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lunedì, Dicembre 9, 2024

RIFIUTI, TORNA IL RISCHIO PARALISI

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Redazione EconomiaCircolare.com

[di Jacopo Giliberto su IlSole24ORE.com del 29.03.2018] Forse la tecnologia e l’innovazione potranno mitigare l’emergenza rifiuti il cui rischio sembra profilarsi in Italia dopo lo stop della Cina all’import di materiali riciclati 

Diversi i fattori in gioco. Eccone alcuni.

La raccolta differenziata è sempre più efficace, l’Italia è tra i Paesi più bravi al mondo a cominciare dal Veneto riciclone, ma i materiali da rigenerare si accumulano perché l’intera Europa non ha un mercato a valle che chiede prodotti di riciclo.
L’offerta altissima e la domanda modesta fanno cadere i prezzi. Già nelle settimane scorse l’Assocarta aveva lanciato un allarme accorato, segnali sull’alluminio, ma il segmento più esposto è la plastica.
I prezzi bassi tolgono convenienza alle attività di raccolta differenziata, che diventa una spesa netta come conferma lo studio appena condotto da Massimo Beccarello e Giacomo Di Foggia del Cesisp Università Milano Bicocca («Il servizio di gestione della raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani in Italia: valutazioni di efficienza e proposte di regolamentazione»).

I materiali si accumulano nei depositi senza trovare più uno sbocco di mercato come quella Cina che fino a qualche mese fa assorbiva spasmodicamente materie prime d’ogni tipo. Forse presto il Conai sarà costretto a rincarare il contributo ambientale sugli imballaggi che i consumatori pagano su ogni merce confezionata per finanziare la raccolta differenziata.
Dicono molti: facciamo imballaggi più riciclabili. Dicono altri: rinunciamo alla plastica per salvare gli oceani. Purtroppo il fenomeno degli oceani sporcati da residui di plastica non si risolve con le parole d’ordine né con soluzioni in apparenza semplici.

La prima causa di sporcizia viene dai tessuti e dalle lavatrici

La prima causa di formazione della microsporcizia nei mari è dovuta ai lavaggi delle lavatrici. Ogni bucato disperde nelle acque di scarico, che arrivano al mare, 700mila fibre rilasciate dai tessuti, quasi sempre di poliestere.
Queste fibre vengono mangiate dagli esseri marini ed entrano nella catena alimentare. Altre fibre indistruttibili di materie plastiche che arrivano nelle acque non sono state sintetizzate dall’uomo bensì sono di origine naturale, come la cutina e gli altri poliesteri e paraffine di origine vegetale: ve ne sono quantità enormi nell’ambiente, e si trovano perfino nell’acqua potabile.
Un’altra enorme causa di diffusione di microplastiche nei mari viene dall’usura degli pneumatici sugli asfalti del mondo. Portata dalla pioggia, questa polvere plastica scorre nei fiumi fino agli oceani. E poi i bastoncini cotonati per orecchie realizzati spesso con materiali non biodegradabili, i quali poi si ritrovano nella sabbia delle spiagge italiane.
Più evidenti sono le plastiche di flaconi di detersivo, ciabattame, tappi, confezioni alimentari, flaconi di bevande dolcificate tipiche dei consumi dei Paesi in crescita dove non c’è servizio di raccolta dei rifiuti. Le rilevazioni condotte dalla Ue e dalla Legambiente sulle spiagge italiane confermano che i rifiuti urbani dei Paesi sviluppati contribuiscono in misura minima alla sporcizia del Mediterraneo. Diverso il caso dei Paesi meno strutturati, privi di servizi di raccolta dei rifiuti e di riciclo, dove però sono forti i consumi portati dalla globalizzazione.

Senza imballaggi i cibi marciscono

Gli imballaggi hanno più utilizzi, tra i quali conservare più a lungo i cibi e preservarne la sterilità e salubrità. Non a caso nei Paesi a forte uso di imballaggi il deperimento dei cibi è del 3%, nei Paesi a prevalenza di cibo sfuso il 50% degli alimenti marcisce e va buttato.

La tendenza verso imballaggi difficili da riciclare

La richiesta dei consumatori e il bisogno dell’industria che usa gli imballaggi per proteggere le sue merci sono ecologici solamente nelle parole ma purtroppo i fatti vanno spesso contro il riciclo. I consumatori chiedono imballaggi ecologici però poi scelgono imballaggi efficaci, leggeri, infrangibili, che non facciano deperire i cibi. L’industria chiede imballaggi con prestazioni migliori, affidabili, che riducano il deperimento dei prodotti. Ciò impone il ricorso a confezioni più complesse, al contrario di quanto si chiede a parole.
L’esempio classico è la vaschetta di plastica che contiene un affettato: ormai quella che in apparenza è plastica facile da rigenerare in realtà è un multistrato con una barriera contro il passaggio dell’ossigeno per non far irrancidire il prodotto, una barriera contro i raggi ultravioletti, una superficie adatta all’etichettatura, con ottima resistenza ai grassi, impermeabile all’umidità e così via.
L’analisi del ciclo di vita dice che è di modestissima efficacia ecologica, anzi spesso con un notevole impatto ambientale, il meccanismo del vuoto a rendere, su cui possono pesare gli effetti della movimentazione di confezioni vuote, la logistica spesso inefficiente e dispersiva, la necessità di ricorrere inquinanti cicli di lavaggio e disinfezione delle confezioni per alimenti.

La sfida tecnologica

Nei giorni scorsi a Palermo il consorzio Corepla per il riciclo della plastica ha riunito gli esperti di ambiente e di imballaggi per capire le tendenze. La sfida si sposta sul piano della tecnologia. Mentre i Paesi meno strutturati dell’Asia e dell’Africa, privi di servizi rifiuti, rovesciano negli oceani tonnellate di flaconi di bevande dolci e detersivi e ciarpame assortito; mentre ogni lavatrice scarica per lavaggio 700mila invisibili microfibre dei tessuti che entrano in acqua nel ciclo alimentare dei pesci, nel frattempo in Italia si affina il sistema di raccolta e riciclo e si cercano plastiche meno impattanti.

I batteri mangiaplastica

Due esempi di innovazione fra quelli presentati a Palermo alle «Giornate della ricerca» del consorzio Corepla. L’Università di Verona studia come far digerire la plastica dai batteri che (assicura il professor Giovanni Vallino) riescono a depolimerizzare perfino i poliesteri naturali. La Carbios (spiega Martin Stéphan) inserisce nella molecola di acido polilattico un enzima che lo “mangia”: la plastica biodegradabile si distrugge da sola quando si trova in condizioni di rifiuto. Plastica biodegradabile di cui l’Italia è uno dei Paesi leader nel mondo e che si presta perfettamente, come ha ricordato Marco Versari presidente dell’associazione industriale Assobioplastiche, per ridurre l’impatto ambientale di quei prodotti usa-e-getta che altrimenti possono contaminare i rifiuti organici da trasformare in compost.

Il riciclo corre

Nel 2017 chiuso da poco gli italiani hanno raccolto 1,07 milioni di tonnellate di plastica dai rifiuti — sono i dati ufficializzati dal presidente del consorzio Corepla, Antonello Ciotti — pari a 17,7 chili per abitante, dai formidabili veneti (18,9 chili a testa) fino ai siciliani (appena 7,5 chili). Ma quanto è effettivamente riciclato? In Italia quasi il 60%, mentre il 40,3% che non trova destinazione deve essere usato come combustibile di qualità nei cementifici al posto del più inquinante pet coke, un combustibile ricavato dagli scarti di raffinazione del petrolio.
Nei giorni scorsi un’associazione di consumatori ha denunciato il consorzio Corepla e il consorzio nazionale imballaggi Conai asserendo di aver pubblicato dati farlocchi sul riciclo. I due consorzi hanno subito replicato invitando a studiare la normativa e a rileggere i dati, che sono pubblici e certificati dal ministero dell’Ambiente.

La crisi degli impianti

Il presidente del Conai, Giorgio Quagliuolo, sollecita più impianti di riutilizzo di carta e plastica come combustibile di qualità perché il mercato del riuso è bloccato. Oggi le inadeguatezze impiantistiche del Mezzogiorno si rovesciano soprattutto negli impianti dell’Alta Italia, dove cominciano ad arrivare anche i sovrappiù dei materiali tedeschi da rigenerare che la Cina non accoglie e l’Europa non assorbe. In queste condizioni di equilibrio estremo basta l’avaria di un inceneritore in Italia del Nord o in Austria, Polonia o Slovenia per generare un effetto domino.

La carta e il riciclo in Sicilia

Anche la carta corre nel ricupero e nel riciclo ma la domanda di carta da macero, chiusa la Cina, è inferiore all’offerta. Sta decollando anche la Sicilia, la regione più lenta d’Italia nella raccolta differenziata: nel 2017 la raccolta di carta e cartone in Sicilia ha registrato un aumento di oltre il 18%. Da Comieco 6 milioni di euro ai Comuni siciliani in convenzione per la raccolta di carta e cartone sul territorio e finanziamenti per attrezzature e automezzi fino a 3,8 milioni di euro.
In occasione della seduta del consiglio di amministrazione di Comieco, tenutosi a Siracusa venerdì 23 marzo scorso, sono stati anticipati i buoni risultati della raccolta differenziata di carta e cartone raggiunti dalla regione Sicilia nel 2017.
Secondo le stime del Consorzio, infatti, la raccolta di carta e cartone sul territorio siciliano ha superato, lo scorso anno, le 100.000 tonnellate (erano oltre 95.000 le tonnellate raccolte nella regione nel 2016): in particolare, le quantità gestite in convenzione con Comieco sono state oltre 96.000 tonnellate, con un incremento di oltre 15.000 tonnellate (+18%) sul 2016.

L’importanza della plastica biodegradabile

Un contributo interessante viene dagli imballaggi biodegradabili come la carta ma anche come la plastica compostabile. Ideali per mille applicazioni ma a volte poco adatti al contenimento di liquidi e fluidi, gli imballaggi biodegradabili sono “biologici” e “respirano”, e per questo motivo spesso non si prestano per tenere sterili gli alimenti e per conservarli a lungo.
Innovativo il ruolo delle bioplastiche. Per Marco Versari, presidente di Assobioplastiche, le plastiche biodegradabili e compostabili «hanno una storia quasi trentennale e nascono collegate con la raccolta differenziata della frazione organica nei Paesi nordici e in certi territori del Nord Italia dove la raccolta differenziata necessitava di sacchetti a prova d’acqua e di cattivi odori, ma al tempo stesso flessibili e leggeri».
Le applicazioni delle bioplastiche, dunque, spiega Versari, devono servire «a rendere più semplice e più pura la raccolta della frazione organica che ricordiamoci è la parte dei rifiuti più grossa a livello familiare. Riuscire a fare una buona raccolta dell’umido significa chiudere il ciclo del carbonio, fare compost e quindi portare fertilizzante nel suolo. Andare oltre è andare a complicare dei sistemi virtuosi di gestione della plastica che funzionano perfettamente».
Non vedremo dunque sostituire la bottiglia in Pet? «Non ne vedo il motivo. Non abbiamo mai sostenuto queste applicazioni perché non aiutano né il compostaggio né la plastica. La raccolta dei flaconi e delle bottiglie funziona perfettamente così. Le bioplastiche devono risolvere dei problemi e non generare confusione», conclude Versari.

Il parere di Ciotti del consorzio Corepla

«Una spinta alla filiera italiana degli imballaggi in plastica per fare sistema e per raccogliere la sfida dell’economia circolare», ha aperto così i lavori delle Giornate della Ricerca al Complesso Monumentale dello Steri di Palermo il presidente di Corepla, il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica, Antonello Ciotti. «Il sistema italiano del riciclo degli imballaggi in plastica è all’avanguardia in Europa. E vogliamo veramente fare sistema, proponendo sempre più iniziative in tal senso. Perché l’economia circolare accade non perché c’è oggi una direttiva europea che ce lo impone ma perchè aziende e cittadini iniziano a fare qualcosa di diverso. Qui a Palermo vogliamo iniziare a discuterne, con focus sulla depolimerizzazione ma anche su nuove applicazioni e nuovi design degli imballaggi». Su questo per Ciotti «la richiesta europea di avere imballaggi riciclabili è facilmente raggiungibile ma avere imballaggi economicamente riciclabili pone qualche problema in più. Questa è la sfida tecnologica che abbiamo dinanzi».

La riciclabilità del Pet e la qualità dei rifiuti

Bene i livelli di riciclo del Pet ma la sfida, rispetto a eccellenze come Giappone e Germania, resta quella della qualità. Lo ha confermato dalle Giornate della Ricerca la responsabile marketing di Sipa, Roberta Gualtieri. «Il riciclo in Italia non è male nella percentuale di materia che noi trattiamo. Il problema che abbiamo è però la costanza della qualità del riciclato. Abbiamo fatto delle prove nel nostro impianto molto innovativo, partendo da questa scaglia di Pet fino ad arrivare alla bottiglia con una percentuale molto elevata di riciclato, fino anche al 100 per cento. In Italia abbiamo però ancora delle variazioni nella qualità di questi flake che non consentono sul fronte della qualità di avere questa costanza, anche produttiva, che è essenziale».

Il valore dei riciclo

Il valore del riciclo della plastica ha numeri importanti: 250 milioni di euro di salari pagati, 5.806 addetti, un risparmio di 417 milioni di euro di consumi energetici, l’equivalente di 2 milioni di euro di emissioni evitate, 78 milioni di euro di petrolio risparmiato, per 962 milioni di euro di giro d’affari (dati Althesys).
Obiettivo 2020 è la riduzione del 40% degli imballaggi in plastica oggi non avviati a riciclo e l’adozione di nuove applicazioni.
Nel 2017, in Italia, si registra un +11% di raccolta differenziata degli imballaggi in plastica con un procapite medio annuo nazionale di 17,7 chili per abitante, superando così il milione di tonnellate raccolte.

Qualche voce durante l’evento di Palermo

Simona Bonafè, eurodeputata del Pd, ha parlato dell’approvazione prevista per aprile del «pacchetto sull’economia circolare» attraverso cui «l’Ue si pone all’avanguardia per un modello di sviluppo in grado di coniugare la crescita industriale con la sostenibilità ambientale. Gli Stati membri ha precisato saranno obbligati a seguire misure univoche e condivise sul ciclo di vita delle materie prime e sullo smaltimento dei rifiuti». Il pacchetto proposto da Bruxelles prevede un innalzamento del target di riciclo per gli imballaggi plastici al 50% entro il 2025 e al 55% entro il 2030: una sfida che richiede un coinvolgimento di tutti gli stakeholder sostenuti da investimenti in innovazione, capaci di migliorare la durabilità, la riutilizzabilità e la riciclabilità dei materiali plastici.
Presenti l’assessore regionale al Territorio e Ambiente, Toto Cordaro, il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando e il rettore dell’Università di Palermo, Fabrizio Micari.
«Mi auguro — ha sottolineato Cordaro — che il primo secolo del terzo millennio possa essere ricordato come l’età della plastica ecosostenibile. La classe politica sia capace di fare strategia e immaginare un modello che faccia tesoro degli errori del passato affinché non si ripetano in futuro».
Il sindaco Leoluca Orlando ha auspicato che «la raccolta differenziata rappresenti un segno di cambiamento per Palermo. Il cambiamento è nella testa dei cittadini e anche degli amministratori. Deve cambiare l’atteggiamento. Deve passare la convinzione che la differenziata non è giusta, educata o civile, ma è conveniente». Per Micari è molto importante mettere insieme da un lato l’Università e il mondo della ricerca, dall’altro le imprese. Ormai la nostra ricerca diventa sempre più ricerca applicata e credo si stia facendo un bel percorso, i risultati sono interessanti».
Il confronto ha coinvolto anche i tecnici. «Per 20 anni Conai ha svolto un importante ruolo di volano per la filiera del riciclo degli imballaggi, generando ritorni positivi non solo dal punto di vista ambientale, ma anche economico e sociale — ha detto Giorgio Quagliuolo, presidente di Conai. — Il Consorzio ha puntato allo sviluppo di una raccolta differenziata di qualità, come mezzo per garantire i flussi a riciclo. Ma con la crescita della raccolta differenziata sono cresciute anche le quantità degli scarti peri quali è d’obbligo trovare soluzioni tecnologiche innovative legate alla selezione e al riciclo».

 

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