Ai tempi della farina di olio di pesce usata come mangime, per produrre un kg di pesce allevato si aveva bisogno di quasi 10 kg di pesce selvatico. In un contesto di produzione alimentare e di acquacoltura sostenibile, questo modus operandi era molto impattante; così si è iniziato a fare ricerca su mangimi vegetali che non andassero a competere con le risorse alimentari.
Il progetto Agri-fish – coordinato dall’Università di Camerino in collaborazione con l’università di Tiaret (Algeria), quella di Valencia e dal CNR-IRBIM di Ancona – fa un passo ulteriore, scegliendo un approccio circolare alla risoluzione del problema. L’obiettivo è quello di produrre mangimi innovativi da impiegare in attività di acquacoltura utilizzando prodotti di scarto principalmente di agricoltura biologica.
Agri-fish e la formula del mangime circolare per l’acquacoltura
“L’idea è nata due anni e mezzo fa quando ho iniziato il mio dottorato nella Marche – ci dice Germana Borsetta, ricercatrice all’università di Camerino e ideatrice del progetto – mi sono accorta delle grandi quantità di scarti che le aziende agricole producono, con costi di smaltimento non indifferenti. L’obbiettivo del progetto è quello di valorizzare lo scarto agricolo e rispondere alla necessità di creare mangimi meno impattanti sulla catena alimentare”.
Provenendo da scarti di qualità, il mangime avrà un alto valore aggiunto perché sarà molto più ricco di composti attivi antiossidanti, caratteristica che consentirà di migliorare la salute del pesce. Ma quali sono gli ingredienti del mangime pensato da Agri-fish?
“Negli ultimi anni per i mangimi dei bovini vengono utilizzati sempre di più i vinaccioli – spiega Germana Borsetta –, i cui contenuti, secondo le ricerche, vengono trattenuti nella carne e trasferite al consumatore. Quindi usiamo i vinaccioli per la parte lipidica, mentre i cereali e legumi per quella proteica. Bisogna arrivare ad una formula simile usata attualmente in acquacultura: bilanciando gli ingredienti, tenendo sotto controllo l’indice di accrescimento e rendendo il ciclo appetibile per i pesci”.
Per alzare le difese immunitarie dei pesci allevati, la formula prevede anche l’aggiunta di lattobacilli (da scarti provenienti da latte di capra) e di erbe medicinali provenienti dall’Algeria. Questo permettere di ridurre e limitare l’uso di antibiotici, altra grande sfida dell’acquacoltura. “il mondo dei mangimi vegetali guarda anche agli insetti per il fabbisogno proteico – aggiunge la ricercatrice – il primo allevamento italiano di insetti è proprio nelle Marche”.
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Le sinergie che mancano
Agri-fish è un progetto che rientra nel programma europeo sull’innovazione e ricerca Horizon e inizierà il primo giungo. “In Italia collaboreremo con delle aziende agricole e mangimistiche per testare i mangimi sulle trote. Successivamente verrà replicato in Spagna e in Algeria con altre specie di pesci di acqua dolce. L’obbiettivo è quello di creare un business model scalabile applicando questo approccio anche per l’acquacoltura di mare.
“L’approccio circolare che prevede l’unione di agricoltura e acquacoltura dovrebbe essere ovvio e naturale – ha dichiarato il e professor Sauro Vittori, coordinatore del progetto –, ma a volte i due settori vengono separati nei bandi soprattutto locali e nazionali: questo nostro approccio è stato definito dai valutatori del progetto un importante punto di forza e di questo ne siamo fieri.”
Secondo Germana Borsetta in Italia la pesca e l’acquacoltura non sempre rivestono un ruolo importante come l’agricoltura. “Anche nei bandi si nota: non c’è mai dialogo tra i due settori”. Agri-fish, invece, è la prova tangibile che iniziare a collaborare è possibile.
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