“Il cuoio ha una tradizione millenaria e da sempre è un esempio di economia circolare, perché non fa altro che trasformare un prodotto di scarto in un nuovo, bellissimo, oggetto”. Edoardo Imperiale, direttore generale della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Pelli e membro del CdA della Fondazione MICS, sottolinea come il settore conciario rappresenti uno dei pilastri dell’economia circolare italiana e, insieme all’alimentare, uno dei comparti più emblematici dell’eccellenza nazionale nel mondo. Nell’intervista con EconomiaCircolare.com a margine del Made in Italy Innovation Forum, organizzato a Cernobbio dal 23 al 25 giugno e promosso dalla stessa Fondazione MICS (Made in Italy circolare e sostenibile), riflette sul tema degli impatti dell’industria conciaria e di come il settore si sta muovendo per ridurli.
Dal 1885, la Stazione sperimentale lavora al fianco delle aziende conciarie italiane. “È un organismo nazionale, nato a Napoli, ma opera su tutto il territorio nazionale, in particolare nei tre principali distretti: Arzignano, in provincia di Vicenza, Santa Croce sull’Arno, in provincia di Pisa e Solofra, in provincia di Avellino. Supportiamo un un settore che secondo l’ultimo rapporto UNIC (2024) conta circa 1.070 aziende, con una quota export che sfiora il 70% della produzione e un valore complessivo di 2,84 miliardi di euro”, riassume Imperiale. “La nostra missione è accompagnare le imprese nella trasformazione digitale ed ecologica, facendo della sostenibilità e dell’innovazione i due driver principali di competitività internazionale”.
Come l’innovazione può ridurre gli impatti della concia
“Noi ci occupiamo di ricerca, di innovazione del materiale pelle – spiega Imperiale – di innovazione nel processo conciario e puntiamo molto sull’economia circolare: su come il cuoio può essere rigenerato, come può essere riutilizzato, e su come migliorare l’approccio circolare della pelle”. La SSIP, infatti, è oggi anche hub tecnologico nazionale e parte attiva nei programmi europei per la transizione green, con laboratori di ricerca avanzata e progetti di filiera che coinvolgono imprese, università e centri di ricerca.
Per avere un’idea dell’importanza della ricerca per la sostenibilità del settore basti pensare, ad esempio, quanto è rilevante la scelta del tipo di sistema conciante: circa il 90% del cuoio mondiale è conciato con sali di cromo, ma negli ultimi anni la richiesta di molti brand del settore moda e lusso sta aiutando la diffusione di processi di concia chrome-free/metal-free, che però incidono sul processo.

Per quanto riguarda il riutilizzo dei materiali l’industria conciaria per trasformare e sfruttare gli scarti dell’industria alimentare richiede una serie di complesse operazioni chimiche e meccaniche, che generano ulteriori scarti. La maggior parte di questi rifiuti è costituita da materiali solidi – come cascami, ritagli e polveri – ed è su questi che si concentrano oggi i principali sforzi tecnologici e di ricerca. Le attività di recupero riguardano soprattutto gli scarti non ancora conciati, da cui è possibile ottenere idrolizzati proteici (collagene, cheratine), impiegati nella produzione di fertilizzanti, biostimolanti o gelatine animali per uso alimentare.
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Imperiale: il ruolo della Stazione sperimentale nella formazione
La premessa per avere innovazione, tuttavia, è investire su una maggiore formazione. Non si tratta solo di preparare tecnici qualificati, ma di costruire un ecosistema integrato di competenze. Con questo scopo è nato il Politecnico del cuoio, lanciato dalla Stazione sperimentale per l’industria delle pelli. “È una academy interna che si è evoluta a programma nazionale e mette insieme formazione, cultura del cuoio, divulgazione e programmi di innovazione”, spiega Imperiale: “Attraverso il Politecnico del cuoio stiamo creando le competenze per la nuova generazione di professionisti, capaci di coniugare tradizione manifatturiera e tecnologie digitali, green e circolari. È questo l’investimento più strategico per garantire il futuro del comparto”.
“La Stazione sperimentale – prosegue – è socia fondatrice di un Istituto tecnico superiore in Campania, l’ITS ModaMi Academy, e oggi ha attivi ben quattro corsi ITS focalizzati solamente sulla pelle. Due sono a Solofra e due a Napoli: in quest’ultimo caso uno si concentra sul prodotto e un altro sull’internazionalizzazione del Made in Italy”. Si tratta di modello formativo pensato per rispondere direttamente alle esigenze delle imprese, con corsi di formazione costruiti a fianco delle aziende per un inserimento rapido e qualificato nel tessuto produttivo, non solo nel mondo conciario, ma anche nel campo del design o della produzione di articoli in pelle.

Restano ancora le criticità economiche e ambientali
L’industria conciaria è, dunque, al centro di una notevole transizione, sia per motivi economici e produttivi – come la concorrenza di altri materiali, meno belli, di qualità inferiore, ma poco costosi – sia ecologici, per la richiesta del mercato di maggiore sostenibilità. E se i temi ambientali possono essere affrontati con ricerca, innovazione e impegno delle aziende, sugli aspetti economici, secondo Imperiale, chi ha il compito di intervenire sono le istituzioni.
“Quello che secondo noi può essere potenziato sono gli interventi da parte delle istituzioni a tutela di un prodotto che viene fatto interamente in Italia”, sostiene Imperiale. “Il cuoio italiano non è solo una materia prima: è identità culturale, è know-how, è una bandiera del Made in Italy nel mondo. Servono politiche industriali ed europee che rafforzino la competitività delle imprese, valorizzino la tracciabilità e difendano il settore da pratiche sleali o da concorrenza basata esclusivamente sul prezzo”.
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