“Per realizzare le transizioni verde e digitale, l’Unione europea deve aumentare e diversificare in modo significativo l’approvvigionamento di materie prime critiche, migliorare la circolarità e sostenere la ricerca e l’innovazione”. In poche parole la Commissione europea sintetizza una delle principali sfide che attende il Vecchio Continente: quella delle materie prime critiche – i minerali necessari per costruire batterie elettriche, chip elettronici o turbine eoliche – è davvero una questione cruciale.
Secondo le proiezioni della stessa Commissione la domanda di queste materie prime critiche raddoppierà entro il 2030. Ma il mercato oggi è dominato da un singolo Paese, la Cina, che controlla quasi tutta la filiera, dall’estrazione all’assemblaggio fino alla commercializzazione. Fino a questo momento l’Europa è il maggior importatore al mondo di materie prime critiche, con punte del 90% per quanto riguarda ad esempio il litio e il cobalto. Ecco perché c’è molta attesa per la legge europea sulle materie prime critiche, che potrebbe vedere la luce quest’anno. Il 31 settembre 2022 è stato avviato un periodo di consultazione pubblica e un invito a presentare commenti sull’argomento per la stesura della legge. La scadenza per la partecipazione è stata fissata al 25 novembre 2022. In questo momento gli esperti della Commissione stanno analizzando ed elaborando i 259 contributi giunti dai 27 Stati membri. Con l’obiettivo di arrivare a una proposta di legge entro il primo trimestre 2023.
“L’iniziativa – scrive ancora la Commissione – punta a rafforzare le capacità di monitoraggio dell’Ue e a potenziarne sia la catena del valore, attraverso l’individuazione nel campo delle risorse minerarie e delle materie prime di progetti che presentino un interesse strategico per l’Ue e prevedano una forte tutela dell’ambiente, sia le politiche estere sulle materie prime critiche”. Ma cosa prevede nello specifico la norma europea tanto attesa? E perché la sfida diventa ancora più cruciale nell’attuale fase di crisi energetica?
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Il contesto internazionale sulle materie prime critiche
Anche nell’ultimo Consiglio europeo straordinario del 9 febbraio, in cui si è discusso del Green Deal Industrial Plan – il piano per aumentare la competitività dell’industria europea a zero emissioni e sostenere una rapida transizione verso la neutralità climatica, uno dei focus è stato proprio sulle materie prime critiche. È necessaria in questa fase storica un’accelerazione. Soprattutto perché, come ricorda ENEA, ci si muove in un contesto internazionale in cui “Paesi come Giappone, India, Regno Unito, Canada e Usa stanno rafforzando i regimi di sovvenzione per le industrie verdi”.
Basta scorrere la pagina della Commissione europea dedicata alla materie prime critiche per accorgersi che le prime iniziative sul tema risalgono al 2011. Eppure in questi 12 anni l’Unione europea non è riuscita a superare i propri punti deboli, in primis la dipendenza delle forniture.
“La fornitura di molte materie prime critiche è altamente concentrata – fa notare la Commissione – Ad esempio, la Cina fornisce il 98 % della fornitura dell’Unione europea di elementi di terre rare (REE), la Turchia fornisce il 98 % della fornitura di borato dell’Ue e il Sudafrica fornisce il 71 % del fabbisogno di platino dell’Ue e una quota ancora maggiore di platino metalli del gruppo iridio, rodio e rutenio. L’Unione si affida a singole società europee per la fornitura di afnio e stronzio. I rischi associati alla concentrazione della produzione sono in molti casi aggravati dalla bassa sostituzione e dai bassi tassi di riciclaggio”.
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Le cinque sfide della legge sulla materie prime critiche
In attesa della proposta di legge sulle materie prime critiche da parte della Commissione europea, è utile recuperare il documento di sintesi delle 259 proposte sulla consultazione pubblica. In esso si legge che “la stragrande maggioranza degli intervistati concorda sul fatto che le capacità interne dell’Unione europea per affrontare le sfide dell’approvvigionamento di materie prime sono sottoutilizzate lungo l’intera catena di approvvigionamento. Per quanto riguarda le capacità estrattive dell’Ue, il 66% (170 su 259) degli intervistati afferma che sono sotto sfruttate. Per la lavorazione e la raffinazione, il 72% (186 su 259) degli intervistati concorda sul fatto che le capacità dell’Ue sono insufficienti e l’84% (218 su 259) delle parti interessate concorda sulla necessità di aumentare le capacità di riutilizzo e riciclaggio delle materie prime critiche”.
In precedenza la Commissione aveva identificato cinque sfide principali che la legge europea sulle materie prime critiche dovrà affrontare – monitoraggio, catene del valore, autorizzazioni, investimenti e circolarità – e su queste ha posto domande specifiche in sede di consultazione. Anche in questo caso l’accento principale è stato posto più sull’economia circolare che sull’estrazione, soprattutto puntando su alcuni obiettivi principali: dalla minore esportazione di rifiuti alla fissazione di obiettivi obbligatori più specifici sul riciclaggio.
“Per quanto riguarda le domande aperte – si legge fine nel documento – gli intervistati suggeriscono un programma di scambio con i Paesi che hanno la conoscenza dell’estrazione e della raffinazione di alcune materie prime critiche (ad esempio litio per batterie) al fine di sviluppare lentamente la conoscenza all’interno dell’Ue; facilitare il rilascio di visti e permessi di lavoro per i cittadini extracomunitari in quanto l’attuale processo è considerato complesso; aumentare la conoscenza delle materie prime all’interno della società, soprattutto tra i giovani, al fine di attrarre la prossima generazione verso l’industria mineraria e metallurgica e finanziamenti aggiuntivi per programmi di riqualificazione”.
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Il ritardo italiano sulle materie prime critiche e la posizione di ISPRA
La posizione italiana sulle materie prime critiche sconta un notevole ritardo. Soltanto a gennaio 2021 il ministero dello Sviluppo Economico, ora ministero delle Imprese e del Made in Italy, e il ministero della Transizione Ecologica, hanno avviato un tavolo tecnico interministeriale con l’obiettivo di
- rafforzare il coordinamento sul tema;
- potenziarne la progettualità in termini di sostenibilità degli approvvigionamenti e di circolarità:
- contribuire alla creazione delle condizioni normative, economiche e di mercato volte ad assicurare un approvvigionamento sicuro e sostenibile delle materie prime critiche.
Al di là degli annunci, se poi si vanno a vedere gli ultimi aggiornamenti, risalenti a dicembre 2022, ci si accorge che il tavolo è materialmente nato a settembre 2022 e che finora ci sono stati appena due incontri. Troppo poco, specie per un Paese come il nostro così dipendente dal gas e dalle fonti fossili in ambito energetico. Ecco perché è più interessante recuperare la posizione di ISPRA, l’Istituto Italiano per la Protezione e la Ricerca Ambientale, inoltrata alla Commissione europea nella fase di consultazione pubblica della legge europea sulle materie prime critiche. A elaborare il contenuto è il Servizio Geologico d’Italia, un dipartimento di ISPRA.
Nel documento si legge che il primo obiettivo è quello di identificare e mappare tutti i siti minerari esistenti. “Attualmente sono stati individuati più di tremila siti nel periodo compreso tra il 1870 (Unità d’Italia) e il 2020 – ricorda ISPRA – Nonostante la sua importante storia mineraria, oggi l’Italia è in una posizione di retroguardia nell’esplorazione mineraria e nella corsa internazionale all’accaparramento delle risorse minerarie. Per molti minerali l’Italia è fortemente o, come per i metalli, totalmente dipendente dai mercati esteri. La crisi energetica, la pandemia e l’invasione russa hanno dimostrato che è fondamentale diversificare la filiera delle materie prime utilizzando anche le risorse interne. La ricerca e lo sfruttamento dei minerali metallici in Italia è stata abbandonata alla fine del secolo scorso a seguito di una serie di scelte politico-economiche inopportune”.
L’istituto pubblico sottolinea che la direzione intrapresa ha significato una notevole perdita di conoscenza e di formazione nel campo dell’industria mineraria. “La comunità scientifica italiana concorda sul fatto che è possibile che in Italia esistano ancora significative risorse minerarie, comprese le materie prime critiche e che sia possibile un’estrazione sostenibile – aggiunge ISPRA – D’altra parte, le industrie estrattive dismesse hanno generato enormi quantità di rifiuti estrattivi derivanti da estrazione, lavorazione/trattamento, perforazione ecc. I rifiuti possono rappresentare un potenziale nuovo deposito di risorse critiche e non critiche, che potrebbero essere riutilizzate in un’ottica di economia circolare. Nel distretto minerario sardo, il più importante d’Italia, sono presenti circa 70 milioni di metri cubi di rifiuti estrattivi, con un conseguente elevato impatto ambientale. In questo momento l’Italia sta cercando di studiare e rivalutare il proprio potenziale minerario attraverso il lavoro congiunto di accademici, ricercatori, amministratori pubblici e professionisti minerari, ponendo, allo stesso tempo, le condizioni per la creazione di una nuova generazione di esperti minerari. L’atto europeo sarebbe un grande incentivo per lo sviluppo di progetti nazionali a sostegno della strategia italiana sull’approvvigionamento sostenibile delle risorse minerarie”.
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