Quando si parla di greenwashing, oltre a suggerire come difendersi come consumatori e consumatrici da pratiche commerciali fuorvianti, è bene responsabilizzare quelle aziende che sempre più spesso, consapevolmente o meno, lo praticano.
Per questo l’Autorità garante della concorrenza e del mercato del Regno Unito, cioè la Competition and Markets Authority (CMA), ha ideato una guida pratica rivolta ai marchi di moda che spiega, anche attraverso esempi pratici, cosa fare e cosa evitare quando si elaborano dichiarazioni ambientali e green claim sui prodotti.
La guida Green claims in fashion – che si basa sul Green Claims Code redatto sempre da CMA – si applica a tutti i comparti del settore, in particolare ai rivenditori ma anche ai produttori, ai fornitori e ai distributori. “Ovunque vi troviate nella catena di fornitura, – scrive CMA in una nota – avete la responsabilità di assicurarvi che le vostre dichiarazioni siano accurate e supportate. In caso contrario, rischiate di infrangere la legge, di dover rimborsare i vostri clienti e di danneggiare in modo significativo la reputazione della vostra azienda”.
La guida contiene consigli pratici su come i marchi di moda dovrebbero, tra le altre cose:
- fornire informazioni chiare, accurate e complete sui loro prodotti
- assicurarsi che i criteri utilizzati per decidere quali articoli nelle collezioni “ecologiche” siano chiaramente definiti e specifichino qualsiasi requisito minimo
- essere specifici quando si utilizzano filtri o altri strumenti di navigazione per la ricerca di prodotti ecologici
- esplicitare se l’indicazione si basa solo su parti specifiche del ciclo di vita di un prodotto.
La chiarezza prima di tutto
Come abbiamo visto, su chiarezza e trasparenza la guida insiste particolarmente: laddove qualcosa non viene specificato ma solo lasciato intendere, molto spesso si tratta di greenwashing. Le dichiarazioni devono quindi abbandonare la vaghezza ed essere precise sia per i prodotti (comprese le etichette), che per la pubblicità, sia per i negozi che per l’online.
Ma cosa si intende esattamente quando si richiede di essere chiari? Il linguaggio deve essere semplice, le informazioni devono essere chiaramente visibili e presentate in un modo da consentire a chi acquista o intende acquistare di comprenderle facilmente: il green claim deve essere essere insomma affiancato da un’informazione precisa, puntuale e comprensibile.
Inoltre, le informazioni non dovrebbero essere accessibili solo tramite un’ulteriore ricerca da parte del consumatore: “I clienti – specificano – non devono fare qualcosa, come seguire un collegamento ipertestuale o scansionare un codice QR, per trovare queste informazioni. Dovrebbe trovarsi sullo stesso lato di un’etichetta o accanto al claim su un sito web. Non dovrebbe nemmeno contraddire l’affermazione”.
È comunque possibile, aggiungono, fornire alcuni tipi di informazioni a supporto separatamente, ad esempio su un’etichetta adiacente.
Un altro consiglio che arriva da CMA è che vanno evitati termini vaghi, come “verde”, “sostenibile” o “eco-friendly”, e questo perché è probabile che questi termini inducano le persone ad identificare il prodotto in oggetto come qualcosa che ha un impatto positivo sull’ambiente, o che almeno non lo danneggi, ma naturalmente rischia di non rivelarsi vero se non è sostenuto da dati scientifici.
“Ricordate: – il monito di CMA – se non potete dimostrare che ciò che dichiarate è vero, rischiate di infrangere la legge”.
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Correggere il claim
La guida include anche una serie di esempi illustrati, creati ad hoc per calare i precetti teorici in quella che potrebbe essere una comune campagna di marketing di un capo di moda.
Nel post, ad esempio, si sostiene che un cappotto invernale per bambini è anche “eco-fiendly”. Ma non si spiega che il motivo è che le maniche hanno un orlo nascosto che può essere scucito per allungarle, permettendo a un bambino in crescita di indossare il cappotto più a lungo. In altre parole, anche in questo caso è il cliente a dover intervenire e a dover fare qualcosa per far durare di più il prodotto.
“Se l’affermazione è vera solo se il cliente fa qualcosa, – spiegano nella guida – dovete spiegare questa azione (a meno che non sia già chiara dal contesto). Rendetelo chiaro ed evidente. Mostratelo vicino al claim, ad esempio sullo stesso lato dell’etichetta del prodotto. Questo aiuterà il cliente a fare una scelta consapevole”.
Inoltre, come detto, termini come “eco-friendly” sono da evitare in quanto possono portare ad esagerare e lasciar intendere le caratteristiche legate alla sostenibilità del prodotto.
La guida suggerisce anche un approccio corretto per promuovere questo tipo di prodotto. Sarebbe meglio un post sui social che reciti: “un cappotto invernale per bambini fatto per essere indossato più a lungo, con maniche che posso allungare? Sì, grazie”.
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Le lettere indirizzate a 17 marchi di moda
Oltre a pubblicare la guida, la CMA ha consigliato a 17 noti marchi di moda, che non ha però rivelato, di rivedere le loro pratiche commerciali. Le lettere evidenziano le aree relative alle dichiarazioni ecologiche sui cui è necessario intervenire, a partire dall’uso di termini ampi o generici e all’eventuale inclusione erronea di alcuni prodotti nelle collezioni “ecologiche”, senza indicarne i criteri.
Oltre agli aspetti già citati, le lettere denunciano indicazioni poco chiare sulla composizione di un prodotto, affermazioni potenzialmente fuorvianti sulle affiliazioni ed etichettatura dei prodotti come “riciclati”, suggerendo così che l’intero prodotto sia fatto di materiali riciclati, quando non sembra che sia così.
Si tratta comunque solo di suggerimenti, la CMA non può attualmente imporre ammende amministrative per le violazioni del diritto dei consumatori. Può però applicare la legge sui consumatori attraverso i tribunali e, se del caso, cercare di ottenere misure aggiuntive per migliorare la scelta dei consumatori, promuovere il rispetto della legge o garantire un risarcimento ai consumatori.
Tuttavia, nelle lettere si ricorda ai marchi di moda che la CMA avrà presto poteri più forti nei confronti dei consumatori grazie al Digital Markets, Competition and Consumers Act del 2024. Questo gli consentirà di multare le aziende fino al 10% del loro fatturato mondiale in caso di violazione della legge sui consumatori: fatto che implica dunque almeno una presa di consapevolezza da parte delle aziende, e un’azione tempestiva per rendere le loro dichiarazioni ambientali più accurate.
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