“La transizione verso un’economia circolare è un’opportunità economica per l’Europa che dovremmo abbracciare”. Le parole con le quali Jan Huitema, europarlamentare dei Paesi Bassi per il Renew Europe Group, non suonano certamente inedite su EconomiaCircolare.com. Ma sono necessarie per introdurre le richieste avanzate dalla commissione Ambiente dell’Europarlamento con la sua relazione sul nuovo piano d’azione dell’UE per l’economia circolare, che la Commissione europea aveva proposto a marzo 2020.
Il via libera del Parlamento europeo è giunto lo scorso 27 gennaio grazie a un ampio consenso: 66 voti a favore, 6 contrari e 7 astensioni. “L’Europa non è un continente ricco di risorse, ma abbiamo le competenze e la capacità di innovare e sviluppare le tecnologie necessarie per chiudere le filiere e costruire una società senza sprechi – ha aggiunto Jan Huitema, primo relatore della risoluzione – Questo creerà posti di lavoro e crescita economica e ci avvicinerà al raggiungimento dei nostri obiettivi climatici: è un vantaggio per tutti””
Il documento redatto dalla commissione Ambiente sarà sottoposto all’esame dell’intero Parlamento l’8 febbraio, e dopo la sua approvazione partiranno i negoziati con il Consiglio in modo da giungere al testo finale.
Servono obiettivi e indicatori vincolanti
“L’Unione europea ha bisogno di obiettivi politici chiari per raggiungere un’economia a emissioni zero, sostenibile dal punto di vista ambientale, priva di sostanze tossiche e completamente circolare entro il 2050 al più tardi”: così la commissione Ambiente prova a tracciare impegni vincolanti per le istituzioni, le imprese e i cittadini. Se l’economia circolare è un obiettivo di lungo termine è chiaro infatti che i suoi principi devono essere incardinati in target strategici e da raggiungere obbligatoriamente, prevedendo eventualmente anche penali in caso di risultati mancati. Dalla prevenzione alla riduzione, i vantaggi che ne derivano per la popolazione dovrebbero essere maggiormente chiariti, spiegano ancora i deputati e le deputate. La necessità è quella di definire limiti stringenti su temi come l’uso dei materiali e l’impronta di consumo, che coprano l’intero ciclo di vita di ciascuna categoria di prodotto immessa sul mercato dell’UE. A tal fine la commissione dell’Europarlamento sollecita l’introduzione, già nel 2021, di indicatori di circolarità armonizzati, comparabili e uniformi per l’impronta dei materiali e dei consumi.
I deputati e le deputate sostengono fermamente l’intenzione della Commissione di ampliare il campo di applicazione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile, la cosiddetta direttiva Ecodesign, per includere i prodotti non legati all’energia. Anche in questo viene ribadito che le nuove regole dovrebbero essere pronta nel 2021. “Ciò dovrebbe stabilire – si legge nella relazione – principi di sostenibilità orizzontale e standard specifici in modo che i prodotti immessi sul mercato dell’UE funzionino bene, siano durevoli, riutilizzabili, possano essere facilmente riparati, non siano tossici, possano essere aggiornati e riciclati, abbiano contenuto riciclato e siano efficienti in termini di risorse ed energia”.
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Sì al Recovery Fund, no al greenwashing
Tra le proposte chiave dei deputati e delle deputate al Parlamento europeo c’è anche l’introduzione di misure contro il greenwashing e le false dichiarazioni ambientali, nonché leggi chiare per fermare le pratiche che comportano l’obsolescenza programmata. Si tratta di proposte innovative che andrebbero a colpire direttamente multinazionali energetiche, anche di casa nostra, e più in generale le big della Silicon Valley. È facile immaginare che da esse, se il Parlamento in seduta plenaria dovesse accogliere le indicazioni della Commissione, arriverebbe una decisa resistenza. Il greenwashing, denunciato da anni da tante associazioni ambientaliste, è una pratica sempre più diffusa con la quale le industrie pesanti provano a intercettare i messaggi sulla sostenibilità e sulle buone pratiche circolari, facendoli propri, anche quando poi, banalmente, alle parole non seguono i fatti.
Infine i deputati e le deputate della Commissione Ambiente chiedono “l’integrazione dei principi dell’economia circolare nei piani di ripresa nazionali degli Stati membri”. In questo caso, come abbiamo più volte sottolineato (ad esempio con i numerosi interventi che abbiamo ospitato nella rubrica In Circolo), il tempo è più limitato ma è ancora possibile intervenire. L’Italia, ad esempio, entro fine febbraio – crisi di governo permettendo – dovrebbe consegnare il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
L’allarme dei tecnici di Camera e Senato
La bozza elaborata dal governo, e resa pubblica il 12 gennaio, è stata analizzata dagli uffici tecnici di Camera e Senato che hanno rilevato come sia superiore di 14,4 miliardi di euro il conto complessivo rispetto alle risorse europee previste dal Next Generation Eu. Nel documento parlamentare viene spiegato che “tale eccedenza viene motivata da due considerazioni: la possibilità che una parte degli interventi sia finanziato da risorse private, generando un effetto leva che ridurrebbe l’impatto sui saldi della pubblica amministrazione; l’opportunità di sottoporre al vaglio di ammissibilità della Commissione europea un portafoglio di progetti più ampio di quello finanziabile, per costituire un margine di sicurezza”.
Gli scenari di rischi che si profilano, secondo i tecnici parlamentari, sono due: o la Commissione europea deciderà autonomamente di non supportare alcuni interventi, e allora però bisognerà chiarire “se l’eventuale esclusione di tali interventi implichi la rinuncia da parte del governo alla loro realizzazione”; oppure si deciderà di realizzare comunque tutte le opere previste ma ciò “implicherebbe la potenziale esposizione a un deficit aggiuntivo”. Resta da capire se in questa “eccedenza” siano compresi i 6,3 miliardi destinati all’economia circolare, che secondo la commissione Ambiente del Parlamento europeo andrebbero invece ulteriormente integrati.
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