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venerdì, Novembre 15, 2024

Il paradosso del Bando Borghi del Pnrr che genera spaesamento

Fa ancora discutere l'avviso pubblico presentato a fine dicembre 2021 dal ministro Dario Franceschini. A essere messa in discussione è soprattutto l'idea di fondo: la rigenerazione in chiave culturale e turistica è l'unico modo per rilanciare i paesi?

Alessandro Coltré
Alessandro Coltré
Giornalista pubblicista, si occupa principalmente di questioni ambientali in Italia, negli ultimi anni ha approfondito le emergenze del Lazio, come la situazione romana della gestione rifiuti e la bonifica della Valle del Sacco. Dal 2019 coordina lo Scaffale ambientalista, una biblioteca e centro di documentazione con base a Colleferro, in provincia di Roma. Nell'area metropolitana della Capitale, Alessandro ha lavorato a diversi progetti culturali che hanno avuto al centro la rivalutazione e la riconsiderazione dei piccoli Comuni e dei territori considerati di solito ai margini delle grandi città.

A Sirolo, Comune di quattromila abitanti in provincia di Ancona, c’è un teatro a cielo aperto ricavato da una cava dismessa, dove l’estrazione della pietra rosa ha lasciato il posto ai concerti di musica lirica e a una rassegna estiva di eventi dal grande valore culturale. Con i suoi 1500 posti a sedere il “teatro naturale le cave” è stato scelto come luogo principale da rigenerare attraverso la linea B del Bando Borghi, una delle misure del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza gestita dal Ministero della Cultura e dedicata ai piccoli centri italiani.

L’amministrazione comunale punta all’acquisto dell’ex zona industriale: dodici ettari tra cave e boschi da inserire nel patrimonio pubblico per “valorizzare la proposta culturale sirolese attraverso un approccio integrato e assolutamente organico, in grado di potenziare l’offerta culturale sia per la comunità locale sia per quella turistica”, si legge in un comunicato diffuso dal Comune dopo la presentazione del progetto. Il bando è scaduto lo scorso 15 marzo e ora Sirolo è in attesa.

Questo paese della riviera del Conero spera di rientrare tra i 229 progetti che verranno finanziati dall’avviso pubblico presentato a fine dicembre 2021 dal ministro Dario Franceschini. Le risorse sono destinate a nuovi spazi di coworking, all’apertura di biblioteche, a nuovi itinerari turistici, a iniziative per l’incremento della partecipazione culturale, e ancora residenze artistiche, alberghi diffusi e alloggi universitari. La finalità – si legge nell’avviso pubblico – è promuovere progetti per la rigenerazione, valorizzazione e gestione del grande patrimonio di storia, arte, cultura e tradizioni presenti nei piccoli centri italiani, integrando obiettivi di tutela del patrimonio culturale con le esigenze di rivitalizzazione sociale ed economica, di rilancio occupazionale e di contrasto dello spopolamento.

Insieme a Sirolo ci sono altre 1.800 proposte provenienti da tutta Italia. Ed è questo il primo dato da analizzare: la mobilitazione dei piccoli centri nella presentazione di progetti per la rigenerazione culturale; lo sforzo di quella parte di Paese che spesso consideriamo minoritaria, residuale e incastonata nel passato.

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Le due linee di finanziamento del bando

Quando parliamo del Bando Borghi ci riferiamo a un investimento di un miliardo di euro diviso in due linee principali di finanziamento: la linea A prevede il coinvolgimento delle regioni per scegliere 21 borghi storici dove realizzare un progetto pilota (uno per regione o provincia autonoma) dal “particolare rilievo e significato per la rigenerazione culturale, sociale ed economica dei borghi a rischio abbandono o abbandonati”. Ogni progetto riceverà 20 milioni di euro, per un totale di investimento pari a 420 milioni. E poi la linea B, che ha come protagonisti i Comuni e le aggregazioni di territori (fino ad un massimo di tre Comuni) con un limite di cinquemila abitanti. I progetti selezionati riceveranno un importo massimo di 1 milione e 600 mila euro. Per questa linea le risorse ammontano complessivamente a 380 milioni.

Sono in arrivo fondi importanti per le aree interne, per i dintorni delle città, per le zone montane. Ma che visione c’è dietro il Bando Borghi? Come hanno affrontato questa sfida i Comuni? Amplificare le voci di chi vive, studia e lavora in questi territori permette di analizzare e criticare le possibili ricadute di questa misura del PNRR.

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I Comuni alle prese con la linea B

Marco Cardinaletti, progettista e consulente per diversi comuni delle Marche, ha accompagnato Sirolo nella compilazione del Bando Borghi, lavorando proprio alla riqualificazione dell’area delle cave. “Gli enti locali hanno fatto i conti con un bando molto complesso ed è stato difficile gestirlo in pochi mesi. I problemi principali sono da individuare nella procedura: la piattaforma dedicata alla presentazione dei progetti ha avuto diverse criticità. Ci sono stati problemi anche nel formulario, e lo dimostrano il grande numero di Faq che troviamo sul sito. In generale l’avviso pubblico aveva un’impostazione interessante: il turismo non era centrale in questo bando, abbiamo avuto la possibilità di lavorare per l’attrattività residenziale, per il potenziamento dei servizi e per la valorizzazione del patrimonio culturale locale. Di certo, avere pochi giorni a disposizione non ha messo in condizione i Comuni di prepararsi in maniera adeguata. I territori con una visione e con progetti di rigenerazione già in cantiere hanno sicuramente maneggiato meglio questo bando”, racconta Cardinaletti a Economiacircolare.com.

Nella tabella di valutazione del bando tra i punteggi più alti spicca quello per le partnership pubblico-private, in particolare 9 punti per tutte quelle progettualità che hanno “accordi di collaborazione pubblico privato e di accordi tra pubbliche amministrazioni già stipulati al momento di presentazione della domanda finalizzati alla realizzazione di uno o più interventi previsti dal progetto”. Forse, questo indicatore restituisce il livello di difficoltà affrontato dalle amministrazioni. Come si fa a costruire in 60 giorni una serie di partenariati che non siano solo firme su un foglio ma un reale coinvolgimento di imprese, cittadini e istituzioni? In generale, tra tempi stretti e il numero elevato di domande, se il ministero ferma la sua azione politica al Bando Borghi, la linea B corre il rischio di generare un senso di spaesamento in tanti territori, in tutti quei paesi che non rientreranno tra i progetti finanziabili e anche in quelli vincitori che non riusciranno a rispettare i tempi del PNRR.

In uno speciale su Borghi e PNRR curato da percorsi di secondo welfare, Isabella Andrighetti, responsabile del programma bandiere arancioni del Touring Club, nel commentare la linea B ha valutato positivamente la centralità data agli accordi tra pubblico e privato, mentre ha segnalato la grande mancanza di competenze negli enti locali. “Mi stupisce sempre l’energia propositiva, la visione e la capacità di innovazione che molti Comuni sanno portare a beneficio del proprio territorio – ha osservato Andrighetti – È evidente però che in questa occasione, anche le amministrazioni più organizzate, debbano far fronte alle carenze delle proprie strutture amministrative. I Comuni con meno di 5.000 abitanti, possono essere piccoli da un punto di vista demografico ma non necessariamente di territorio amministrato, vivono il paradosso di strutture tecniche ridotte ai minimi termini”.

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La spinta dal basso che viene dai margini

La rete di Officina Giovani Aree Interne – iniziativa a supporto del Comitato Tecnico Aree Interne (CTAI), nell’ambito di Officine Coesione – ha cercato di non dissipare questa energia propositiva presente nei paesi provando a sostenere gruppi informali, imprese, associazioni e amministrazioni nella presentazione delle linea B. Dopo aver ricevuto molte segnalazioni e tante richieste di chiarimento sul Bando Borghi, a gennaio la rete ha organizzato un webinar con Ottavia Ricci, consigliera del Ministro dei beni culturali, colmando così una mancanza di coinvolgimento tra il ministero e i comuni interessati al bando.

“Abbiamo avuto più di 300 partecipanti – racconta Giulia Sonzogno, referente della rete giovani aree interne – Erano collegati da tutte le parti di Italia, c’erano sindaci, alcuni dei quali molto giovani, c’erano gruppi di ragazze e ragazzi con proposte progettuali valide che hanno sentito l’esigenza di parlare con il ministero per chiarire molti aspetti del bando. Bisogna tenere in considerazione questa mobilitazione, il grande valore delle aree interne sta proprio in questa spinta dal basso, che spesso contiene pratiche innovative da valorizzare”.

La grande partecipazione al bando e alle iniziative legate alla presentazione di proposte progettuali conferma quanto analizzato dalla rete nei mesi scorsi, ossia che nelle aree interne i giovani non vogliono soltanto restarci, vogliono contare di più. La linea B sarà uno strumento per rimuovere gli ostacoli al coinvolgimento e alla partecipazione attiva delle comunità giovanili? Si potrà rispondere soltanto dopo la valutazione dei progetti, ma resta il fatto che nel dibattito pubblico e politico le soggettività raccolte dall’officina giovani non trovano molto spazio, e quando lo trovano finiscono spesso per essere materiale ausiliario al marketing territoriale, o alla retorica della fuga dalle città durante la pandemia verso “un arcipelago di borghi che ci ricollega alla natura”, così definisce l’Italia dei paesi l’archistar Stefano Boeri.

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La linea A e quella visione urbanocentrica che non aiuta i paesi

In questo storytelling la scelta di andare, restare o tornare nelle aree interne sembra quasi coincidere con una resa, una sorta di ritiro dalla contemporaneità. Questa rappresentazione, in sostanza generata in funzione delle città e degli spazi urbani, sembra finire su carta all’interno di alcune misure del Bando Borghi, soprattutto nella linea A, che come ricorda Luca Martinelli su Altreconomia oltre a somigliare a una lotteria, finisce per portare risorse nei capoluoghi di provincia.

Sembra difficile contrastare lo spopolamento nei comuni montani e nelle aree interne partendo da Gorizia, eppure la Regione Friuli Venezia Giulia ha candidato il centro storico di questa città come luogo dove investire i soldi destinati ai progetti pilota del bando borghi. Questa scelta traduce bene l’idea di borgo come sfondo di una gita fuori porta, come location da vivere il fine settimana. Diventa così ancora più faticoso far emergere conflitti, idee, rabbia, indignazione, disuguaglianze, nuove forme di economia civile e di gestione del territorio, sguardi inediti e immaginari provenienti dall’Italia interna.

Per Antonio De Rossi, professore di architettura al Politecnico di Torino e membro della rete Riabitare l’Italia, il Bando Borghi è intriso di metrofilia, ossia di una rappresentazione dell’Italia dei paesi generata dal centro che riduce la complessità territoriale dell’Italia; un Paese “ruguso e granulare”, lo defiscono spesso Fabrizio Barca e il gruppo di Riabitare l’Italia.

Sia Antonio De Rossi che Filippo Barbera, professore dell’Università di Torino, così Marco Bussone, presidente dell’Uncem, hanno criticato l’impostazione generale del Bando Borghi e il suo impianto narrativo. “Quando la metrofilia diventa una pratica finisce per candidare a borgo la frazione di Stupinigi, poco distante di Torino. C’è stata una grande mobilitazione e alla fine la Regione Piemonte ha fatto un passo indietro. Per la linea A è stata scelta Elva, piccolo comune della Val Maira: 20 milioni per un unico Comune sono molti, e anche qui si intuisce la lontananza dei ministeri dai territori, perché il rischio è di non riuscire a stare dietro ai tempi del Pnrr”, precisa Antonio De Rossi.

Il professore del Politecnico ha avuto a che fare con la linea B, sostenendo diversi Comuni nella fase progettuale. Per De Rossi il bando ha avuto più scritture, come se ci fossero una serie di innesti e di mediazioni, fino a esprimere diverse contraddizioni. “Questo bando contiene tante sezioni sulla valorizzazione del patrimonio in cui si è inserita  progressivamente un’attenzione per l’abitare e la residenzialità. Il risultato è un bando non organico e resta l’idea che la rigenerazione sia possibile incasellando e distribuendo opere fisiche. C’è una completa sottovalutazione della rigenerazione sociale, che è il perno della questione”, continua De Rossi.

Il dubbio di De Rossi è simile a quello non solo di Uncem ma anche dei progettisti che hanno seguito i Comuni, dei sindaci e di tutte quelle singolarità che vivono i paesi come spazio di contemporaneità è: cosa sarà di queste energie dopo la valutazione dei progetti? Per De Rossi “questa maturità e questo sforzo espressi dai margini necessitano rispetto. Non c’è mai stata, forse, una tale mobilitazione dal basso. Ora abbiamo un problema politico forte, ossia preservare queste progettualità nel medio-lungo periodo. Ma su questo punto non c’è ancora nessun riscontro”.

Secondo Maria Fioretti, redattrice di Orticalab – il magazine con base in Irpinia che racconta le aree interne ospitando storie, approfondimenti e riflessioni – questa mancanza politica dimostra che il Bando Borghi non prevede una strategia. Per esempio il lavoro della SNAI ( Strategia nazionale aree interne) non viene considerato dal ministero di Franceschini. “Non siamo dentro un discorso sistematico sulle aree interne – riflette Fioretti – piuttosto rappresenta una risposta all’emergenza, alla necessità di una ripresa forzata dopo due anni di una pandemia che ha coinciso con il boom della retorica sul ritorno alla vita nei borghi. Siamo al limite tra due orientamenti definitivi, la gara tra paesi – isolati, spopolati, depressi, privi di servizi essenziali – e l’opportunità di prendere al volo un treno che non passerà più. Una lotteria che di fatto aumenta le disuguaglianze, ma viene allo stesso tempo percepita come una possibilità di sviluppo. Nello specifico di rigenerazione culturale. Probabilmente – almeno dal mio osservatorio, che è quello di chi racconta – del Bando Borghi è sbagliato essenzialmente il linguaggio che palesa lo scollamento delle strutture ministeriali rispetto ai territori, scompare la partecipazione e scompaiono anche gli abitanti in favore dei turisti, scompare la realtà e trionfa la rappresentazione”.

La sfida sarà andare oltre lo spot, sorpassare l’avviso pubblico e dimostrare di coltivare una relazione profonda con chi vive le aree interne. Ma l’ostacolo più grande sembra quello di uscire dalla retorica del borgo bomboniera, dei paesi presepi con i gerani sui balconi, da tutte quelle cartoline patinate che non permettono di osservare e conoscere le pratiche e i movimenti di chi sperimenta e lotta per l’abitabilità in ogni parte d’Italia.

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