Senza un sistema di deposito cauzionale (in sigla DRS, Deposit Return System) per il nostro Paese gli obiettivi fissati dalla direttiva Sup (Single use plastics) di arrivare a raccogliere per il riciclo entro il 2029 il 90% di imballaggi in plastica monouso per bevande e far sì che entro il 2030 ci sia il 30% di materia riciclata in tutte le bottiglie di plastica per bevande è una chimera.
Secondo un nuovo studio commissionato dalla campagna “A buon rendere – molto più di un vuoto” alla società di consulenza Eunomia, oltre al raggiungimento del target di raccolta i benefici per gli italiani sarebbero diversi: dal risparmio di 108 milioni di plastic tax europea alla riduzione dei rifiuti dispersi nell’ambiente (littering), fino alla riduzione delle emissioni di gas serra. Il rapporto esecutivo dello studio, presentato il 15 giugno all’Università Statale di Milano durante un convegno coordinato dal direttore editoriale di EconomiaCircolare.com, Raffaele Lupoli, è scaricabile dal sito della campagna e a breve è prevista la pubblicazione dello studio integrale (in inglese).
Il DRS potenzia il riciclo in quantità e qualità
Lo studio di Eunomia, intitolato “Sistema di deposito cauzionale: quali vantaggi per l’Italia e il riciclo”, mette in evidenza che il DRS non è un sistema che danneggia o limita il riciclo, ma anzi “è complementare ad altri sistemi di responsabilità estesa del produttore (EPR) per il recupero di imballaggi, potenziandone le performance sia in termini di quantità raccolta ed effettivamente avviata a riciclo, sia in termini di qualità del prodotto riciclato che ne deriva”, come ha chiarito durante il convegno Clarissa Morawski, fondatrice e amministratrice delegata della piattaforma Reloop. “Non a caso – ha aggiunto l’esperta – l’industria europea delle bevande promuove target di recupero del 90% per i contenitori per bevande e l’adozione di sistemi DRS per aumentare l’efficienza nell’uso delle risorse, ridurre le emissioni climalteranti e ridurre la dispersione di rifiuti”.
Stando ai risultati dello studio, l’introduzione di un DRS in Italia comporterebbe un aumento del tasso di raccolta dei contenitori per bevande in PET di 21,9 punti percentuali e un aumento del loro tasso di riciclo di 32,9 punti. Per il vetro raccolta e riciclo aumenterebbero rispettivamente di 15,2 e di 18,9 punti percentuali, e un lieve miglioramento (fino al 96%) ci sarebbe anche per l’alluminio, che già oggi, secondo il Consorzio Cial, si attesta intorno al 90% di raccolta e riciclo. I benefici, in termini di riduzione delle emissioni di gas serra, sarebbero superiori a 600mila tonnellate l’anno di CO2 equivalente, soprattutto in relazione al miglioramento dei tassi di riciclo effettivo delle bottiglie in PET.
Quanto alla riduzione del littering, l’analisi di Eunomia adotta una stima conservativa rispetto a indagini precedenti sulla riduzione di rifiuti coperti dal DRS dispersi nell’ambiente: l’85% anziché il 95. “Secondo alcuni studi – riporta l’analisi di Eunomia –, i contenitori per bevande rappresentano circa il 20% dei rifiuti in peso e il 40% in volume del totale dei rifiuti dispersi. Poiché gran parte di questo tipo di disamenità (svantaggio, ndr) deriva dall’impatto visivo, è assolutamente più appropriato attribuirne gli effetti in relazione al volume del littering evitato da un DRS. Per questa analisi si è ipotizzato, convenzionalmente, che i contenitori per bevande costituiscano il 35% in volume del littering. Sulla base di queste due ipotesi abbiamo calcolato una riduzione complessiva dei costi relativi ai rifiuti dispersi pari a 3.869 milioni di euro all’anno in seguito all’introduzione del DRS”. Avere meno rifiuti dispersi, insomma, porta rilevanti benefici per i cittadini e per l’industria del turismo e significa anche costi minori per la loro raccolta e smaltimento da parte dei Comuni.
La questione dei costi e i macchinari da installare
Lo studio commissionato dalla campagna “A buon rendere – molto più di un vuoto” alla società di consulenza britannica arriva dopo due studi italiani elaborati da Politecnico di Milano e Università Bocconi, non ancora pubblicati ma presentati nelle loro linee generali, che pur riconoscendo i benefici di un DRS concentrano le maggiori critiche sui costi elevati della sua eventuale introduzione.
Uno dei punti focali legato al tema dei costi è la quantità di “reverse vending machine” (in sigla RVM: sono i macchinari in cui conferire bottiglie e lattine vuote ottenendo la restituzione della cauzione versata all’acquisto) da installare per il corretto funzionamento del sistema cauzionale. Secondo gli studi precedenti, servirebbero 100mila RVM e questo comporterebbe costi elevatissimi, ma lo studio di Eunomia ne prevede 25mila basando le proprie stime su quanto avviene in altri Paesi dove il sistema cauzionale è in vigore. Il responsabile scientifico della campagna “A buon rendere”, Enzo Favoino, ha chiarito nel corso del convegno che la stima dei macchinari necessari riportata dagli altri studi “non è in linea con i rapporti popolazione/RVM che si registrano in tutti i Paesi in cui il sistema è già attivo”. La valutazione circa la necessità di 100mila RVM potrebbe essere legata a una previsione troppo conservativa, negli studi di Polimi e Bocconi, della frequenza di svuotamento delle RVM, che nelle esperienze in essere avviene anche quattro volte al giorno.
Oltre alle RVM, poi, lo studio di Eunomia contempla la possibilità di creare punti di raccolta manuali in piccoli esercizi (la cui copertura dei costi è stata analogamente valutata) ad esempio nelle aree collinari e montane, dove c’è una minore concentrazione di supermercati.
Maggiori costi a carico dei Comuni? “No, pagheranno i produttori”
Nel suo intervento Favoino ha anche affrontato la questione delle ricadute economiche per i Comuni, evidenziando che il sistema cauzionale è a costo zero per i Comuni, essendo finanziato integralmente dai depositi non riscossi, dalla vendita dei materiali raccolti e, in quota minore, dal contributo dei produttori commisurato al numero di contenitori immessi sul mercato. “Anche se ci saranno delle variazioni delle varie voci in ingresso e in uscita dai bilanci municipali a seguito dell’intercettazione da parte del DRS di rifiuti precedentemente conferiti al servizio pubblico di raccolta, il cambiamento sotto il profilo economico sarà tendenzialmente neutro per i Comuni” ribadisce il responsabile scientifico di “A buon rendere”.
Le nuove regole in materia di responsabilità estesa del produttore pongono infatti in capo ai produttori di imballaggi la copertura integrale (o in deroga almeno l’80%) dei cosiddetti “costi efficienti” di raccolta differenziata, trasporto e cernita dei rifiuti di imballaggio sostenuti dai Comuni e conferiti in convenzione ai Consorzi. I Comuni potranno invece risparmiare sui costi relativi alla gestione dei contenitori che oggi sfuggono alla raccolta differenziata ovvero sui costi relativi alla raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti indifferenziati, sulla raccolta e smaltimento dei rifiuti abbandonati e sui servizi di svuotamento e manutenzione dei cestini stradali. Rispetto alla situazione attuale, potranno inoltre risparmiare sui costi di pretrattamento/pre-pulizia dei rifiuti intercettati in raccolta differenziata (essendoci minori rifiuti da trattare), prima della loro valorizzazione sui consorzi o sul mercato.
Lo studio fornisce in ogni caso una stima della perdita di “ricavi” per i Comuni a seguito dell’intercettazione, da parte del DRS, dei contenitori per bevande che ad oggi sono raccolti in maniera differenziata. La diminuzione dei rifiuti conferiti ai Consorzi farà diminuire anche la quantità di denaro che questi ultimi versano ai Comuni, rispettivamente di 85,3, 3,7 e 33,2 milioni di euro per plastica, metallo e vetro. Su questo punto, però, dalla campagna “A buon rendere” arrivano due sottolineature: la prima è che in realtà, il contributo dei consorzi, in virtù del meccanismo di condivisione dei ricavi stabilito da Arera, viene incassato solo in parte dai Comuni. Le aziende di gestione rifiuti trattengono infatti una percentuale rilevante che, nei territori con elevati tassi di raccolta differenziata, può arrivare fino al 63% (per i corrispettivi da consorzi) e fino al 70% per i proventi da mercato; la seconda è che, qualora, come emerge dalle simulazioni effettuate, la perdita attesa di “ricavi” sia superiore alla riduzione attesa dei costi di raccolta differenziata, i corrispettivi erogati dai consorzi nell’ambito della disciplina in materia di EPR dovranno necessariamente aumentare per garantire il rispetto delle regole stabilite dal legislatore comunitario in materia di responsabilità finanziaria dei produttori.
Come si finanzia il DRS italiano?
Favoino ha sottolineato anche un altro dato emerso dallo studio: “Lo Stato non deve farsi carico di nessuna copertura economica né per l’introduzione né tantomeno per la gestione del DRS. Anzi, riducendo sensibilmente la tassa che oggi paghiamo all’Europa per il mancato riciclo della plastica risparmierebbe 108 milioni di euro grazie all’aumento della percentuale di bottiglie in PET riciclate”. Come in altri Paesi, infatti, questa plastic tax europea è, al momento, a carico della fiscalità generale.
Ma vediamo nel dettaglio la stima che il nuovo studio fa circa le fonti di finanziamento del sistema, che avrebbe un costo annuo lordo di 641,8 milioni di euro. Per coprirli, 232,4 milioni (il 36% dei costi di gestione) arriverebbero dalla vendita dei materiali raccolti e altri 328 milioni (il 51% dei costi) deriverebbero dai depositi non riscossi. A carico dei produttori, di chi cioè immette sul mercato bevande in plastica, lattine e vetro, resterebbero 81,4 milioni, vale a dire il restante 13% necessario a coprire i costi di gestione. Questo comporterebbe una incidenza del contributo EPR a carico dei produttori che secondo gli autori dello studio è “del tutto marginale”: da 0,3 a 1,2 centesimi per bottiglia nel caso della plastica e tra 1,9 e 2,5 centesimi nel caso del vetro, mentre le lattine in alluminio vedrebbero il sistema DRS totalmente ripagato dal valore dei materiali e dai depositi non riscossi.
L’efficienza dei materiali e della strategia “bottle to bottle”
Durante il convegno, il capo del gruppo di ricerca che ha realizzato lo studio, Daniel Stunell di Eunomia, ha posto l’accento sull’aumento esponenziale dell’efficienza d’uso delle risorse reso possibile dal DRS: “Aumenti marginali del tasso di riciclo generato dal deposito su cauzione fanno schizzare in altro l’efficienza d’uso dei materiali” ha spiegato Stunell, aggiungendo che l’esperienza di Paesi dove il deposito cauzionale è realtà mostra anche un incremento della raccolta degli imballaggi non soggetti a DRS.
Anche il presidente dell’Associazione europea dei produttori di acque minerali (Natural Mineral Waters Europe), l’imprenditore Alessandro Pasquale, a capo dell’azienda Mattoni 1873, ha voluto condividere la sua esperienza diretta legata all’uso efficiente e al riciclo “bottle to bottle” dei contenitori in PET. Pasquale, che è anche nel board dell’ente che in Slovacchia sta gestendo il sistema di deposito su cauzione, ha messo in evidenza che il sistema circolare chiuso (“closed loop”) generato dal DRS consente di arrivare a utilizzare almeno il 75% di rPET (il PET riciclato) entro il 2028, con enormi risparmi in termini di emissioni di CO2, acqua e utilizzo di nuova plastica derivata da petrolio. Citando uno studio commissionato dalla sua azienda, Pasquale ha evidenziato che un sistema cauzionale esteso avrebbe risultati migliori, in termini di minor ricorso alla plastica “vergine”, rispetto a quelli che porterebbe la bozza di Regolamento europeo sugli imballaggi (PPWR) attualmente in discussione.
All’evento di presentazione dello studio commissionato da “A buon rendere – molto più di un vuoto” ha preso la parola anche l’esploratore e divulgatore Alex Bellini, che già in passato aveva lanciato un appello alle istituzioni italiane per l’adozione di un sistema di deposito cauzionale. “Se l’essere umano è lento a cambiare abitudini – ha detto Bellini – è anche molto sensibile all’incentivo. Trovandoci in un paese, l’Italia, che ancora col riciclo non riesce ad arginare il problema, è importantissimo trovare un’alternativa più efficiente. Recentemente ho fatto una visita a Malta dove in cinque-sei mesi dall’istituzione del deposito cauzionale sono stati raccolti 50 milioni di contenitori. Ecco perché credo che il deposito cauzionale sia uno strumento estremamente utile parallelamente a un profondo impegno nella riduzione dei rifiuti da imballaggio”.
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