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venerdì, Novembre 15, 2024

Gas e nucleare nella tassonomia Ue: è battaglia (di dichiarazioni) ma l’inclusione è certa

Nella bozza dell’atto delegato complementare della Commissione europea sulla tassonomia, gas e nucleare vengono inclusi nella lista di attività che danno un sostanziale contributo alla riduzione dei cambiamenti climatici. Nonostante il parere contrario dei tecnici e di alcuni Stati membri

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

È ancora presto per dire se di bufera si tratta, o di una passeggera perturbazione, quella che si è addensata negli ultimi giorni del 2021 sulla Commissione europea. I toni duri, fino alle accuse di greenwashing rivolte a Bruxelles da parte di alcuni Stati membri, non sono mancati. Eppure, al di là delle dichiarazioni, non si annunciano strappi a livello di Consiglio europeo.

Oggetto del contendere è stato un argomento finora relegato alle “cavillosità” di Bruxelles che, improvvisamente, è tornato in primo piano negli interessi nazionali. La “Taxonomy Regulation”, la normativa dell’Unione europea che stabilisce quali attività economiche e fonti di energia possono essere definite “green”. Il suo scopo, in futuro, sarà favorire l’afflusso di capitali finanziari verso tutto ciò che è ritenuto “non dannoso” per l’ambiente e contrastare il greenwashing.

Nello specifico, lo scontro è sulla possibilità di includere il gas e nucleare tra le fonti di energia “che contribuiscono alla riduzione dei cambiamenti climatici”. Una contraddizione di termini, sostengono tecnici e ambientalisti, perché gli impianti di energia elettrica a gas sono fonte di inquinanti serra e gli impianti nucleari comportano una serie di problemi per lo smaltimento delle scorie nucleari. Una scelta necessaria in vista della transizione ecologica, la posizione che sembra predominante a Bruxelles.

Dietro, la trattativa tra gli Stati membri dell’Unione europea che ricorda più una partita geopolitica. Su un tema, come quello ambientale, che non dovrebbe seguire gli interessi nazionali ma la scienza. E la posizione dei tecnici consultati dalla Commissione europea lascia poco spazio a interpretazioni. In attesa della decisione finale, prevista negli ultimi giorni di gennaio, ecco l’attuale quadro della situazione.

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Gas e nucleare: un dibattito durato mesi ma dall’esito scontato

La “Taxonomy Regulation” è diventata una legge dell’Ue nel 2020, ma la risoluzione di alcuni nodi cruciali è stata affidata ai cosiddetti “atti delegati”, una legislazione di secondo livello in cui dirimere le questioni più tecniche, con un differente iter di approvazione. Tra questi, l’atto delegato complementare con cui la Commissione europea deve decidere se includere nella tassonomia, e dunque considerare come energia “pulita”, il nucleare e il gas.

Dopo mesi di discussioni e di rinvii, a fine dicembre è circolata la bozza definitiva della Commissione, che ha suscitato l’indignazione di tutte le associazioni ambientaliste, ma anche di alcuni degli Stati membri. In pratica, la Commissione ritiene che il gas e il nucleare, a determinate condizioni,  definite “chiare e rigorose”, potrebbero svolgere un ruolo come strumenti per facilitare la transizione ecologica. Ritenendoli quindi anche oggetto di investimenti “green” da parte della finanza sostenibile.

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Cosa prevede la bozza di Bruxelles

Secondo la bozza della Commissione, una centrale nucleare è riconosciuta fonte di energia pulita se ha un piano di sviluppo, fondi sufficienti e un luogo dove depositare i rifiuti radioattivi. Inoltre, nuove centrali nucleari saranno green solo se avranno ricevuto i permessi di costruzione prima del 2045.

Per quanto riguarda gli impianti già esistenti, sarà considerata attività verde anche l’estensione del ciclo di vita “in considerazione dei tempi lunghi per gli investimenti in nuova capacità di generazione nucleare”. Tuttavia, saranno necessari, precisa Bruxelles, “modifiche e miglioramenti alla sicurezza” e dovranno rispettare la soglia massima di emissione di 100 gCO2e/kWh, sotto la quale possono rientrare nella tassonomia verde.

La stessa soglia è stata individuata per le centrali elettriche a gas. Per gli impianti di cogenerazione di nuova costruzione, invece, le emissioni sull’intero ciclo di vita devono essere minori di 270 gCO2e/kWh. Inoltre una clausola tassativa vieta dopo il 31 dicembre 2030 la costruzione di nuove centrali a gas, mentre gli impianti più inquinanti dovranno mano a mano essere sostituiti da quelli di nuova generazione.

In conclusione, Bruxelles assegnerà la patente “green” alle centrali a gas e nucleari assumendo che si trattino di fonti energetiche di transizione. Riconoscendo, dunque, che non sono completamente sostenibili, ma accettabili perché sotto la media inquinante del carbone. Con un’altra stranezza. Per le centrali esistenti i criteri sono più rigidi rispetto a quelli delle centrali costruite in futuro.

Il parere inascoltato dei tecnici della Commissione

La soluzione di Bruxelles non è per nulla piaciuta ai tecnici consultati dalla Commissione in fase di lavorai preparatori. “Semplicemente perché le conclusioni non hanno fondamento scientifico” taglia corto Luca Bonaccorsi, responsabile di finanza sostenibile per l’organizzazione non governativa Transport&Enviroment. Insieme a lui, altri esperti di ong, scienziati, ma anche lobbisti di multinazionali, fanno parte della piattaforma sulla finanza sostenibile istituita da Bruxelles come organo consultivo.

Con il gruppo di esperti la Commissione europea ha avviato delle consultazioni che andranno avanti fino al 21 gennaio – inizialmente la scadenza era prevista per il 12 gennaio, proprio oggi è stata prorogata per consentire qualche giorno in più nell’analisi. “Proveremo a mettere la sabbia negli ingranaggi o quantomeno emendare le parti più inacettabili. Se non ci riusciremo, paradossalmente, saremo costretti a fare campagna contro quello per cui lavoriamo da anni, perché una tassonomia così perde la sua credibilità”, anticipa Bonaccorsi.

“Basti pensare al nucleare. Una vittoria politica della Francia – sostiene l’esperto di T&E – che rende green tutto il nucleare, senza neppure distinguere tra nuovi e vecchi impianti ed entrare nello specifico dei criteri richiesti per lo smaltimento delle scorie”. È questo il passaggio meno chiaro dell’atto delegato anche per un altro membro della piattaforma, l’ingegnere ambientale e professore ordinario all´Università di Aquisgrana, Marzia Traverso.

“Lo studio del Joint Research Center (il Centro comune di ricerca della Commissione europea ndr) citato per supportare le tesi della sostenibilità del nucleare non tiene sufficientemente in considerazione l’impatto dovuto alle scorie radioattive. E quando parla di depositi sicuri geologicamente, mancano studi che stabiliscano come individuarli in base a criteri scientifici”. Invece, secondo Traverso, al nucleare mancano i requisiti minimi per la tutela dell’ambiente, della biodiversità e per l’inquinamento, sebbene sia una tecnologia a impatto zero dal punto di vista dei gas climalteranti.

Lo stesso discorso vale per il gas: “Come si fa a sostenere che non contribuisce al riscaldamento globale? Al massimo potrebbe rientrare nel prossimo atto delegato sulla riduzione dell’inquinamento, ma non sull’attuale focalizzato sui cambiamenti climatici, perché è risaputo che gli impianti a metano inquinano meno l’aria di quelli a carbone e a petrolio, ma emettono una notevole quantità di CO2”, spiega l’ingegnere ambientale. “Almeno che siano verdi solo quegli impianti a gas che sostituiscono le centrali a carbone”, aggiunge Bonaccorsi.

Difficilmente, in ogni caso, è la percezione degli esperti, le loro posizioni verranno ascoltate. “Ci è stato comunicato di inviare il nostro feedback con una mail intorno alle ore 22 del 31 dicembre. Dodici giorni di tempo sono insufficienti per una materia così vasta”, racconta Marzia Traverso. Insomma, l’impressione è che si sia trattato di una mossa “dovuta” da parte di Bruxelles, ma i giochi siano ormai decisi.

L’Europa divisa: le nazioni “permissive”

Del resto, la bozza ha profondamente diviso anche i 27 Stati membri. La Francia guida all’interno del Consiglio europeo un gruppo composto da dodici nazioni (le altre sono Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Svezia e Olanda) favorevole all’inclusione dell’energia nucleare in tassonomia.

All’interno si trovano Stati con enormi interessi nell’atomo (la Francia), nazioni intenzionate a investirci (i Paesi dell’Est Europa) e nazioni che hanno deciso per ragioni politiche di supportare Parigi nelle trattative (Olanda e Svezia). A cui si aggiunge il parere favorevole del Joint Research Centre della Commissione Ue. Una chiaro messaggio da Bruxelles verso dove soffi il vento.

Le nazioni dell’Est Europa spingono, inoltre, perché anche il gas sia definito fonte energetica di “transizione”, visto che lo ritengono indispensabile per abbandonare la dipendenza da carbone. Un tema sul quale non è sorda neppure la Germania, che si trova nelle stesse condizioni e in più ha investito nei gasdotti Nord Stream. Infine l’Italia, che non ha centrali a carbone, ma è un importante hub di gas nel Mediterraneo e con Eni ha puntato molto su questa fonte energetica.

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L’Europa divisa: la nazioni “rigorose”

A opporsi nettamente alla patente “green” per il nucleare sono cinque Paesi: Austria, Danimarca, Germania, Lussemburgo e Portogallo. L’Austria, attraverso il ministro per il clima, Leonore Gewessler, ha addirittura minacciato un’azione legale contro Bruxelles e accusato la Commissione europea di “ambientalismo di facciata” per il suo tentativo di “ripulire” nucleare e gas. Il ministro ha definito il nucleare “una fonte energetica del passato”, “troppo costosa e troppo lenta” nella lotta ai cambiamenti climatici.

Critiche sono arrivate anche dalla Germania. Per il vice-cancelliere Robert Habeck, dei Verdi, considerare il nucleare sostenibile è una scelta “sbagliata” che “annacqua” gli sforzi fatti per arrivare all’obiettivo zero emissioni nei prossimi decenni. Certo, la Germania ha assistito a una crescente resistenza al nucleare dopo il disastro all’impianto giapponese di Fukushima nel 2011.  E, infatti, il ministro dell’Ambiente Steffi Lemke in una recente intervista ha ribadito: “Il governo tedesco consegnerà una dichiarazione ufficiale in cui ribadisce il no all’inclusione del nucleare nella tassonomia”. Tuttavia, l’interesse tedesco per il gas e l’intenzione di non voler creare frizioni con Parigi alla vigilia del semestre europeo francese, potrebbe spingere Berlino a cercare un accordo.

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L’Italia: l’ago della bilancia per l’inclusione di gas e nucleare?

Secondo chi segue i lavori dall’interno, come Bonaccorsi, il gas è stato il grimaldello con cui Macron ha portato a casa il risultato del nucleare “green”. E questo è stato possibile anche e soprattutto grazie all’intervento decisivo dell’Italia, che ha rappresentato l’ago della bilancia nello stallo Francia-Germania.

Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, non ha mai fatto mistero della sua convinzione. La differenza tra la produzione energetica delle fonti rinnovabili e il totale dei consumi nei prossimi anni si dovrà coprire con il ricorso al gas. L’Eni in questi anni ha investito in modo significativo nel gas e l’obiettivo dell’Italia nel futuro immediato è di ridurre la dipendenza dall’estero e aumentare la quota di produzione nazionale.

“E fin qui lo sapevamo da tempo”, commenta amaro Bonaccorsi. “L’Italia è andata però oltre, facendosi promotrice, per interessi esclusivamente nazionali, di una misura che diminuirà in maniera drastica l’efficacia dei paletti individuati da Bruxelles per definire gli impianti a gas energia pulita, che di per sé sarebbero stati sufficientemente stringenti”, spiega il membro della piattaforma per la finanza sostenibile.

Nella bozza attuale, infatti, è spuntata un’eccezione che bypassa i criteri. “Un nuovo impianto – spiega Transport&Enviroment in una nota – sarà dichiarato ‘green’ sulla base della promessa che nel corso dei prossimi venti anni le emissioni serra saranno in media inferiori ai 550 kg di CO2 per ogni kW. È uno stratagemma per installare oggi impianti inquinanti con l’inaccettabile promessa che verranno utilizzati in misura ridotta nel futuro”.

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Cosa comporta l’esclusione dalla tassonomia

Se per il gas ci sono indubbi interessi nazionali in ballo per l’Italia, per quanto riguarda il nucleare, la scelta di essere un Paese denuclearizzato è stata certificata in due occasioni dagli elettori. Sebbene la Lega stia facendo nuovamente campagna per il ritorno dell’atomo, gli altri due principali partiti di maggioranza, Pd e Movimento Cinque Stelle, hanno espresso la loro contrarietà alla bozza di Bruxelles. Bisogna vedere se sarà sufficiente per cambiare qualcosa all’interno del governo Draghi.

Oltre alla difficoltà politica di fare accettare al proprio elettorato una misura impopolare, c’è un altro timore per chi si oppone alla bozza della Commissione. “La tassonomia creerà condizioni di sviluppo più favorevoli per le tecnologie che vi saranno comprese. In parole povere, aiuti pubblici e quindi denaro pubblico”, sostiene in una nota il Comitato per la Transizione Ecologica del M5S. E i soldi pubblici, è il ragionamento dei pentastellati, dovrebbero andare solo alle fonti di energia davvero “green”.

La Commissione, infatti, ha lasciato trapelare l’intenzione di lavorare nel prossimo futuro affinché la tassonomia diventi lo strumento con cui individuare cosa può ottenere finanziamenti pubblici, e questo ha fatto scattare l’allarme nei governi europei, non intenzionati a cedere a Bruxelles il controllo dell’energia. Questi timori sono, tuttavia, un fuorviante fraintendimento di cosa sia la tassonomia. Allo stato attuale, infatti, come ricorda Bonaccorsi, “la tassonomia non ha alcun impatto sui fondi pubblici e rende solo più agevole il finanziamento privato”.

Secondo Il Sole 24 Ore, inoltre, nessuno degli impianti a gas italiani, con la tassonomia, potrebbe ricevere più finanziamenti. Anche in questo caso, però, se è vero che i green bond finanzieranno solo progetti e attività di transizione, come la conversione di un impianto, “non è corretto affermare che le attività al di fuori della tassonomia non otterranno più fondi”, chiarisce Traverso.

“Non ci saranno solo i green bond nel futuro, resteranno anche gli investimenti tradizionali. La tassonomia ha il solo scopo di identificare e favorire il finanziamento delle attività che daranno un sostanziale contributo a uno dei sei obiettivi individuati dalla tassonomia stessa (in questo caso la mitigazione dei cambiamenti climatici), garantendo il rispetto del criterio Do not significant harm” (il principio comunitario del danno non significativo) per gli altri cinque. Tutto il resto sono speculazioni politiche legate agli interessi nazionali.

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