“Prima di creare qualcosa di nuovo, valutiamo e valorizziamo quel che abbiamo”. Più che le parole di Alessandro Bratti, direttore generale dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, a sorprendere chi assisteva agli incontri degli Stati generali della green economy – che si sono svolti il 26 e il 27 ottobre presso Ecomondo, la fiera internazionale dell’economia circolare – sono stati gli applausi tributati a Bratti.
A Rimini il Circular Economy Network, il think-tank che mette insieme molte aziende del settore e la Fondazione sviluppo sostenibile, stava presentando le proprie proposte in merito alla Strategia nazionale per l’economia circolare. Dopo le linee programmatiche pubblicate dal governo lo scorso 30 settembre, c’è tempo fino al 30 novembre per inviare i propri contributi alla consultazione. Tra le proposte illustrate a Rimini dal CEN c’è l’istituzione di un’Agenzia nazionale per l’economia circolare. Un po’ a sorpresa, l’idea è stata respinta da Ispra, da Enea e dal ministero della Transizione Ecologica, proprio nel luogo in cui in teoria il Circular Economy Network giocava in casa. Tanto che l’intervento del direttore di Ispra si è chiuso, come si diceva, con un lungo applauso. Ma cosa farebbe nello specifico questa Agenzia? E perché è stata respinta con forza da chi rappresenta enti pubblici?
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I compiti dell’Agenzia nazionale per l’economia circolare
E dire che nella sua relazione introduttiva alle proposte del Cen, il vicepresidente Stefano Leoni aveva dedicato poche parole all’Agenzia nazionale per l’economia circolare. Nel documento allegato alla relazione si legge che “si ritiene necessario che venga creata un’Agenzia nazionale per l’economia circolare, a cui dare i compiti di: monitorare l’avanzamento della circolarità e l’efficacia delle misure; fornire consulenza alle imprese e alle amministrazioni che intendono investire nella circolarità; creare e gestire piattaforme di scambio di buone pratiche e di simbiosi industriale; fornire supporto tecnico per l’aggiornamento della strategia nazionale; promuovere la ricerca e la sperimentazione di materiale e prodotti sostenibili e nuove tecnologie”.
In pratica l’Agenzia dovrebbe essere un nuovo ente pubblico specializzato, dove far confluire competenze, esperienze e personale dei vari enti che finora, in ordine sparso, si occupano di economia circolare. Un tentativo di riorganizzazione di cui si parla da molto tempo (nel 2017, ad esempio, il disegno di legge n°4586 parlava più genericamente di un’Agenzia nazionale per l’uso efficiente delle risorse) e che pare più urgente dopo il recente aumento dei prezzi delle materie prime. Come ha ricordato Leoni, “spingere sull’economia circolare non significa ovviamente autarchia, che dal punto di vista storico ovviamente non regge, ma essere più indipendenti all’interno di un mondo che continua ad avere una crescente richiesta di materie”.
La proposta del Circular Economy Newtork è stata subito rilanciata da Alessandra Gallone, vicepresidente dei senatori di Forza Italia nonché responsabile del Dipartimento Ambiente del partito, che si è impegnata a presentare “un disegno di legge per la nascita di questa struttura che avrà il compito di monitorare l’avanzamento della circolarità, offrire consulenze sul tema a imprese e amministrazioni, creare e gestire piattaforme di scambio di buone pratiche, offrire supporto tecnico e promuovere la ricerca e la sperimentazione di materiale e prodotti sostenibili e nuove tecnologie”. Mentre in Parlamento giace dal 2018 un altro ddl, a prima firma della senatrice Paola Nugnes (ex M5s, ora Gruppo Misto) che invece chiede l’istituzione di un’Agenzia nazionale per il riciclo. Insomma: le proposte non mancano. Ma alla luce di un settore che continua a modificarsi e ad innovarsi, l’istituzione di un ulteriore ente pubblico ha ancora un senso? Non sarebbe meglio, invece, favorire il cambio di paradigma da lineare a circolare attraverso un coinvolgimento generale di ogni settore produttivo? Affinché l’economia circolare non sia soltanto un nuovo ambito di produzione, con lo spostamento del profitto dalle risorse naturali alle materie prime seconde.
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I motivi del no all’Agenzia nazionale per l’economia circolare
Il direttore generale di Ispra non ha dubbi sul destino dell’Agenzia nazionale per l’economia circolare. “Spero che le iniziative parlamentari in tal senso non vadano mai in porto” afferma il dottor Bratti, per poi spiegare meglio il senso del suo intervento al Cen. “Io vedo negativamente la proposta di agenzia nel senso che le competenze ci sono già e sono in Ispra ed Enea. O si chiudono questi istituti oppure si mettono in condizione di lavorare seriamente – dice Bratti – Al massimo si può pensare a una sorta di agenzia virtuale dove, ognuno rimanendo nella sua istituzione, può dare il proprio contributo all’economia circolare. Ma le collaborazioni tra Ispra ed Enea sul tema ci sono già da tempo, e hanno dato buoni risultati. Piuttosto io credo che la questione sia un’altra, nel senso che coi decreti previsti dal MiTe sull’economia circolare si apre ora la partita degli impianti. Per questo motivo occorrono istituzioni pubbliche credibili. Va bene chiedere il confronto con la popolazione, va bene spingere sulla necessità climatica e ambientale, ma se ci fossero sedi locali e pienamente operanti di istituti pubblici come il nostro il discorso sarebbe a mio parere molto più semplice. Perché se la fiducia di chi vive nei territori non c’è la colpa è anche dell’assenza delle istituzioni a livello locale. Abbiamo già la teoria, ora manca la pratica”.
A dar manforte all’opposizione di Bratti all’Agenzia è Roberto Morabito, direttore del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali di ENEA. “Anche noi – afferma Morabito – siamo contrari all’idea di rivolgersi altrove sui temi dell’economia circolare. Non si possono ignorare le competenze che già ci sono. Se la strada dell’economia circolare è obbligata la politica si comporti di conseguenza, altrimenti si tratta di esercizi di stile”. Il terzo (secco) no all’Agenzia è poi arrivato da Laura D’Aprile, alla guida da settembre 2020 della Direzione generale dell’Economia Circolare al MiTe, che si è limitata a ribadire di aver espresso già la propria contrarietà ai tavoli istituzionali.
Quella che doveva essere una proposta “imparziale” da parte del Circular Economy Network, a Rimini ha invece mostrato di poter essere un nuovo episodio dello scontro tra le esigenze dei tecnici e le necessità della politica.
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