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venerdì, Novembre 15, 2024

I legami tra aree interne ed economia circolare. “Col Covid si è rilevata la scelta più efficiente per i paesi”

“Il coronavirus ha tirato fuori la capacità di riattivazione delle comunità”: così il ricercatore Filippo Tantillo sintetizza gli effetti benefici dell’economia circolare sulle aree interne. Che dovranno diventare protagoniste della ripartenza dell’Italia, vista anche la notevole mole di denaro in attivo. E i giovani sono già attivi

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

Secondo le ultime rilevazioni Istat, in Italia i Comuni con meno di 5mila abitanti sono 5.522, poco meno del 70% del totale. Siamo il Paese dei paesi, insomma. E la maggioranza di questi si trova nelle aree interne. La definizione più pregnante di “aree interne” è quella che dà il governo: si tratta di “territori fragili, distanti dai centri principali di offerta dei servizi essenziali e troppo spesso abbandonati a loro stessi, che però coprono complessivamente il 60% dell’intera superficie del territorio nazionale, il 52% dei Comuni e il 22% della popolazione. L’Italia più vera e anche più autentica, la cui esigenza primaria è quella di potervi ancora risiedere, oppure tornare”.

Per attrarre ritorni, impedire spopolamenti e confermare residenze l’economia circolare può essere uno strumento fondamentale? È la domanda attorno alla quale modelleremo un approfondimento successivo. Intanto serve partire dalle basi.

Una pioggia di soldi 

Alla seduta di question time del 21 aprile la ministra per il Sud e la Coesione Territoriale Mara Carfagna ha fatto il punto della situazione sull’enorme pioggia di soldi che sta per arrivare e che serviranno, secondo l’esponente del governo Draghi, per “favorire la coesione sociale e lo sviluppo territoriale”. Principi che riguardano soprattutto le aree interne, sempre più marginalizzate.

“Il governo italiano – ha detto Carfagna – si trova oggi a gestire la programmazione di quattro grandi piani: il Pnrr, dal valore complessivo di 221,5 miliardi e che poggia su due gambe, una europea da 191 miliardi e per la restante parte da fondi nazionali; il React Eu da 13 miliardi e mezzo e che assegna al Sud 8,3 miliardi di euro per progetti da realizzare entro il 2023; la Programmazione 21/27 di Fondi Strutturali che assegna all’Italia circa 43 miliardi di euro con altri 40 miliardi di euro di cofinanziamento nazionale e regionale; e la Programmazione 21-27 di Sviluppo e Coesione, da usare per l’80% al Sud e il 20% al resto del Paese. Tutti questi strumenti sono distinti, per quanto siano complementari”.

Cifre enormi, tanto che la stessa ministra si è sbilanciata nell’affermare che si tratta di “uno sforzo più grande di quello messo in campo per la ricostruzione nel Dopoguerra”. E che, vale la pena ricordarlo, ha portato poi alla famosa stagione del boom economico.

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Contro “l’emorragia demografica” e per un “lavoro ricco e qualificato”

Se è vero che le aree attualmente selezionate dalla Snai sono 72 – ne fanno parte complessivamente 1077 Comuni per circa 2.072.718 abitanti – in realtà le aree interne prevedono una popolazione totale di circa 13 milioni di abitanti. Più di un quarto dell’Italia, insomma. “Su tali luoghi – si legge ancora dal documento del governo –  la Strategia nazionale punta a intervenire, investendo sulla promozione e sulla tutela della ricchezza del territorio e delle comunità locali, valorizzandone le risorse naturali e culturali, creando nuovi circuiti occupazionali e nuove opportunità; in definitiva contrastandone l’emorragia demografica”. In che modo? Qualche interessante spunto lo fornisce una recente relazione della Cgil, curata da Gianni Di Cesare, responsabile politiche per le aree interne e il paesaggio.

Aria, acqua, suolo e ambiente sono la ricchezza delle aree interne – ha affermato Di Cesare –  Le aree interne diventeranno sempre più un importante servizio ecosistemico per il Paese e le nuove scelte dell’Europa del Green Deal, dell’Italia del Green New Deal, dell’Agenda ONU 2030 per la trasformazione verso lo sviluppo sostenibile e l’Accordo di Parigi rafforzano le scelte verso lo sviluppo locale sostenibile. La finanza stessa tiene a mente sempre più la questione ambientale.Le nostre piattaforme sul nuovo modello di sviluppo e sostenibilità aiutano molto il lavoro sulle Aree interne e sui luoghi (territorio). Raccordare queste piattaforme con le esperienze, i laboratori, linee guida per la Strategie delle Aree interne sarà molto utile.

Nelle politiche di coesione molta importanza sarà data all’economia e società della conoscenza, all’economia e società verde, al lavoro ricco e qualificato, all’economia circolare, al clima ed energia. Noi dovremmo spingere perché tutto questo si concretizzi nei territori, nei luoghi (città, aree interne, ecc.) nelle famose contrattazioni di Sito (ospedali, aeroporti, distretti industriali, nuclei industriali)”.

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“Non solo un valore ma la scelta più efficiente”

L’economia circolare, col suo mix di tradizione e innovazione, può essere un’opportunità fondamentale per il rilancio del nostro Paese e dunque delle aree interne (e viceversa) – nonostante la delusione del Piano nazionale di ripresa e resilienza firmato Draghi, che all’economia circolare ha tolto risorse rispetto a quelle previste dal governo Conte. A vedere il bicchiere mezzo pieno, con la consapevolezza che in ogni caso il lavoro da fare è ancora tanto, è Filippo Tantillo – ricercatore, esperto di politiche del lavoro e dello sviluppo e già coordinatore scientifico del team di supporto al Comitato Nazionale per le Aree Interne.

“Il Covid ha tirato fuori la capacità di riattivazione della comunità – osserva Tantillo – O meglio, quello che rimane delle comunità, visto che le aree interne sono diventate luoghi di transito, pur se è su di loro che si gioca molto del futuro del nostro Paese. Forse non è abbastanza chiaro a tutti, ma per esempio quasi tutti i nostri prodotti agricoli – che poi rendono il nostro Paese eccellenza a livello mondiale – vengono dalle aree interne, così come il settore manifatturiero e l’artigianato industriale. L’altro pilastro forte della nostra economia, sempre a livello di esportazioni, è la meccanica strumentale dove siamo i secondi in Europa, dopo la Germania. E anche qui i poli di sviluppo sono fuori dalle città, ovvero nelle aree interne. Il nostro è il Paese delle diversità, e le aree interne ne sono testimoni eccezionali”. Se il Novecento è stato il secolo delle metropoli, sempre più grandi e con una crescita caotica e disordinata, la lezione del coronavirus potrebbe essere proprio quella della valorizzazione e della riscoperta dei paesi. Andando però un po’ oltre la retorica dei piccoli borghi che, come ricorda Tantillo, è comunque “una lettura urbanocentrica”. Che fare allora?

“Col Covid le aree interne hanno reagito meglio delle città – riflette Tantillo – Partendo ad esempio dall’economia del dono e dalla circolarità dei piccoli e grandi gesti. L’economia circolare, specie nelle aree interne, si è rivelata la scelta più efficiente e non soltanto un valore da perseguire. Faccio un esempio, ma ne potrei fare tanti altri. Nel modenese nel ‘45 il primo sindaco dopo il fascismo, un comunista, decise di regalare un pezzetto di terra a tutti gli artigiani che erano stati licenziati durante la guerra. Ciascuno si costruì il proprio capannone, col proprio tornio, e si creò in questo modo un vero e proprio distretto. A un certo punto qualche anno fa morì uno degli storici artigiani dell’area. Io ero andato a filmare il suo capannone, e scoprii una montagna di roba tra calcolatrici, strumenti ottici e bici. In pratica quest’uomo, da incolto, era diventato il punto di riferimento per la riparazione, vista la sua passione per il tema. In un distretto che a Modena produce marchi come Lamborghini e Ducati. Non solo perché lì trovavi il pezzo ma perché quell’uomo sapeva immaginare il processo per costruirlo”. Una storia di economia circolare, insomma, che è più facile costruire e ricostruire, è proprio il caso di dirlo, nelle aree interne.

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I giovani per le aree interne

Attorno alla Snai si muovono non solo interessi economici ma anche di coloro che sono genuinamente consapevoli delle potenzialità inespresse. La tanto discussa “fuga dei cervelli” si combatte anche, se non soprattutto, proprio attraverso la valorizzazione, la costruzione di una rete e la messa a sistema delle aree interne. Che sono poi gli obiettivi della Officina Giovani Aree Interne e di Rifai, la Rete Italiana dei Facilitatori delle Aree Interne.

“Il progetto Officina Giovani Aree Interne – si legge nel documento autoprodotto – prevede il coinvolgimento di associazioni, attivisti, operatori economici e dei servizi e ricercatori under 40 che operano nelle aree interne al fine di definire un manifesto programmatico che identifichi priorità e scopi comuni per: promuovere azioni per la valorizzazione delle risorse territoriali e dell’energia delle nuove generazioni, puntando sull’intraprendenza; partecipare attivamente all’attuazione della Strategia Nazionale Aree Interne sul territorio facilitandone e monitorandone l’avanzamento”.

Officine Coesione, il macrocontenitore di cui fa parte il gruppo di lavoro dei giovani delle aree interne, è un progetto del PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020. Attualmente, dopo aver elaborato proposte di policy (che trovate qui) in cui si invocano uno sviluppo e una cultura circolari, ha “sottoposto il documento a più di 400 soggetti fra associazioni, amministratori, ricercatori, studenti, provenienti da tutto il Paese, che hanno proposto e continueranno a proporre integrazioni, emendamenti, approfondimenti”. La speranza è che alle macroaree finora designate – ambiente, territorio e agricoltura, partecipazione e spazi di socialità, lavoro, formazione e innovazionesi possa aggiungere, perché no, un focus specifico dedicato all’economia circolare.

Molto simile, nell’approccio costruttivo che poi è quello che caratterizza anche EconomiaCircolare.com, è il progetto Rifai. Nato “per condividere un percorso di crescita personale e per andare verso il superamento delle disuguaglianze socio-economiche e territoriali venutesi a creare negli ultimi decenni tra città e aree interne – si legge nel documento sull’omonimo sito – Tra le prime cose da affrontare, le scarse opportunità lavorative di livello qualificato, la difficoltà di accesso ai servizi essenziali e un sistema di istituzioni politiche e apparati amministrativi e burocratici dello Stato insostenibilmente lento e farraginoso. Spesso si manifesta una carenza di accesso alle informazioni sulle diverse opportunità messe a disposizione dei giovani, che ne inficiano la possibilità per chi abita nei comuni delle aree interne di poterne usufruire. Il web ha sicuramente assottigliato queste difficoltà ma rimangono importanti sportelli, uffici e associazioni che possano fare da tramite tra i giovani e le informazioni a loro destinate. È un problema di democrazia, legato a quella “dignità sociale” di cui parla l’articolo 3 della Costituzione Italiana, ostacolata da una condizione di disparità”.

In questo caso Rifai auspica l’emancipazione delle aree interne attraverso la sperimentazione di “nuovi modelli di esistenza, più in linea con l’ambiente e il paesaggio in cui nascono. Nuovi modelli da suggerire ed esportare anche nelle aree metropolitane, avviando e rafforzando processi circolari di rigenerazione e ri-significazione delle risorse ed energie esistenti”.

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