Abbiamo scritto dell’accordo vincolante sulla gestione dell’inquinamento da plastica per il quale, a Nairobi, l’Assemblea dell’ONU sull’ambiente (UNea) ha spianato la strada. In quello stesso consesso, altre importanti risoluzioni (14 in tutto quelle adottate) promettono di “frenare l’inquinamento, proteggere e ripristinare la natura in tutto il mondo”. Due di queste hanno riguardato il tema dell’inquinamento chimico e dei rifiuti: una dedicata in particolare alla loro corretta gestione, l’altra, forse più rilevante, porterà alla nascita di un panel scientifico in tutto simile a quello per il clima (l’Ipcc, Intergovernmental Panel on Climate Change). Una terza risoluzione, poi, ha riguardato l’economia circolare.
Contaminazione chimica e rifiuti, un rischio fuori controllo
“La scienza ha identificato una serie di parametri per definire il nostro impatto sul pianeta. Mancava all’appello il limite di tolleranza planetario relativamente alle cosiddette ‘nuove entità’, le sostanze chimiche di sintesi prodotte da attività umane. Uno studio pubblicato all’inizio dell’anno si è occupato di questo”, ci spiega Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna inquinamento di Greenpeace. Lo studio di cui parla Ungherese è “Outside the Safe Operating Space of the Planetary Boundary for Novel Entities” (Al di là dello spazio operativo sicuro del confine planetario per le nuove entità) pubblicato su Environmental Science & Technology. Questo studio assume l’innovazione terminologica di un’altra ricerca nella quale l’inquinamento chimico è stato considerato come introduzione in natura di “nuove entità”, cioè “nuove sostanze, nuove forme di sostanze esistenti e forme di vita modificate”. L’introduzione in natura di queste sostanze, inclusa la plastica, spiegano i ricercatori guidati da Linn Persson dello Stockholm Environment Institute, è fonte di preoccupazione a livello globale “quando queste entità mostrano persistenza e mobilità con diffusione globale e accumulo negli organismi e nell’ambiente, e potenziali impatti negativi sulla vita sulla Terra”.
Questo studio, continua Ungherese, “ci dice che abbiamo già superato il limite planetario a causa di una produzione fuori controllo di nuove entità, produzione che nelle prossime decadi è destinata a crescere ancora di più: già raddoppiata tra 2000 e 2017, entro il 2050 potrebbe ulteriormente triplicare”. I ricercatori affermano che i confini di sicurezza planetari sono stati superati perché “la produzione e i rilasci annuali in natura stanno aumentando ad un ritmo che supera la capacità globale di valutazione e monitoraggio”. Produciamo e disperdiamo più di quanto riusciamo a misurare, controllare e valutare. “È come se stessimo camminando su una strada accidentata completamente bendati”, commenta Ungherese. Per questo Linn Persson e gli altri autori della ricerca raccomandano di intervenire “riducendo la produzione e il rilascio di nuove entità. Ma anche così – sottolineano – la persistenza di molte nuove entità e/o i loro effetti continuerà a rappresentare una minaccia”.
E ridurre questa minaccia per l’ambiente e l’uomo è proprio quello che le risoluzioni approvate dall’ONU a Nairobi intendono fare.
Leggi anche: A Nairobi 175 Paesi dell’Onu firmano uno storico accordo per l’ambiente contro l’inquinamento da plastica
Un panel scientifico ONU per la contaminazione chimica dell’ambiente e i rifiuti
L’Assemblea Onu del 2021 sull’ambiente aveva già posto le basi per un lavoro comune per la riduzione della contaminazione ambientale da sostanze pericolose. “Ora gli scienziati hanno deciso di unire ulteriormente le forze”, recita un appello promosso dall’International Panel of Chemical Pollution (IPCP) e destinato ai ministri dell’ambiente dei diversi Paesi affinché sostenessero la risoluzione: “Il mondo della ricerca è convinto che un panel scientifico potrebbe supportare le agenzie delle Nazioni Unite, gli accordi multilaterali globali, gli Stati e il settore privato nel loro lavoro per agire sulle sostanze chimiche, rifiuti e inquinamento fornendo pareri scientifici autorevoli, indipendenti, credibili, inclusivi e rilevanti per le politiche mondiali”. Oltre 2500 ricercatori e scienziati di tutto il mondo esperti nella di contaminazione chimica hanno dato il loro sostegno all’appello per l’istituzione di un panel “che operi a livello globale per implementare in modo coordinato l’azione di controllo e mitigazione di sostanze pericolose, rifiuti e inquinamento”. In Italia hanno sottoscritto l’appello più di 250 ricercatori, tra cui il Premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi, Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, Silvio Garattini presidente e fondatore dello stesso istituto, Paolo Vineis, docente di epidemiologia ambientale all’Imperial College di Londra. A sostegno dell’appello è stata presentata anche un’interrogazione parlamentare (primo firmatario Cristian Romaniello, Europa verde – Verdi europei) indirizzata al Ministro della Transizione Ecologica.
“Le convenzioni esistenti che si occupano di sostanze pericolose, rifiuti e inquinamento (ad es. convenzioni di Basilea, Rotterdam, Stoccolma e Minamata) lasciano scoperte molte situazioni critiche e non dispongono di meccanismi per affrontare in modo proattivo minacce nuove ed emergenti”, spiega Sara Valsecchi, dell’Istituto di ricerca sulle acque del CNR, una dei referenti italiani per la sottoscrizione dell’appello. “Oggi le informazioni sulle sostanze nocive sono molto frammentate: è importante ci sia una sintesi scientifica chiara e completa”. Il documento IPCP parla di “minacce nuove ed emergenti”: “Soprattutto sostanze che non hanno un elevato grado di tossicità – chiarisce la ricercatrice – ma sono molto solubili e raggiungono facilmente fonti d’acqua destinate alla potabilizzazione: viaggiano velocemente e sono difficilmente rimovibili se non con elevati costi di trattamento. È questa classe di sostanze che sta mettendo più in allarme la comunità scientifica”. I più famigerati in questa famiglia sono probabilmente i ‘forever chemicals’ Pfas.
La risoluzione – la cui versione ufficiale non è ancora stata pubblicata quando chiudiamo questo articolo (abbiamo potuto consultare solo una bozza) – prevede che si formi un working group, al lavoro già da quest’anno, per decidere come sarà composto il panel, di quante risorse avrà bisogno, quali saranno i suoi obiettivi specifici, il nome e la governance. Il tutto da completare entro il 2024. “Le finalità del panel – chiarisce Valsecchi – sono identiche a quelle dell’Ipcc: produrre evidenze scientifiche che permettano ai politici di prendere decisioni adeguate”.
Secondo Greenpeace, delle “tre grandi emergenza planetarie – clima, perdita biodiversità e contaminazione – le prime due sono già inserite in framework di lavoro internazionali, mentre le convenzioni per le sostanze di sintesi, seppure efficaci per alcuni aspetti, non coprono la totalità del problema”. Per questo, conclude Ungherese, “l’istituzione di un panel è fondamentale: per queste sostanze bisogna necessariamente affidarsi alla scienza. E il panel è senza dubbio l’avvio di un processo che porterà a regolamentazioni con effetti a livello globale”.
Leggi anche: “Solo il 9% della plastica viene riciclata”: i dati allarmanti del nuovo rapporto Ocse
Economia circolare, cosa prevede la risoluzione
Tra le 14 risoluzioni adottate a Nairobi, una, come accennato, è dedicata specificamente al sostegno dell’economia circolare. La risoluzione prende le mosse da una serie di documenti – come Il Circularity Gap Report o il Global Resources Outlook dell’International Resource Panel – e fa leva su precedenti risoluzioni (come Innovative pathways to achieve sustainable consumption and production). L’obiettivo del testo è chiarito fin nel titolo: “Potenziale l’economia circolare come contributo al raggiungimento della sostenibilità di consumo e produzione”.
Nella risoluzione l’economia circolare entra a tutto tondo. Agli Stati membri, alle imprese e agli stakeholders si chiede, ad esempio, (citiamo, come segnalato, il testo della bozza) di “rafforzare la progettazione dei prodotti tenendo conto delle valutazioni del ciclo di vita, per favorire l’estensione della vita del prodotto stesso”. Si chiede di “riparare, riutilizzare e facilitare il riciclaggio al fine di contribuire al raggiungimento dell’efficienza delle risorse”. L’ONU sottolinea l’importanza di condividere le best practice e di diffondere la cultura dell’economia circolare con piattaforme e campagna di comunicazione e sensibilizzazione. Si chiede di sostenere la ricerca e l’innovazione per l’economia circolare. Agli Stati si raccomandano norme che favoriscano l’economia circolare negli appalti pubblici, si caldeggiano responsabilità estesa del produttore e simbiosi industriale.
Le reazioni
La risoluzione in favore dell’economia circolare riceve molti apprezzamenti, ma, a detta degli stakeholder italiani, offre qualche margine di miglioramento. “Accogliamo con favore la risoluzione che ci sembra un ottimo passo avanti in direzione dell’economia circolare. Apprezziamo in particolare che venga dato rilievo all’approccio collaborativo nel quale ICESP crede fortemente” commenta Grazia Barberio, coordinatrice della task force ENEA di ICESP, la Piattaforma Italiana degli attori per l’Economia Circolare. Barberio fornisce anche elementi per un ulteriore slancio: “Rileviamo che, almeno nella bozza, i cittadini non sono esplicitamente menzionati come attori rilevanti verso questo processo di cambiamento al pari degli altri settori (istituzioni, settore privato, ricerca) e dunque tutte le azioni a questo correlate (di sviluppo metodologico, di strumenti e di tipo decisionale). Il coinvolgimento attivo di tutti i settori della società, con approccio quadrupla elica, è infatti fondamentale affinché avvenga davvero la transizione verso l’economia circolare, come sottolineato anche dall’Agenda Strategia delle Priorità di Ricerca e Innovazione verso l’Economia Circolare. Maggiore enfasi, inoltre, andrebbe data per questo alle istituzioni locali”.
Riflette Luca Ruini, presidente del Conai (Consorzio nazionale imballaggi): “Molto spesso i momenti di crisi accelerano i percorsi già avviati. Stiamo gradualmente uscendo da un’emergenza, quella pandemica, e ne è già emersa una nuova, quella internazionale: viviamo una fase incerta, ma in cui le difficoltà renderanno probabilmente più rapidi e significativi i cambiamenti. Sono convinto che, in quest’ottica, anche la transizione verso l’economia circolare stia accelerando: la risoluzione delle Nazioni Unite ne è un chiaro segnale”. E aggiunge poi: “Dobbiamo tutti impegnarci per chiudere davvero il cerchio. Dove c’è volontà politica i risultati si ottengono rapidamente: anche per questo spero che l’appello dell’ONU, pur nella situazione complicata che attraversiamo, sia stimolo per un nuovo impegno sostenibile”.
“Anche l’ONU, con questa risoluzione, certifica la necessità di un cambio di paradigma, peraltro già in atto, che porti la società da una economia lineare ad una circolare”, afferma Paolo Barberi, presidente Unicircular, che raccoglie le imprese dell’economa circolare. “L’obiettivo è dunque quello di aumentare sensibilmente il tasso di circolarità dei materiali, che secondo l’ultimo Circularity Gap Report, si attesta a livello mondiale solamente all’8,6%”. Ad oggi, sottolinea, “quello di cui le imprese operanti nel settore del riciclo avrebbero più bisogno nel nostro Paese è la creazione di condizioni tali per cui la domanda di materiali riciclati divenga più stabile: attraverso tassazioni agevolate, obblighi per l’uso dei materiali e prodotti riciclati, nonché, in linea con i recenti indirizzi europei (vedi direttiva SUP) di percentuali minime obbligatorie di materiali riciclati nella produzione di nuovi beni. Tutto questo affiancato ad uno snellimento e semplificazione dei provvedimenti autorizzativi a cui sono soggetti gli impianti, oltre ad una facilitazione del commercio dei materiali riciclabili e adeguatamente trattati, che ne ampli il mercato globale”.
Secondo Francesco Sicilia, direttore Unirima, associazione delle imprese del macero, “è importante che sia l’ONU a porre la questione dell’economia circolare, perché l’economa circolare, come la sfida climatica, è una questione globale. Inoltre, prima la crisi legata al covid e poi questa terribile guerra ci mostrano la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento, che dipendono prevalentemente dalle materie prime vergini: è evidente che dobbiamo aumentare quanto possibile la produzione di matrie prime da riciclo”. Inoltre, aggiunge “Condivido il riferimento alla riduzione degli ostacoli normativi, che anche in Italia scontiamo, alla prevenzione dei rifiuti e al supporto di chi fa economia circolare”.
“I dati più recenti contenuti nel Circularity gap report pubblicati ad inizio 2022 indicano come i modelli lineari siano ancora preponderanti”, ricorda Giuseppe Ungherese di Greenpeace: “Su scala globale una vera economia circolare basata su riparazione, estensione della durata del ciclo di vita dei prodotti e riutilizzo è l’unica via per mettere un freno alla voracità con cui i modelli di business e consumo divorano materie prime più velocemente rispetto a quanto il nostro pianeta sia in grado di produrre”.
Leggi anche: Il PET è la plastica più riciclabile e riciclata, ma potrebbe essere più circolare
© Riproduzione riservata