Oltre alla legislazione europea, a spingere verso un’espansione dei sistemi di deposito cauzionale per bevande nel prossimo decennio, in Europa e altrove, ci sono anche gli impegni volontari dei grandi marchi internazionali aderenti alle iniziative della Ellen MacArthur Foundation (Emaf) come il Global Commitment e i Plastic Pacts legate al programma The New Plastic Economy (Tnpe).
“Manca una concordanza di vedute”
La Emaf non si è ancora spesa o pronunciata ufficialmente a favore di un DRS (Deposit Return System o Scheme, il sistema di deposito su cauzione appunto) nonostante le grande multinazionali del beverage come Coca-Cola, Pepsi Co, Nestlé e Danone fossero state tra le prime aziende ad aderire al programma Tnpe. Una spiegazione possibile potrebbe celarsi in un passaggio del rapporto “The bridge to circularity: putting the new plastics economy into practice in the U.S.” (qui in Pdf), edito a ottobre 2019 da The Recyclig Partnership, che coordina i partecipanti al Plastic Pact negli Usa. Nel brevissimo capitolo dedicato agli Stati Usa che hanno sistemi di deposito si legge: “I DRS raggiungono alti livelli di intercettazione dei contenitori di bevande dal 60% al 90% Tuttavia, manca una concordanza di vedute tra i firmatari del Global Commitment sull’espansione dei sistemi di deposito che stanno perseguendo modalità più aggressive per avere accesso a maggiori quantità di materiali. Inoltre, le implementazioni delle legislazioni attuali sui DRS (in America) non hanno avuto successo e sono controbilanciate da azioni politiche per eliminarle. Pertanto se si vogliono raggiungere dei risultati a breve termine come intercettazione dei contenitori è necessario concentrare l’attenzione a quegli Stati senza un DRS dove le percentuali di raccolta e riciclo sono al 10-15%”. Segue un passaggio dove si elencano strategie di raccolta che non prevedono un ricorso a regimi di Epr (sigla inglese per responsabilità estesa del produttore) e a sistemi cauzionali.
Tuttavia gli impegni presi dagli aderenti alle iniziative globali della Fondazione, come l’aumentare la riciclabilità e la percentuale di contenuto riciclato degli imballaggi plastici che includono dal 2019 un monitoraggio annuale sullo stato di avanzamento dei lavori, e la messa a disposizione di dati sul consumo di plastica possono contribuire a spingere verso strumenti come i DRS. Inoltre, l’impegno richiesto alle aziende di misurare le performance e sapere che verranno comunicate attraverso la stessa griglia di valutazione e comunicazione dei propri competitor dovrebbe sortire l’effetto di velocizzare i progressi.
L’Emaf apre al sistemi di deposito su cauzione
Lo studio Talking Trash di Changing Markets, in un capitoletto dedicato alla Emaf, evidenzia che gli accordi volontari condividono un limite che consiste nell’usare “più carota che bastone”, che in questo caso vuol dire non prevedere l’obbligo per i firmatari degli accordi di pubblicare i propri dati – che condividono con la sola fondazione – né l’obbligo che questi dati siano verificati da enti terzi.
Lo studio rileva anche che al momento la strada per arrivare al 25% di contenuto riciclato nei propri prodotti al 2025 – impegno condiviso da quasi tutte le aziende impegnate in un Global Commitment o un Plastica Pact – è molto in salita. Lo si evince dai dati del 2019 riportati dal report: Coca-Cola, che ha la migliore performance, ha registrato un 10% di impiego medio di contenuto riciclato (su un consumo di 3 milioni di tonnellate di plastica), Nestlé si attesta solamente al 2%, (con un consumo di 1.7 milioni di ton), e Unilever è a meno dell’ 1%.
Qualcosa però sta cambiando anche in seno alla Emaf, come si può notare nell’ultimo rapporto Universal circular economy policy goals to enable a Circular Economy at scale, presentato il 2 febbraio. Il rapporto delinea un percorso comune per governi ed imprese nello sviluppo di politiche che facilitino una transizione più rapida verso l’economia circolare, da perseguire a livello globale attraverso cinque obiettivi politici.
All’interno dell’obiettivo “Gestire le risorse per preservare il valore” l’Emaf indica tre esempi di politiche necessarie a promuovere lo sviluppo di modelli di business e sistemi di gestione delle risorse che mantengano prodotti e materiali nell’economia preservandone il valore. Tra questi esempi ce n’è uno che parla di “promuovere un maggiore utilizzo delle risorse a ciclo chiuso attraverso l’attuazione di politiche di responsabilità estesa del produttore (Epr) e sistemi di deposito con cauzione (DRS) per supportare modelli circolari come il riuso e il riciclo”. Nel capitolo dedicato si può leggere che i DRS possono svolgere un ruolo importante nel supportare e affiancare i sistemi di raccolta e avvio a riciclo degli imballaggi e gli obiettivi di gestione delle risorse; possono supportare modelli di riutilizzo; possono far registrare tassi di raccolta elevati (sino ad arrivare ad esempio al 98% per le bottiglie in PET); possono contribuire a fare risparmiare denaro pubblico in un passaggio dalla gestione dei rifiuti alla gestione delle risorse all’interno di una transizione verso l’economia circolare.
Quei timori per vendite e costi
Nonostante il loro successo, i sistemi di deposito sono da tempo contrastati dai produttori di imballaggi e materie prime, dall’industria delle bevande, dai rivenditori al dettaglio e in particolare dai gruppi della grande distribuzione (Gdo). Tra le ragioni c’è il timore di subire una contrazione nelle vendite delle bevande – per la maggiorazione dovuta alla cauzione – oppure di dover fronteggiare ulteriori costi e impegni organizzativi legati al loro ruolo nella gestione di un sistema cauzionale.
Recentemente in Austria il gruppo Lidl, che in Germania gestisce un deposito cauzionale a ciclo chiuso per gli imballaggi resi presso i suoi punti vendita, è stata la prima insegna a rompere il fronte del no al sistema di deposito promosso dalla ministra dell’Ambiente Leonore Gewessler (Verdi). L’introduzione di un DRS per i contenitori di bevande monouso è parte di un piano in tre punti proposto dalla ministra austriaca per contrastare l’inquinamento da plastica insieme a misure come l’introduzione di quote vincolanti per gli imballaggi riutilizzabili (vuoto a rendere) fino al 55% dell’immesso sul mercato entro il 2030 e il trasferimento della Plastic Tax europea sui produttori. Proprio a Vienna, pochi giorni fa, l’associazione Global 2000, appartenente a Friends of the Earth International, ha proiettato sul Palazzo del Governo una scritta a favore dell’introduzione immediata di un sistema di cauzionamento, dopo aver raccolto con una petizione ben 35.000 firme a favore della proposta.
La parziale “conversione” di Coca-Cola
Il fermento intorno ai sistemi di deposito spiega perché Coca-Cola, la più agguerrita oppositrice dei sistemi di cauzionamento, abbia aperto nel 2017 un primo spiraglio all’adozione di un Drs in un Paese come la Scozia dove, va detto, si stava già delineando un ampio consenso, anche politico, a favore di questa soluzione.
All’epoca, nel corso di un evento pubblico, il rappresentante della multinazionale dichiarò che nell’ambito di loro consultazioni con esperti di packaging sostenibile, era emerso che fosse arrivato il momento di sperimentare nuovi approcci come, ad esempio, “sistemi di deposito ben progettati e a cominciare dalla Scozia dove il processo era in corso”. L’anno dopo, nel 2018, Coca-Cola European Partners e Coca-Cola Great Britain hanno pubblicato un documento di posizionamento che elenca 11 caratteristiche che un sistema di deposito ben progettato deve avere.
In tempi più recenti si è arrivati alla lettera aperta del settembre 2020, con la quale le associazioni di categoria del settore delle bevande sciolgono le riserve. Parliamo di associazioni come la Efwb, European federation of bottled waters, che rappresenta più di 500 produttori europei di acqua in bottiglia, e l’Unesda Soft Drinks Europe, che rappresenta i produttori di bibite che operano in Europa, tra cui Coca-Cola, Pepsico, Danone, Nestlé Waters e Red Bull.
Nella lettera aperta le associazioni evidenziano quanto sia improbabile che tutti i Paesi membri possano raggiungere gli obiettivi di riciclo e di contenuto riciclato definiti dalla direttiva Sup (Single-use Plastics, sulle plastiche monouso). Hans van Bochove, vicepresidente senior per gli affari pubblici e le relazioni con il governo dei partner europei di Coca-Cola, afferma in un virgolettato del documento: “Un DRS (Deposit return system) ben progettato consentirebbe all’UE di raggiungere più rapidamente i suoi obiettivi di raccolta per le bottiglie di bevande e garantirebbe anche quelle quantità di rPET adatto all’uso alimentare di cui le nostre le industrie hanno bisogno. Oltre a garantire un riciclo a ciclo chiuso, un DRS ridurrebbe anche la quantità di materiali vergini necessari all’industria, l’impronta di CO2 dell’Ue contribuendo così al raggiungimento degli obiettivi climatici”.
I criteri di progettazione secondo le associazioni
Le due associazioni affermano che un sistema efficiente di deposito dovrebbe soddisfare sei importanti criteri di progettazione:
1) dovrebbe avere una portata nazionale;
2) coprire tutte le categorie di bevande e tipologie di packaging;
3) essere istituito e gestito dall’industria attraverso un’organizzazione no-profit;
4) essere conveniente per il consumatore, accompagnato da una chiara comunicazione sull’ammontare del deposito/cauzione e dei relativi scopi e prevedere una rete di facile accesso per la restituzione dei vuoti e relativi depositi;
5) avere un importo cauzionale tale da incentivare una cultura del recupero;
6) garantire ai produttori di bevande l’accesso a materiale riciclato per un utilizzo a ciclo chiuso (cioè da bottiglia a bottiglia).
In Kenya le imprese fanno muro
Nonostante il quadro idilliaco che queste dichiarazioni del settore (e in particolare di Coca-Cola) potrebbero suggerire, non è ancora possibile interpretarle come un via libera incondizionato ai sistemi di deposito in tutti i Paesi del globo. Lo documenta sempre il rapporto Talking Trash, in una scheda dedicata a due casi studio particolarmente significativi: il Kenya e la provincia cinese di Hainan.
In Kenya le proposte di introduzione di un DRS hanno incontrato una feroce opposizione dell’industria del settore e in particolare da parte di Coca-Cola, nonostante l’impegno annunciato nel 2018 con il programma World without waste (qui in pdf) in cui si impegnava a livello globale a raccogliere una bottiglia (o lattina) per ogni bottiglia immessa al mercato entro il 2030. Dal rapporto si apprende quanto segue. “L’ong Clean Up Kenya è stata accolta con minacce velate quando ha incontrato i rappresentanti locali dell’industria delle bevande per discutere di un sistema nazionale di deposito per le bottiglie. Coca-Cola sostiene che un sistema cauzionale non sarebbe appropriato per il Kenya, nonostante fosse stata evidenziata una sua fattibilità da uno studio del 2019 promosso dalla Kenya Association of Manufacturers (KAM) e nonostante il fatto che un deposito per le bottiglie di vetro a rendere fosse stato a lungo una consuetudine per i consumatori kenioti. Coca-Cola è doppiamente incentivata nell’ostacolare un DRS in quanto ogni bottiglia di vetro riempibile più volte che viene sottratta dal mercato viene sostituita da 25 bottiglie di plastica monouso. In Kenya, l’avvento delle bottiglie di plastica monouso ha fatto chiudere gli imbottigliatori locali che imbottigliavano anche bevande di marche locali eliminando così ogni concorrenza”.
Quel DRS sparito dal tavolo ad Hainan
Nella provincia insulare di Hainan, destinazione turistica dall’economia florida e con la capitale Sanya inclusa tra le città pilota Rifiuti Zero della Cina, era stato annunciato un disegno di legge che prevedeva un sistema di cauzionamento per gestire raccolta e riciclo per le bottiglie di plastica. Quando però il provvedimento fu emanato, il testo non ne conteneva traccia nonostante nella seconda metà del 2019 il quotidiano statale People’s Daily e altri media avessero dato per scontato l’arrivo di un DRS. Fonti del settore industriale hanno rivelato ai giornalisti di Talking Trash che una coalizione di interessi – inclusa Coca-Cola – è intervenuta nelle fasi finali del dibattito per garantire che il DRS sparisse dal tavolo. Inoltre, le indagini sul campo hanno rivelato una significativa riluttanza da parte degli imprenditori locali a partecipare ad un sistema cauzionale che non fosse obbligatorio per legge per mancanza degli incentivi economici necessari ad un suo funzionamento.
Non si può dunque parlare di una strategia unitaria delle multinazionali del beverage, ma a seconda dei Paesi si riscontrano ancora vecchie condotte che ostacolano l’adozione di sistemi cauzionali, almeno fino al momento in cui arriva la decisione politica. Quando l’ipotesi di un DRS diventa concreta o quasi, ecco che l’opposizione cessa e l’industria cambia atteggiamento e cerca di ottenere le condizioni più favorevoli possibili, come è avvenuto in Scozia, in Austria e probabilmente anche in Italia, quando arriverà il momento.
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