fbpx
giovedì, Novembre 14, 2024

Cosa prevedono i nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni dell’Ue

Nei piani della Commissione Ue, che saranno diffusi oggi, viene dato ampio sostegno alla cattura e lo stoccaggio di carbonio e all'energia nucleare. L'obiettivo principale è la riduzione delle emissioni del 90% al 2040 rispetto ai livelli del 1990. Ma per Greenpeace dietro agli annunci si nasconde una contabilità dubbia

EconomiaCircolare.com
EconomiaCircolare.com
Redazione EconomiaCircolare.com

Con mezza Europa interessata dalle proteste del mondo agricolo, la giornata di oggi potrebbe essere particolarmente significativa per l’Unione Europea. Proprio per il 6 febbraio, infatti, la Commissione europea dovrebbe presentare un’anteprima delle sue proposte per gli obiettivi climatici dell’UE per il 2040.

Si tratta di una road map delineata da questa Commissione, il cui pacchetto di politiche climatiche ed energetiche sarà comunque delineato dopo le elezioni europee, previste tra il 6 e il 9 giugno di quest’anno. In ogni caso dopo la presentazione della proposta sarà il Parlamento europeo a discutere del piano di riduzione delle emissioni al 2040. Mentre i ministri del Clima e dell’Ambiente dovrebbero pronunciarsi il prossimo 25 marzo.

Intanto Greenpeace è riuscita a visionare le bozze degli obiettivi climatici al 2040 della Commissione Europea. Dai documenti diffusi dalla nota associazione ambientalista si nota che l’Ue vuole puntare decisamente, forse sulla scorta di ciò che è stato deciso alla Cop28, sullo sviluppo della tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio e su maggiori investimenti verso l’energia nucleare.

Una scelta che lascia perplessi le esponenti e gli esponenti di Greenpeace. “I paesi dell’UE sono alcuni dei più grandi inquinatori storici del mondo, hanno alcune delle emissioni di carbonio pro capite più alte e si sono arricchiti sulla base di ciò – dichiara Silvia Pastorelli, responsabile della campagna climatica dell’Unione Europea – È dolorosamente ovvio che l’UE non raggiungerà nemmeno i propri obiettivi senza una fine al carbone, al petrolio e al gas, la Commissione UE deve riconoscerlo. Invece sembra che otterremo un obiettivo che nasconde tagli alle emissioni molto più bassi dietro una contabilità dubbia basata su bacchette magiche per far scomparire l’inquinamento”.

Leggi anche: La riduzione delle emissioni in Europa è in atto ma serve triplicare gli sforzi: il report dell’EEA

I tagli dell’Ue? Differenza tra netti e lordi

La base di partenza dei nuovi obiettivi climatici dell’Unione europea è la “vecchia” scelta di raggiungere la neutralità climatica al 2050. Per cui al 2040 la Commissione è pronta a proporre una riduzione netta del 90% delle emissioni di gas serra. Nella propria valutazione dell’impatto dell’UE, lo scenario che prevede un taglio netto del 90-95% è stato descritto come l’opzione preferita, mentre altre opzioni includono un taglio netto dell’85-90%. A questo punto, però, è necessario aggiungere una significativa distinzione.

Dalle bozze fatte circolare da Greenpeace si apprende che l’obiettivo di riduzione delle emissioni che la Commissione Europea annuncerà sarà un obiettivo netto. In pratica la Commissione potrebbe proporre tagli effettivi alle emissioni fino al 82% rispetto ai livelli del 1990, con la cattura del carbonio alla fonte dell’inquinamento e l’aspirazione di più carbonio dall’atmosfera prevista per colmare il divario fino all’obiettivo totale del 90%. Sono tanti gli strumenti usati per raggiungere questi obiettivi, e con alcuni di essi – dalla CCS ai meccanismi REDD+ – abbiamo imparato a fare i conti in questi anni.

Anche se finora hanno prevalso più le criticità che i punti di forza. Ecco perché Greenpeace chiede obiettivi separati di riduzione del carbonio e di assorbimento del carbonio, in modo che i tentativi di rimuovere il carbonio dall’aria – un processo lungo con esiti incerti – non siano usati come scuse per continuare a inquinare.

Leggi anche: Sulle emissioni delle auto serve cambiare marcia: il monito della Corte dei conti Ue

Gli elefanti nella stanza restano sempre i combustibili fossili

Greenpeace lo esplicita chiaramente: nei piani della Commissione l’elefante nella stanza resta il ritiro completo dei combustibili fossili. Lo stesso Consiglio Scientifico Consultivo dell’UE sui Cambiamenti Climatici ha chiarito nelle sue raccomandazioni, come parte della sua relazione che valuta i progressi e le lacune dell’UE nell’azione climatica, che un ritiro del carbone, del petrolio e del gas è necessario per raggiungere gli obiettivi climatici dell’UE.

Le bozze trapelate dei piani della Commissione Europea, pur menzionando un ritiro del carbone, prevedono ancora un ruolo per i combustibili fossili come parte della “transizione energetica”, accoppiata con la tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio. I documenti trapelati non specificano i volumi esatti, ma menzionano ancora esplicitamente l’uso del petrolio nei trasporti (su strada, marittimi e aerei) e del gas fossile nell’industria, nelle costruzioni e nel settore energetico. Greenpeace chiede all’UE di eliminare progressivamente il gas fossile entro il 2035 al più tardi e il petrolio entro il 2040.

Come sempre più studi scientifici affermano, il decennio in cui agire per provare ad arrestare la crisi climatica è quello che stiamo vivendo, non il prossimo. Un assunto ancora più evidente se applicato ad esempio al metano, un gas che risulta lungo andare più climalterante dell’anidride carbonica.

“La più grande fonte di emissioni di metano causate dall’uomo è l’agricoltura, principalmente dall’allevamento di bestiame, e la seconda più grande è l’energia dei combustibili fossili – ricorda Greenpeace – La bozza trapelata dei piani della Commissione Europea suggerisce che le emissioni di gas serra ‘non-CO2’ del settore agricolo (che sono principalmente metano) potrebbero essere ridotte del 30% entro il 2040. Per ridurre significativamente l’inquinamento da carbonio proveniente dall’agricoltura, l’UE deve pianificare di ridurre sovrapproduzione e sovraconsumo di carne e latticini”.

Allo stesso tempo il gas che usiamo a livello energetico è composto principalmente dal metano, il che significa che le perdite durante l’estrazione (specialmente tramite fracking), il trasporto e la combustione contribuiscono in modo significativo al riscaldamento globale. Nonostante ciò, l’UE sta pianificando di importare enormi quantità di gas fossile liquefatto, e ha incluso le centrali elettriche a gas fossile nella tassonomia degli investimenti sostenibili.

Leggi anche: “Ridurre le emissioni di metano è una tripla vittoria: per l’ambiente, le persone e l’economia”

Le dubbie soluzioni dell’Ue

Il 6 febbraio la Commissione Europea pubblicherà anche un piano di gestione del carbonio, che illustra proposte per sviluppare tecnologie per catturare le emissioni di carbonio al punto di emissione – cioè la tecnologia nota come CCS, cioè la cattura e stoccaggio del carbonio – e piani per rimuovere il carbonio dall’atmosfera.

Si punta sulla CCS specialmente nei settori più difficili da decarbonizzare, cioè prevalentemente l’industria pesante (dalle acciaierie agli allevamente intensivi). Come fa notare però Greenpeace al momento però  “non ci sono progetti di cattura del carbonio su scala industriale operativi nell’UE”. I dubbi maggiori riguardano la possibile applicazione da parte delle aziende fossili, come insegna il caso di ENI e Snam in Italia, con il progetto su Ravenna che al momento è nella fase sperimentale: al netto del fatto che le aziende fossili sembrano aver rinunciato all’utilizzo della raccolta della CO2 per continuare a estrarre il petrolio e il gas nei pozzi in esaurimento, resta il fatto che la CCS appare l’escamotage di chi vuole continuare a produrre senza un reale cambiamento.

Allo stesso tempo se è vero che il ripristino della natura è vitale per affrontare la duplice crisi della perdita di biodiversità e del cambiamento climatico, la scelta della Commissione di puntare su questo processo per assorbire il carbonio e consentire l’inquinamento altrove è, nella chiosa di Greenpeace, simile a “contare le galline prima che siano nate”.

Greenpeace avverte che gli obiettivi della Commissione Europea per il ripristino della natura non devono essere una scusa per non ridurre le emissioni e prolungare la vita delle industrie fossili. Di più: l’associazione ambientalista  chiede di smettere di assegnare finanziamenti per la ricerca e l’innovazione tramite il fondo Horizon Europe per la cattura e lo stoccaggio del carbonio o le tecnologie di rimozione del carbonio.

Leggi anche: Miti e priorità sull’energia del futuro. Armaroli: “Puntiamo sulle rinnovabili, più veloci e meno care”

L’eterno ritorno del nucleare

Restando al tema energetico, infine, si prevede che la Commissione Europea lancia un’alleanza industriale per i reattori nucleari modulari piccoli, con l’obiettivo di accelerarne la distribuzione all’inizio degli anni ’30, e sostenendo che questo aiuterà l’UE a raggiungere il suo obiettivo climatico per il 2040. Sono i reattori su cui punta anche l’Italia.

Tuttavia per Greenpeace “la ricerca dimostra che questa tecnologia non è affatto pronta, comporta gli stessi rischi di sicurezza e ambientali della tecnologia nucleare attuale ed è soggetta a enormi sfide finanziarie. Il progetto di reattore modulare piccolo più avanzato, NuScale negli Stati Uniti, è stato annullato a causa dei costi in aumento”. L’associazione ambientalista avverte che investire in questa tecnologia rischia di deviare denaro utile dall’introduzione di soluzioni già dimostratesi efficaci per ridurre l’uso di combustibili fossili, come il trasporto pubblico, l’isolamento domestico e le energie rinnovabili.

E, soprattutto, non solo il nucleare continua a confermare l’idea di un’energia centralizzata e autoritaria ma soprattutto è la forma di energia più costosa: la centrale nucleare più recente in Europa, l’Olkiluoto 3 in Finlandia, ha impiegato 18 anni per essere costruita ed è costata 11 miliardi di euro; la Flamanville 3 in Francia è in costruzione da 16 anni e si prevede che costerà oltre 19 miliardi di euro in totale, sei volte la stima iniziale; l’Hinkley Point C nel Regno Unito, in costruzione dal 2016, potrebbe essere ritardata fino al 2031 e costare fino a 41 miliardi di euro.

Leggi anche: Emissioni record e scarsa ambizione sulle fossili: l’Unep striglia i governi in vista della Cop28

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI

Ultime notizie