L’Unione europea, ancora una volta, si divide sull’energia. Da un lato si vuole accelerare il processo che porterà ad abbandonare le caldaie a gas e altri combustibili fossili per ragioni ambientali e pragmatiche, vista la necessità di liberarsi dalla dipendenza del gas russo. Dall’altro tanti Paesi vorrebbero rimandare la transizione perché temono gli effetti economici negativi. In tutto questo le lobby del gas puntano a rallentare qualsiasi decisione e indebolire il testo a suon di eccezioni per preservare la loro quota di mercato.
Una situazione schizofrenica dove ancora c’è molta incertezza, come è emerso nella consultazione pubblica promossa dalla Commissione europea lo scorso aprile sul tema caldaie a gas. E lo stesso scenario sembra profilarsi per i condizionatori, con la messa al bando dei gas refrigeranti e che avrà inevitabili effetti sull’installazione di nuovi impianti. Sulle nuove regole è in corso il negoziato tra Commissione, Parlamento e Consiglio europeo, ma c’è stata una levata di scudi per contestare la tabella di marcia individuata dal Parlamento europeo, e gli Stati membri chiedono più tempo.
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I danni ambientali di caldaie e condizionatori
Il problema, però, non dovrebbe essere rimandato. Il riscaldamento degli ambienti rappresenta l’80% del consumo energetico in Europa, di cui più della metà è generato da combustibili fossili. Gli edifici rappresentano il 40% del consumo finale di energia dell’Ue e il 36% delle sue emissioni di gas serra. “Se l’Unione europea vuole rispettare i suoi impegni – ha commentato l’ong Ecos, presente alla consultazione – e raggiungere la neutralità dal carbonio entro il 2050 e mitigare l’attuale crisi energetica, il momento di agire è adesso”.
Le nuove caldaie messe in commercio, infatti, possono avere una durata di vita di 20-25 anni. Quindi, affinché l’Europa raggiunga la neutralità climatica entro il 2050, le caldaie a combustibili fossili dovrebbero smettere di essere installate entro il 2025. Il beneficio per l’Unione europea in termini di emissioni entro il 2050 sarebbe una riduzione di 110 tonnellate di CO2. “Vorrebbe dire un calo di due terzi delle emissioni degli edifici residenziali e pubblici nel caso in cui l’adozione di norme più stringenti venisse confermata”, precisa Ecos.
Ancora più pericolosi i gas fluorurati: una famiglia di gas artificiali utilizzati in una vasta gamma di attività industriali, come refrigeranti nel settore del condizionamento dell’aria e delle pompe di calore, che rappresentano oltre il 90% delle emissioni totali di gas fluorurati nell’Ue. I gas fluorurati hanno un effetto serra fino a 23.500 volte maggiore della CO2. Tra il 1990 e il 2014, le emissioni totali di gas fluorurati hanno registrato un aumento complessivo di circa il 70%, raggiungendo 124 Mt di CO2eq, e hanno rappresentato il 3% delle emissioni totali di CO2eq nell’Ue nel 2016.
La direttiva Ecodesign: lotta alle caldaie a gas
Andando più nel dettaglio del lavoro normativo dell’Ue, per quanto riguarda le caldaie a gas, durante la consultazione della Commissione sono state discusse le proposte legate al nuovo regolamento Ecodesign, che tra gli obiettivi ha proprio l’efficienza energetica degli elettrodomestici. Tra le ipotesi emerse, c’è quella di fissare una soglia minima di efficienza al 115% per le caldaie: un limite molto ambizioso per le tecnologie ad oggi disponibili. Aumentando la soglia di efficienza energetica, le caldaie a combustibili fossili verrebbero di fatto messe fuori legge.
Non passerebbero l’esame neppure le tecnologie a biogas o idrogeno. In sostanza, con la soglia minima di efficienza stagionale al 115%, le uniche soluzioni incentivate potrebbero essere le pompe di calore. L’altra proposta è stabilire direttamente il divieto di vendita delle caldaie a gas entro il 2029. Per quanto riguarda i cittadini, nonostante non ci sia alcuna norma che preveda di sostituire quelle già installate, dopo il 2029 in caso di guasti diventerebbe obbligatorio installare una pompa di calore alimentata a energia elettrica.
Migliorare l’efficienza energetica degli edifici, per l’Ue, si è rivelato più complicato delle previsioni, ma è fondamentale per ridurre al minimo la domanda di energia negli edifici e contribuire, così, a ridurre le emissioni. In contemporanea alla Commissione, il Parlamento europeo sta perciò discutendo una revisione della direttiva sulle performance energetiche degli edifici (EPBD). “Le norme attualmente in vigore sono superate e favoriscono l’impiego delle caldaie a gas – spiegano da Ecos – che possono essere vendute con una classe A+ nella scala piuttosto confusa e fuorviante da A+++ a D”. E l’orientamento del Parlamento è lo stesso: c’è la necessità di abbandonare il riscaldamento domestico a gas.
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La posizione delle nazioni europee
A livello di Stati membri, che dovranno votare la nuova legislazione in sede di Consiglio europeo, la situazione però è piuttosto contraddittoria. È vero: dieci paesi dell’Ue hanno già pianificato di vietare l’installazione di nuove caldaie a gasolio e a gas negli edifici. In Germania, a partire dal 2024 ogni nuovo apparecchio di riscaldamento installato dovrà funzionare con una quota elevata di energie rinnovabili e sono state di fatto vietate le caldaie a combustibili fossili “autonome”. A partire dal 2026, gli edifici nei Paesi Bassi devono installare pompe di calore ibride quando sostituiscono i loro sistemi di riscaldamento. L’Irlanda ha vietato le caldaie a combustibili fossili nei nuovi edifici a partire da quest’anno e dal 2025 in quelli già esistenti, lo stesso pensa di fare la Slovacchia.
Anche altri Paesi, come la Francia e l’Italia, si stanno muovendo nella direzione della transizione verso l’energia pulita e rinnovabile. Tuttavia, proprio l’Italia, durante la consultazione è stato l’unico Stato membro a esprimere la totale opposizione per “motivi di neutralità tecnologica”. Tutti gli altri Stati, in ogni caso, hanno precisato da Ecos nella conferenza stampa successiva alla consultazione, non hanno preso una posizione netta e hanno chiesto più tempo per inviare i loro commenti, che arriveranno sul tavolo della Commissione anche dalle altre parti sociali presenti nel forum.
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Incertezze e ritardi a livello europeo
Quindi la Commissione europea dovrà esaminarli per formulare una vera e propria proposta, da sottoporre al voto degli Stati membri. Il successivo incontro è fissato il 12 giugno. E già sembrano profilarsi possibili modifiche. La Commissione, infatti, ha rilevato che in alcune “situazioni particolari potrebbe non esserci una soluzione tecnica per sostituire la caldaia con una delle alternative disponibili” e quindi, probabilmente, nella nuova riunione emergeranno deroghe ed eccezioni rispetto al progetto discusso a fine aprile.
In conclusione, a cinque anni dall’avvio, a causa dei ritardi accumulati e alle varie resistenze, il processo legislativo per l’adozione delle regole sulla progettazione eco-compatibile e l’etichettatura energetica non è ancora terminato e servirà più tempo del previsto. La discussione a livello di Commissione europea potrebbe durare altri due anni e c’è l’incognita delle elezioni europee del 2024: nel caso di una modifica dell’indirizzo politico delle istituzioni Ue rischia persino di saltare tutto.
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Le lobby dichiarano guerra: lo dicono le email segrete
Perciò l’industria del gas ha intrapreso da subito un’intensa operazione di lobbying per ostacolare l’eliminazione graduale delle caldaie, come ha raccontato il Guardian dopo aver visionato delle email riservate inviate dai lobbisti ai parlamentari europei. In pratica, le società del gas vogliono mantenere in funzione le caldaie a combustibili fossili per proteggere la loro quota di mercato e prendere tempo per adattarsi a quelli che considerano potenziali nuovi mercati del gas “verde”: biocarburanti e idrogeno.
Sono argomenti, però, di scarso valore scientifico perché tutti gli studi concordano sul fatto che allo stato attuale solo una piccola parte dell’idrogeno può essere considerato verde e quindi si tratta di greenwashing. Secondo gli esperti, inoltre, l’idrogeno è una tecnologia ancora troppo costosa, mentre difficilmente la produzione di biocarburanti potrebbe arrivare in fretta a un livello tale da rappresentare una soluzione per il mercato del riscaldamento domestico europeo.
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La soluzione più ecocompatibile e conveniente: le pompe di calore
Le uniche opzioni ecocompatibili in chiave decarbonizzazione, in sostanza, restano le pompe di calore e il teleriscaldamento pulito. “Queste tecnologie sono disponibili e accessibili per tutti i cittadini. Riducono immediatamente le emissioni di carbonio. Non c’è motivo di ritardarne la diffusione”, taglia corto Ecos. La transizione verso l’energia pulita per riscaldare le case europee è già iniziata: sono state installate più di 20 milioni di pompe di calore in tutta Europa e i numeri continuano a crescere, con una crescita di quasi il 38% nel 2022, grazie alle 3 milioni di unità vendute.
Oltre ai benefici ambientali, le norme sull’efficienza e la progettazione eco-compatibile potrebbero inoltre alleggerire le bollette energetiche delle famiglie europee. “Meno energia consumata significa meno soldi spesi”, ha commentato il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans. Secondo le stime dell’associazione europea dei consumatori europei (Buec), con un impianto a pompa di calore per il riscaldamento le famiglie risparmierebbero fino a 385 euro l’anno. Insomma, conviene per l’ambiente e per le tasche.
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Regolamento Ue sui gas: la fine dei condizionatori?
Per la refrigerazione degli ambienti, invece, il pericolo viene dall’utilizzo del gas refrigerante ai fluorurati, i cosiddetti F-gas. C’è un apposito regolamento Ue sugli F-gas che ne disciplina l’utilizzo e la gestione e stabilisce un calendario graduale per la riduzione del quantitativo di F-Gas disponibili sul mercato. Lo scopo è quello di ridurre l’offerta di due terzi entro il 2030 attraverso un sistema di quote annuali, al fine di contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico.
Secondo le associazioni di settore, tuttavia, le nuove norme impedirebbero di installare un impianto di climatizzazione in 8 case su 10 e ci sarebbero problemi anche per le riparazioni e la manutenzione dei climatizzatori già presenti negli edifici e un sostanziale aumento dei prezzi, fino al 40%, per installare i nuovi condizionatori a norma. Ancora una volta, insomma, si vorrebbe che le esigenze ambientali passassero in secondo piano rispetto a quelle economiche.
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I gas naturali: soluzione ecocompatibile e standard di sicurezza
La soluzione più ecologica, però, ci sarebbe ed è lo stesso regolamento sugli F-gas a indicarla. Sono i fluidi refrigeranti a basso Gwp, ovvero a basso potenziale di riscaldamento globale, i gas naturali e le tecnologie più efficienti (come il propano e altri idrocarburi, l’ammoniaca, aria o acqua). Questi non comportano rischi per la salute o per l’ambiente e, nonostante richiedano maggiori investimenti iniziali per l’installazione, hanno costi di manutenzione notevolmente inferiori.
C’è il problema, non di poco conto, degli standard di sicurezza. Come spiega Legambiente, “gli attuali standard di sicurezza europei e internazionali limitano drasticamente l’uso di alternative ecocompatibili ai gas fluorurati a causa delle loro proprietà infiammabili. Tuttavia, questi criteri non riflettono gli sviluppi tecnologici in grado di mitigare i rischi di infiammabilità, garantendo al contempo elevati livelli di sicurezza”.
Proprio per questo motivo, continuare a sostenere tecnologie che dipendono dai gas fluorurati trasmetterebbe il messaggio sbagliato all’industria secondo cui è ancora accettabile investire in tecnologie dannose per l’ambiente, invece di indirizzare i fondi verso alternative sostenibili. La domanda è: perché l’Unione europea dovrebbe insistere sui gas fluorurati quando la ricerca tecnologica va in una direzione opposta?
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