino all’età contemporanea, Gumbs scandaglia mari e oceani, cimiteri viventi abitati dalle ossa delle persone schiavizzate ma anche dalle ossa delle persone che cercano ora di raggiungere l’Europa dall’Africa. Luoghi di morte e luoghi di vita di creature marine che con il loro canto tramandano pratiche di resistenze. Tra le pagine, scorgerete l’origine del mito degli unicorni, incarnata in un mammifero chiamato narvalo, ma scorgerete anche l’implacabile meccanica delle distorsioni semantiche compiute dal capitalismo: “Ora le orche sono amate – vale a dire immortalate sui poster, riprodotte in formato peluche, protagoniste delle attrazioni di Sea World. Prigioniere commerciabili del capitalismo. Amate“.

L’analisi di Gumbs non lascia scampo – “la sofferenza e la minaccia di estinzione dei mammiferi marini sono causate, in questo momento, dai processi e dagli effetti estrattivi e distruttivi del capitalismo” – ma la sua voce originalissima rifiuta di lasciarsi schiacciare e cerca una via, fatta di corpi vivi e morti, di canti, di memoria e di lotta. Invita chi legge a  cospirare, nel senso di respirare insieme.

“Quello che so è che ti amo. Anche se non vuoi essere seguita. Anche se non vuoi essere riconosciuta. […] Ti rispetto molto di più di quanto possa comprenderti. E anche me stessa. Non devo fare concessioni per poter respirare.  Non devo lasciarmi dare un prezzo in un mercato di meme. Non devo rendermi visibile per poter seguire il mio percorso. Non devo essere timida per venerare il mio tempo. Mia madre mi ha insegnato che ci sono solo due cose che devo fare, e posso farle con chi decido io. Con me stessa, i miei vivi, i miei morti, le mie persone care, i miei sogni. 1: Restare Nera. 2: Respirare”.

A chi percorre il mondo “come persona non Nera” e si perde tra le pagine di questo libro, Alexis Pauline Gumbs rivolge un semplice “impara con riverenza”.

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Un viaggio al centro del mondo

Con una scrittura che si fa corpo, Eliane Brum in Amazzonia. Viaggio al centro del mondo (edito da Sellerio) ci porta nel cuore nell’Amazzonia. Un territorio a dir poco sconvolgente. “Chi entra nella foresta per la prima volta non sa che farsene delle sensazioni che avverte, di quelle parti del corpo che disconosceva e che all’improvviso non se ne andranno più. Prima o poi si ammala, perché il corpo cittadino, abituato a fingere di non esistere così da potersi robotizzare davanti a un computer, non sa cosa fare di sé”.

Così inizia a cambiare, a decostruire, a lasciarsi fluire e ad allargare il suo sguardo e i confini di sé. “Trovarsi in Amazzonia è sempre un’esperienza corporea. Sono riuscita a svelare (quasi) del tutto cosa vuol dire essere donna, in una società come quella brasiliana, solo quando ho saputo connettermi con la foresta e con le donne della foresta. La deforestazione, la distruzione della natura, la contaminazione del fiume con il mercurio e gli agrotossici sono diventate un’esperienza vissuta come violenza anche sul mio corpo, in me. È stato il primo segnale della mia riconversione in foresta”.

Eliane Brum propone una lettura radicale quanto le sue scelte, non c’è spazio per la “sostenibilità”, un concetto che l’autrice considera un alibi per non uscire dal capitalismo e dalla bianchezza. Un approccio decisamente scomodo per chi legge e si ritrova di fronte ad un uso sistematico della n-word. Interrogato in merito, il responsabile dell’ufficio stampa della casa editrice Sellerio Giacomo Manino afferma che “Vincenzo Barca e Giacomo Falconi (a nome dei quali anche rispondiamo), come traduttori eticamente responsabili, hanno seguito alla lettera le scelte lessicali dell’autrice, che infatti non ha ritenuto opportuno – nel testo originale dove ricorre l’equivalente portoghese della n-word – spiegare con una nota il perché di questa parola proibita e pertanto straniante” prima di proseguire “il discorso di Brum è quello di una persona bianca che si de-bianchizza, o almeno ci prova in tutti i modi, cercando di de-colonizzare il proprio pensiero. Ci sono pagine e pagine dedicate a questo movimento che, per forza di cose e per sua stessa ammissione, riesce solo in parte nel suo intento. All’interno di questo processo, Eliane Brum ricorre all’uso della n-word proprio in quanto parte del gruppo di soggetti dominati, a cui quest’uso è concesso”.

Una risposta che solleva interrogativi e ci riporta a quello che Brum narra in Amazzonia: una lotta lunga cinque secoli – quella dei popoli indigeni e delle popolazioni nere in rivolta contro la schiavitù, una lotta contro quell’un per cento che ha trasformato la terra in un luogo ostile per tutti i suoi abitanti, una lotta contro la bianchezza: “Bianco, in questo caso, non dipende dal colore, ma si riferisce a quelli che appartengono a ciò che Davi Kopenawa, sciamano e diplomatico del popolo Yanomami, chiama ‘popolo della merce’ o ‘mangiatori di foresta’. Non a caso l’Organizzazione delle Nazioni Unite parla di apartheid climatico”.

Una lotta di chi può esistere solo quando è fuori dalle mappe. Come dice all’autrice il sociologo Eduardo Viveiros De Castro, “gli indios sono specialisti della fine del mondo, dato che il loro è terminato nel 1500”. E da allora, non hanno mai smesso di resistere.

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