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martedì, Maggio 14, 2024

“Bruci la città”. La prospettiva ecofemminista per rigenerare gli spazi urbani

Lo spazio urbano come terreno d’incontro tra prospettive di genere, movimenti femministi e transfemministi. Il libro "Bruci la città. Genere, transfemminismo e spazi urbani” esplora la dimensione della città con un’ottica ecofemminista. Le autrici ne raccontano la genesi

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Redazione EconomiaCircolare.com

di Giada Bonu Rosenkranz, Federica Castelli e Serena Olcuire

Qualche tempo fa ci siamo ritrovate insieme a partire da un’urgenza. Ognuna dal suo campo disciplinare – Giada dalla sociologia, Federica dalla filosofia politica, Serena dall’urbanistica – ma attraverso percorsi politici convergenti, sentivamo la necessità di comporre il mosaico di riflessioni e pratiche che intrecciano lo spazio urbano alla prospettiva di genere, e nello specifico alla prospettiva dei movimenti femministi e transfemministi.

Il tema della città da una prospettiva di genere è sempre più presente nei dibattiti, accademici e non. Non solo a causa del sorpasso storico, avvenuto nel 2007, della popolazione residente in città rispetto a chi risiede in campagna o aree rurali, ma soprattutto perché è emerso sempre più chiaramente quanto quello spazio, così densamente popolato, si fonda anche su diseguaglianze strutturali legate al genere. E su questo nodo moltissimo è stato fatto dai movimenti femministi e transfemministi, sin da quando, sul finire degli anni ’60, i gruppi di autocoscienza iniziavano a smarginare i confini tra privato e pubblico.

L’ecosistema città e il modello maschile 

Chi ha diritto alla città? Chi la pianifica, la abita, la riscrive? Che tipo di ecosistema rappresenta la città, e quali alternative provano a sfidarne il modello, maschile, eterosessuale, cis – abbreviazione di cisgender, persona nella quale collimano il sesso biologico e l’identità di genere – , abile, giovane, antropocentrico, produttivista, competitivo, estrattivo?

Con queste idee in mente, abbiamo iniziato a scrivere. Fin da subito ci siamo rese conto che non avremmo potuto fornire un resoconto esaustivo, né tantomeno dare tutte le risposte a un dibattito ampio e complesso che vive di molte voci. Abbiamo però pensato che un modo per affrontare i nodi del dibattito potesse essere quello del dialogo: ognuna a partire dalle sue competenze e conoscenze, ognuna con la sua esperienza dentro varie città, movimenti femministi e reti. Il libro si struttura così a partire da uno scambio su quattro macro-temi: lo spazio pubblico, gli spazi femministi e transfemministi, gli spazi delle pratiche quotidiane, gli spazi dell’interazione con le istituzioni.

Nasce così “Bruci la città. Genere, transfemminismo e spazi urbani” pubblicato da Edifir edizioni firenze, lo scorso 3 maggio.

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Lo spazio pubblico

Giocando tra le posture, a partire dallo scivolamento ricorsivo all’interno dei dibattiti tra lo spazio pubblico come metafora e lo spazio pubblico inteso come spazio urbano, ci concentriamo inizialmente su tale dimensione all’intreccio tra due prospettive: da un lato, lo spazio pubblico come spazio negato ad alcune soggettività (per via del modo in cui è concepito, ma anche per le politiche modellate su securitarismo e decoro); dall’altro, lo spazio pubblico come luogo di protesta, rivendicazione e riappropriazione.

Secondariamente abbiamo sentito la necessità di esplorare come la città “si fa” nelle pratiche quotidiane, e come il femminismo in quanto pratica trasformativa dello spazio urbano passa attraverso uno spettro ampio di incroci, sperimentazioni, azioni del quotidiano che donne, lesbiche, soggettività trans e non binarie agiscono nei loro percorsi di autodeterminazione, senza necessariamente riconoscersi in un posizionamento femminista. Ciò è particolarmente visibile nelle periferie delle grandi città, dove le donne trovano risposte alle necessità quotidiane generando benessere per la collettività, aprendo e animando spazi di cultura o per la cura condivisa, o istituendo luoghi significativi per le istanze del quartiere.

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Ecofemminismo e città

Infine, abbiamo voluto fornire una panoramica su come storicamente si è sviluppato il rapporto tra movimenti femministi e istituzioni sul terreno della città, tra conflitto aperto e rifiuto del confronto o, al contrario, collaborazione più o meno intensa, fino all’aperta interazione. Alcune di queste esperienze contribuiscono a una rimessa in discussione dei concetti stessi di istituzione e di pubblico – nonché delle possibili forme di governance che da questi discendono.

I nostri tre sguardi hanno trovato nel fenomeno dei commons femministi un punto di convergenza per capire, nella teoria e nella pratica, come lo spazio urbano sia diventato terreno di sperimentazione di nuove geografie istituenti. Ma cosa sono i commons femministi? Questi rappresentano il tentativo di aprire uno spazio, oltre il privato e il pubblico, che funzioni sulla logica dell’ecosistema – logica di cura, relazionale, di valore sociale, di mutualismo, di autodeterminazione, di connessione tra animali umani e non umani. Questa prospettiva, che attinge anche al pensiero ecofemminista, pone una sfida al modello neoliberale e al suo modello di governance. Il modello economico orientato al profitto funziona su un’organizzazione della città in cui l’elemento umano è centrale e sovrano, in quanto unico attore sociale caratterizzato come razionale (laddove l’essere un animale razionale coincide con il soggetto competitivo, individualista, in grado di costruire la propria fortuna nello scambio e nel conflitto con gli altri individui).

Senza alcuna sorpresa le istituzioni e le municipalità sono permeate dalla logica neoliberale che subordina qualsiasi considerazione inerente la giustizia sociale, il pianeta, la sostenibilità, al perseguimento dell’utile. I commons femministi investono invece sulla convinzione che un’altra postura sia possibile – se non fuori, almeno in contrapposizione alla città neoliberale – in cui la produzione di valore sociale prevalga sul valore monetario, e in cui le comunità possano gestire uno spazio non per trarne profitto ma per generare benessere e cambiamento.

A questo fa riferimento il titolo del libro, al fuoco che arde di desiderio e rigenera: da un lato per dare centralità alla carica conflittuale che muove le pratiche femministe dalla città e dall’altro per continuare ad alimentare quel desiderio generativo, anche dove il modello economico sembra aver prodotto il deserto, come nel caso della città.

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