Se non è il primo certamente è il più imponente studio che analizza l’impatto dell’intero ciclo di vita della plastica: dall’estrazione di carbone, petrolio e gas, che sono le sue principali materie prime, fino allo smaltimento finale nell’ambiente. Pubblicato sulla rivista Annals of Global Public Health e diffuso a Monaco durante la Monaco Ocean Week, lo studio è stato intrapreso da un gruppo internazionale di scienziate e scienziati guidate dall‘Osservatorio dell’università di Boston, dai partner della Minderoo Foundation australiana e dal Centre Scientifique di Monaco.
Uno degli autori principali dello studio è Philip Landrigan, direttore del Programma sulla salute pubblica globale e il bene comune del Boston College. In un’intervista Landrigan ha discusso la portata senza precedenti dello studio, il primo a esaminare i costi economici, sanitari, ambientali e sociali associati alla plastica, dalle prime fasi di fabbricazione ai numerosi stati finali del materiale che è apparentemente ovunque: nelle case, nelle discariche, lungo i bordi delle strade, negli oceani e nei corsi d’acqua e, come ha dimostrato la recente inchiesta del programma Rai Presa Diretta, anche nei corpi degli esseri umani e degli animali.
“Sono un ottimista – ha detto Landrigan – Ho imparato da una lunga esperienza che il primo passo per realizzare il cambiamento è mettere insieme i fatti. Questo è ciò che abbiamo fatto in questa relazione. Una volta raccolti i dati che dimostrano che un materiale come la plastica sta causando gravi danni alla salute umana e all’ambiente terrestre, è più difficile per le persone dire che non ci sono problemi. Ciò non porterà cambiamenti dall’oggi al domani, ma i fatti sono cose ostinate e non se ne vanno. Con il tempo, sono sicuro che verrà stabilito il Trattato globale sulla plastica, verranno posti controlli ed equilibri sulla produzione di plastica e che l’accumulo attualmente sfrenato di rifiuti di plastica rallenterà. Ora abbiamo un Trattato sugli oceani e abbiamo l’accordo sul clima di Parigi per ridurre le emissioni di gas serra, quindi le cose si stanno muovendo nella giusta direzione”.
A leggere, però, lo studio realizzato, l’ottimismo scivola però un po’ via.
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Dal petrolio alla plastica
Lo studio internazionale è composto da ben sette sezioni. Lo scopo è quello di “esaminare in modo completo gli impatti della plastica durante il loro ciclo di vita su: salute e benessere umani; l’ambiente globale, in particolare l’oceano; l’economia; le popolazioni vulnerabili: i poveri, le minoranze e i bambini del mondo”. Sulla base di queste valutazioni, le ricercatrici e i ricercatori offrono una serie di raccomandazioni basate sulla scienza volte a sostenere lo sviluppo di un Trattato globale sulla plastica, proteggere la salute umana e salvare vite umane.
Nell’introduzione si specifica che “la plastica ha apportato grandi benefici all’umanità e ha reso possibili alcuni dei progressi più significativi della civiltà moderna in campi diversi come la medicina, l’elettronica, l’aerospaziale, l’edilizia, l’imballaggio alimentare e lo sport. È ormai chiaro, tuttavia, che la plastica è anche responsabile di danni significativi alla salute umana, all’economia e all’ambiente terrestre. Questi danni si verificano in ogni fase del ciclo di vita della plastica. L’entità di questi danni non è stata valutata sistematicamente, la loro portata non è stata completamente quantificata e i loro costi economici non sono stati conteggiati in modo completo”.
A queste carenze, dunque, prova a sopperire lo studio. Partendo dal fatto che “la recente crescita esplosiva della produzione di materie plastiche riflette una svolta deliberata da parte delle multinazionali che producono carbone, petrolio e gas e che producono anche plastica. Queste società stanno riducendo la loro produzione di combustibili fossili e aumentando la produzione di materie plastiche”. In più “la produzione di plastica è ad alta intensità energetica e contribuisce in modo significativo al cambiamento climatico. Attualmente, la produzione di plastica è responsabile di circa il 3,7% delle emissioni globali di gas serra, più del contributo del Brasile. Si prevede che questa frazione aumenterà fino al 4,5% entro il 2060 se le tendenze attuali continueranno senza controllo”.
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L’ingiustizia sociale della plastica
Come è noto, il ciclo di vita della plastica ha tre fasi: produzione, utilizzo e smaltimento. “Lo smaltimento della plastica è altamente inefficiente – si legge nello studio – con tassi di recupero e riciclaggio inferiori al 10% a livello globale. Il risultato è che circa 22 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica entrano nell’ambiente ogni anno, in gran parte plastica monouso, e si aggiungono agli oltre 6 gigatonnellate di rifiuti di plastica che si sono accumulati dal 1950. Grandi quantità di rifiuti di plastica vengono esportati ogni anno dai paesi ad alto reddito a quelli a basso reddito, dove si accumulano nelle discariche, inquinano l’aria e l’acqua, degradano gli ecosistemi vitali, sporcano spiagge ed estuari e danneggiano la salute umana: un’ingiustizia ambientale su scala globale. I rifiuti elettronici carichi di plastica sono particolarmente problematici”.
Con il risultato che “gli impatti ambientali negativi dell’inquinamento da plastica si verificano a più livelli, da quello molecolare e biochimico alla popolazione e all’ecosistema”. Quel che è peggio è che sono “i neonati nel grembo materno e i bambini piccoli le due popolazioni a rischio particolarmente elevato di effetti sulla salute legati alla plastica. A causa della particolare sensibilità dello sviluppo iniziale alle sostanze chimiche pericolose e ai modelli unici di esposizione dei bambini, le esposizioni associate alla plastica sono collegate a maggiori rischi di prematurità, natimortalità, basso peso alla nascita, difetti congeniti degli organi riproduttivi, compromissione dello sviluppo neurologico, ridotta crescita polmonare, e cancro infantile. Le esposizioni precoci a sostanze chimiche associate alla plastica aumentano anche il rischio di molteplici malattie non trasmissibili più avanti nella vita”.
Lo studio poi analizza i risultati economici dei danni prodotti dalla plastica, stimati in oltre 250 miliardi di dollari di costi sanitari, ai quali vanno poi associati i costi annuali delle emissioni di gas serra, stimate in altri 341 miliardi di dollari. In entrambi i casi si tratta di stime valutate attraverso dati riferiti al 2015, quindi lo studio presuppone che probabilmente ai livelli attuali i costi dei danni prodotti dalla plastica abbia sforato i mille miliardi di dollari. Una cifra monstre che, tuttavia, deve persino tenere conto di un altro fattore: “tutti i costi economici della plastica, e anche i suoi costi sociali, sono esternalizzati dall’industria petrolchimica e manifatturiera della plastica e sono sostenuti da cittadini, contribuenti e governi nei paesi di tutto il mondo senza alcun compenso”. Non sorprende perciò che una delle sezioni dello studio sia dedicata alla giustizia sociale.
“Gli effetti negativi della plastica e dell’inquinamento da plastica sulla salute umana, sull’economia e sull’ambiente non sono distribuiti uniformemente. Colpiscono in modo sproporzionato popolazioni povere, prive di potere ed emarginate come lavoratori, minoranze razziali ed etniche, gruppi indigeni, donne e bambini, che hanno poco a che fare con la creazione dell’attuale crisi della plastica e mancano dell’influenza politica o le risorse per affrontarlo. Gli impatti dannosi della plastica lungo tutto il suo ciclo di vita sono più sentiti nel Sud del mondo, nei piccoli stati insulari e nelle aree prive di diritti civili nel Nord del mondo. I principi della giustizia sociale e ambientale richiedono l’inversione di questi oneri iniqui per garantire che nessun gruppo sopporti una quota sproporzionata degli impatti negativi della plastica e che coloro che beneficiano economicamente della plastica sostengano la loro giusta quota dei suoi costi attualmente esternalizzati”.
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“I danni della plastica sono amplificati dai bassi tassi di recupero e riciclaggio”
Pur se di fronte a un quadro così sconcertante lo studio si chiude con una conclusione e alcune raccomandazioni che comunque lasciano un spiraglio di speranza. “È ormai chiaro – si legge nelle conclusioni – che gli attuali modelli di produzione, utilizzo e smaltimento della plastica non sono sostenibili e sono responsabili di danni significativi alla salute umana, all’ambiente e all’economia, nonché di profonde ingiustizie sociali. Il motore principale di questi danni in peggioramento è un aumento quasi esponenziale e ancora in accelerazione della produzione globale di plastica. I danni della plastica sono ulteriormente amplificati dai bassi tassi di recupero e riciclaggio e dalla lunga persistenza dei rifiuti di plastica nell’ambiente”.
Nelle raccomandazioni, invece, si legge che “per proteggere la salute umana e planetaria, in particolare la salute delle popolazioni vulnerabili e a rischio, e mettere il mondo sulla buona strada per porre fine all’inquinamento da plastica entro il 2040, questa Commissione sostiene l’adozione urgente da parte delle nazioni del mondo di un trattato globale sulla plastica forte e completo in accordo con il mandato stabilito nella risoluzione del marzo 2022 dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEA). Sono necessarie misure internazionali come un Trattato globale sulla plastica per frenare la produzione di plastica e l’inquinamento, perché i danni alla salute umana e all’ambiente causati dalla plastica, dalle sostanze chimiche associate alla plastica e dai rifiuti di plastica trascendono i confini nazionali, sono di portata planetaria e hanno effetti sproporzionati impatti sulla salute e sul benessere delle persone nelle nazioni più povere del mondo. L’efficace attuazione del Trattato globale sulla plastica richiederà che l’azione internazionale sia coordinata e integrata da interventi a livello nazionale, regionale e locale. Questa Commissione sollecita che un limite alla produzione globale di plastica con obiettivi, calendari e contributi nazionali sia una disposizione centrale del Trattato globale sulla plastica”.
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