“Pensa globalmente e agisci localmente”, “vota col portafoglio” ecc. Quante volte avete sentito (o addirittura detto) queste frasi? Per alcuni prodotti questa scelta di vita è (o sembra) più semplice: per l’approvvigionamento di alimenti freschi, ad esempio, si può optare per i prodotti biologici o premiando le filiere corte che ormai sono disponibili anche nei supermercati. Per altri beni di consumo, invece, è decisamente più problematico attuare scelte più consapevoli dal punto di vista etico e ambientale. Se, all’inizio del XXI secolo, il settore del commercio equo e solidale aveva subito una crescita veloce e ampia, c’è da chiedersi se oggi lo scenario sia cambiato.
Analizzando i dati relativi all’andamento delle ricerche tracciato da Google Trends dal 2004 ad oggi, si può rilevare che la linea che segna l’interesse degli utenti (e che corrisponde alle domande digitate sul noto motore di ricerca) sia progressivamente in calo nonostante, nelle diverse aree del Pianeta, il tema della sostenibilità ambientale e sociale dovrebbe essere in primo piano a causa delle crisi ecologiche ed umanitarie che stanno colpendo – a diversi livelli – praticamente tutti i Continenti.
Esaminando google trends, fra gli argomenti correlati più ricercati in tale ambito spicca il caffè.
Sfruttamento e disparità economica: l’esempio del caffè
Nel mondo del commercio globale, i casi di sfruttamento e di disparità economica sono purtroppo comuni, specialmente nell’industria del caffè e tutto ciò può avere effetti diretti o indiretti sull’ecosistema circostante. Tuttavia, emergono nuove storie di speranza e cambiamento grazie all’impegno di aziende e organizzazioni che si dedicano a modelli di business più sostenibili ed equi e che puntano ad avere un impatto positivo sulle comunità locali e sull’ambiente. Un esempio? La storia di Nzatu presentata a Parma lo scorso 7 ottobre.
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Sostenere l’agricoltura rigenerativa
L’azienda Nzatu, fondata dalle sorelle zambiane Gwen Jones e Denise Jones Madiro, è stata istituita per supportare economicamente le famiglie degli agricoltori locali. Recentemente, la start-up ha esposto a Parma le sue metodologie agricole rigenerative che comprendono anche la produzione di caffè.
A riguardo vengono in mente le recenti parole lanciate da Salva il Suolo che, in vista della COP 29, ha ricordato che “i piccoli agricoltori contribuiscono al 30-34% del cibo mondiale, ma possono accedere solo allo 0,8% del totale dei finanziamenti per il clima, secondo la Climate Policy Initiative (ultimi dati disponibili, 2019/20). Sia gli esperti che gli agricoltori sottolineano che è urgente affrontare questa disparità, poiché spesso gli agricoltori non possono passare a pratiche rigenerative senza un sostegno finanziario”.
A Parma presentato il progetto Natzu
Tornando a quanto accaduto lo scorso 7 ottobre, l’incontro di Parma, moderato dal giornalista de La Repubblica Giacomo Talignani, ha visto la partecipazione dei principali attori coinvolti tra i quali c’erano Andrea Chiesi (cofondatore di Nzatu), Michele Sofisti (CEO di Nzatu Europe), Luca Montagna (CEO di Artcafè -che distribuirà in Europa il caffè Njuki, una miscela di arabica dall’Uganda) e Kwadwo Boachie-Adjei di Urban Afrique.
Originariamente incentrata sul settore dell’apicoltura, attualmente Nzatu opera in quindici paesi dell’Africa sub-sahariana, estendendo le sue attività a pratiche agricole ecocompatibili che favoriscono lo sviluppo di un reddito stabile e prolungato per le comunità locali.
Durante il convegno è stato descritto come il caffè Njuki prodotto da Nzatu non solo rispetti gli standard di sostenibilità, ma rappresenti anche un modello di business etico e responsabile.
In concreto tutto ciò cosa vuol dire?
L’obiettivo di Nzatu, infatti, è generare un impatto significativo a livello globale, lavorando in modo sostenibile con le comunità locali per creare opportunità economiche e sociali. Questi propositi virtuosi rischiano, però, di non entrare, come dovrebbero, nel cuore delle persone e soprattutto dei consumatori. Per tale ragione diviene fondamentale raccontare i problemi dell’attuale sistema economico e come, invece, progetti simili possano cambiare una comunità o la vita degli agricoltori.
Durante il convegno di lancio di Nzatu, infatti, Kwadwo Boachie-Adjei ha raccontato che uno dei maggiori problemi del sistema attuale è correlato al perseguimento dei modelli di social equity. Ad oggi, invece, gran parte del margine di profitto non è percepito dagli agricoltori, ma dai traders. Una possibile soluzione al problema potrebbe essere quella di accorciare la filiera collegando direttamente i coltivatori ai consumatori per consentire, quindi, ai produttori di ottenere una retribuzione più equa.
Le incertezze sul raccolto spingono infatti sempre più agricoltori a (s)vendere in anticipo il raccolto per non rischiare di ottenere retribuzioni troppo basse a causa delle oscillazioni dei prezzi offerti dal mercato e legate alle speculazioni.
Al contrario, Nzatu mira a concludere il ciclo economico collegando direttamente i produttori africani con i mercati occidentali e asiatici, assicurando così qualità, tracciabilità ed una remunerazione equa per un impatto duraturo e concreto, ponendolo peraltro al riparo da possibili speculazioni legate a situazioni di scarsità e ai rischi sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico. Proprio in relazione agli aspetti ambientali è doveroso ricordare come il progetto richieda a tutti i partner di controllare l’impronta di carbonio ed il relativo assorbimento lungo tutta la filiera in conformità all’EUDR (European Deforastation-Free produtcts Regulation). È infatti prevista una misurazione digitale, con rendicontazione e verifica dei dati sul carbonio al fine di rispettare gli impegni sul clima e gli obiettivi di sostenibilità prefissati.
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Un’economia sostenibile per un impatto sociale positivo: per una “generazione rigenerazione”
Tutto ciò non serve solo a garantire una equa retribuzione legata al singolo raccolto ma anche a rendere l’agricoltura più attraente per le nuove generazioni, contrastando l’emigrazione – verso le grandi città o verso settori come l’estrazione mineraria illegale – e consentendo così alle famiglie di garantire un’educazione scolastica ai minori, contrastare i matrimoni in giovanissima età per le ragazze ed incentivare la gender equality sul lavoro e l’emancipazione femminile. L’idea – hanno spiegato i relatori – è poter far crescere una “generazione rigenerazione” e non, come accade oggi, vederla sparire e migrare.
A tutela della biodiversità e in contrasto al bracconaggio
Riuscire a creare una filiera di agricoltura rigenerativa consentirebbe di dare ai giovani un futuro stabile e, grazie anche alla collaborazione con entità locali dedite alla conservazione della fauna, dare un’alternativa a chi oggi sopravvive solo grazie ad attività fortemente dannose per l’ambiente come il caso del bracconaggio o del taglio illegale di legname.
Assicurare loro la prospettiva che l’agricoltura possa, invece, garantire un reddito alle famiglie, incentiverebbe i lavoratori ad abbandonare la caccia di specie tutelate e in via d’estinzione.
L’impegno collettivo e l’innovazione possono realmente trasformare industrie intere, garantendo che il progresso economico non avvenga a scapito delle persone, della fauna o del pianeta.
Il progetto non prevede di fermarsi qui ma punta a ulteriori sviluppi anche in ottica di economia circolare. Il prossimo passo? Capire come valorizzare meglio gli scarti del caffè!
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