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venerdì, Novembre 15, 2024

Tutto quello che c’è da sapere sull’assenza di materie prime e sull’aumento dei prezzi

Manca tutto, scriveva Bloomberg a maggio. E costa caro, aggiungiamo noi. Sono tanti i motivi di una crisi di sistema di cui ancora si parla troppo poco. Il caso più emblematico è l'assenza dei semiconduttori, che ha bloccato intere filiere, in Italia e nel mondo. Ora più che mai serve rivolgersi all'economia circolare

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Redazione EconomiaCircolare.com

“L’economia mondiale è improvvisamente a corto di tutto”. L’allarme lanciato a maggio da Bloomberg, una delle più note riviste economiche a livello mondiale, era dei più gravi. Eppure ad oggi solo alcuni giornali italiani, a partire da Il Sole 24 Ore, gli hanno dedicato alcuni focus di approfondimento. Il dibattito pubblico e politico di quest’estate si è invece concentrato sulla campagna di vaccinazione e sull’introduzione del greenpass. Ora però, con l’arrivo ormai prossimo dell’autunno, l’assenza di materie prime torna a farsi sentire. I motivi di questa carenza, che rischia di farsi drammatica ed è già foriera di conseguenze evidenti sulla vita di ogni giorno, sono tanti. Ecco perché questa volta sarà necessaria la massima attenzione da parte di tutti e tutte. Altrimenti la crisi non farà che peggiorare.

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Da dove comincia una crisi

Le prime avvisaglie in realtà c’erano già state già nel 2020, durante la prima fase della pandemia. Costretti a stare a casa, i nostri consumi sono cambiati di molto: meno trasporti, certamente, ma allo stesso tempo molto più acquisti e servizi online. Dunque molti più imballaggi e molta più plastica. Poi l’estate sembrava aver messo alle spalle i lockdown in tutto il mondo. Quando invece ci siamo ritrovati nella seconda ondata, si è però verificato un fenomeno strano: le imprese sono ripartite tutte insieme, e le scorte sono terminate presto. Nel frattempo, col precedente crollo della produzione, il settore finanziario aveva come al solito speculato: le materie prime, grazie anche a un dollaro particolarmente debole, erano diventate un investimento molto conveniente. Per cui chi puntava sulla successiva ripresa ha acquistato a poco prezzo e adesso sta rivendendo a cifre esorbitanti.

Ci sono poi da considerare anche gli aspetti logistici. Chi ricorda più la Ever Given? A marzo l’enorme portacontainer lunga 400 metri si è incagliata nel Canale di Suez, provocando per alcuni giorni il blocco del più importante luogo di passaggio delle merci a livello mondiale. Nell’articolo citato all’inizio, Bloomberg stima che quei ritardi nelle consegne si protrarranno fino all’autunno. Per questo motivo alcune grandi aziende hanno dovuto in fretta e furia reperire materie prime in un mercato già in difficoltà. A ciò poi va aggiunta un’estate particolarmente complessa a livello climatico, tra temperature record, incendi devastanti, siccità a profusione (la più estesa probabilmente in Brasile) e inattese gelate come quella avvenuta negli Usa a febbraio, che ha fermato l’attività di molti petrolchimici.

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La prima a soffrire? La plastica

“Abbiamo scalato montagne per resistere al Covid e ce l’abbiamo fatta. Ora ci dobbiamo inginocchiare di fronte alla mancanza di materiali”. La frustrazione che Luca Iazzolino, presidente di Unionplast, esprime a marzo in un comunicato, ripreso dalle maggiori testate nazionali, è esemplificativa di uno stato d’animo generalizzato del settore. Uno di quelli più in difficoltà, assieme al metalmeccanico – dove la carenza dell’acciaio ha fermato moltissimi impianti. Anche in questo caso i motivi sono tanti, e alcuni li abbiamo già elencato. In più, proprio sull’assenza dei polimeri che poi costituiscono le plastiche, vanno aggiunti tre ulteriori problemi. Il primo è che Cina e India, con la ripresa dell’economia, hanno fatto incetta di ordini di materie prime per la plastica. Il secondo è che con l’aumento dei prezzi sono aumentati anche, e di molto, i costi della logistica: sempre più importatori di plastica affermano che è diventato difficile trovare navi container a disposizione e, quando succede, si trovano a prezzi quadruplicati rispetto agli anni pre-Covid. Infine, al di là dei tanti annunci, il processo di riciclo di plastica riguarda ancora quote basse dell’intera produzione – si parla di percentuali appena sopra il 20%, quando va bene.

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Il caso Ps5

Ci sono singoli casi, a volte, che spiegano fenomeni complessi meglio di tante analisi. È il caso ad esempio di ciò che è avvenuto con la Playstation5. La Sony ha più volte rinviato il lancio della nuova piattaforma videoludica, quella che avrebbe tracciare la nuova rotta dei videogiochi a livello mondiale. Oggi la distribuzione è in atto ma le Ps5 si trovano comunque col contagocce. Motivo? L’assenza di semiconduttori, soprattutto da parte del principale fornitore al mondo, ovvero lo stato di Taiwan. “La PlayStation 5 di casa Sony – scrive LegaNerd – è solamente la vittima più in vista, quella più pop, del difetto in questione, tuttavia l’assenza di componenti sta praticamente tenendo in ostaggio intere filiere di produzione, causando tutta una serie di contraccolpi che certamente generano frustrazione negli acquirenti mancati, ma anche seri tracolli alle economie di intere nazioni”.

Rimanendo più tempo a casa, infatti, è aumentata enormemente la richiesta di nuove consolle. E non solo: i semiconduttori – essenziali per la costruzione dei microchip – sono essenziali anche per le costruzioni delle nuove automobili, sempre più elettroniche. Col risultato che, dopo il fermo dovuto al primo lockdown, le grandi aziende dell’automotive hanno aumentato le richieste di queste materiali. Creando un ulteriore collo di bottiglia e una sorta di corsa all’accaparramento tra videogiochi e automotive che non fa bene a nessuno. Tanto che anche in Italia sono cominciati i primi fermi di produzione – Stellantis ad esempio ha già annunciato lo stop per lo stabilimento di Melfi, proprio per via dell’assenza di semiconduttori da lavorare.

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Il report di Erion

Il tempo per affrontare i problemi, dunque, c’era tutto. E ci sarebbe ancora, se solo si decidesse di studiare. A tal proposito vale la pena segnalare il contributo di Erion – il più importante consorzio per la gestione dei rifiuti associati ai prodotti elettronici ed elettrici, nonché editore di EconomiaCircolare.com. A luglio Erion pubblica un report, significativamente intitolato “Approvvigionamento delle materie prime strategiche: una questione di sicurezza nazionale”, nel quale affronta le cause e gli effetti di questa perdurante crisi.

L’industria italiana dipende fortemente (si stima per circa il 90%) dalle importazioni di materie prime ed è dunque essenziale operare per ridurre i rischi legati al mancato approvvigionamento, sicuro e competitivo, dei materiali strategici – si legge nel dossier – Le nostre imprese manifatturiere segnalano che nell’ultimo anno sta diventando sempre più difficile reperire materie prime sul mercato e che i prezzi delle stesse stanno aumentando vertiginosamente, mettendo a rischio la produzione di moltissime aziende, soprattutto PMI. Si segnalano grosse difficoltà nell’approvvigionamento di acciaio, ferro, alluminio, legnami, pelli, plastiche, gomma, resine e altri materiali. L’aumento dei prezzi delle materie prime, anche del 100%, e la difficoltà di reperirle sul mercato ha costretto le aziende dei settori metalmeccanico, automobilistico, elettronico, chimico, edile, tessile e del mobile a ridurre drasticamente la produzione, con ricadute negative sui livelli occupazionale”.

Inoltre, come è noto, la transizione ecologica e digitale se da una parte pone nuove sfide, dall’altra rischia di rafforzare tendenze già in atto. Come quella dell’accentramento, con la Cina che sempre più potrà decidere dei destini del mondo. “Le dipendenze della catena di approvvigionamento dalle materie prime critiche è particolarmente impattante sulle nuove tecnologie: le batterie Li-ion, le celle a combustibile (FC), le turbine eoliche, i motori di trazione elettrica, il fotovoltaico (PV), la robotica, i droni (UAV), la stampa 3D (3DP, additive manufacturing o AM) e i semiconduttori”. Tutti, o quasi, i materiali  – basta pensare alle note terre rare – provengono proprio dal colosso asiatico.

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A rischio anche il Recovery Plan, il Superbonus e le prossime bollette

Gli effetti di questa perdurante crisi, però, non riguardano solo il presente o l’immediato futuro. Nell’Europa che intende mettersi alla guida della transizione ecologica, a rischio c’è il principale strumento che il Vecchio Continente si è dato per questo scopo, ovvero il Piano nazionale di ripresa e resilienza. A fine luglio è arrivata la prima tranche di finanziamenti, e dunque a breve dovrebbero partire i primi cantieri, soprattutto nei trasporti e dell’edilizia. Settori, questi, che sono tra coloro che più risentono dell’aumento dei prezzi. Basti pensare che fra novembre 2020 e luglio 2021 il prezzo dei tondini di acciaio è aumentato del 243%, mentre quello del pvc del 73% e quello del rame del 38%. Il rischio di ritardi e rinvii è molto concreto, come afferma da tempo Confindustria.

Allo stesso modo il rallentamento del Superbonus 110% – la misura messa in campo dal governo Conte II e confermata dal governo Draghi – è ormai evidente. Sempre più imprese edili rifiutano nuovi lavori, proprio perché i costi di fornitura sono lievitati alle stelle. A breve, inoltre, anche la popolazione sarà costretta, letteralmente, a fare i conti con questa perdurante crisi. Dalla nota mensile dell’Istat si apprende che “ad agosto, è proseguita la ripresa dell’inflazione, spinta dalla componente energetica”; si è poi “registrato un rialzo dei prezzi degli alimentari”, mentre “i forti rincari delle quotazioni delle materie prime e la ripresa dell’industria hanno continuato a riflettersi nella crescita dei prezzi dei beni importati” e “’l’aumento dei prezzi all’importazione si è riflesso anche nei movimenti al rialzo dei prezzi dei prodotti industriali venduti sul mercato interno”. Ci si attendono poi già da settembre nuovi rincari, soprattutto nelle bollette.

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Come invertire il trend?

L’Europa, conscia dell’eccessiva dipendenza da Cina e Usa, ha deciso di istituire l’Alleanza per le materie primeEuropean Raw Materials Alliance (ERMA). L’iniziativa in realtà risale a prima della pandemia, ma è chiaro che questo ente dovrà diventare sempre più cruciale. E, soprattutto, dovrà fornire le giuste e necessarie risposte. “Entro il 2030 – si legge sul sito dell’Alleanza – le attività di ERMA aumenteranno la produzione di materie prime e avanzate e affronteranno l’economia circolare promuovendo il recupero e il riciclo delle materie prime critiche. In particolare, l’Alleanza intende: sostenere la creazione di innovazioni e infrastrutture sostenibili dal punto di vista ambientale e socialmente eque; implementare un’economia circolare di prodotti complessi come veicoli elettrici, tecnologie pulite e apparecchiature a idrogeno; supportare la capacità dell’industria europea delle materie prime di estrarre, progettare, produrre e riciclare materiali; promuovere l’innovazione, gli investimenti strategici e la produzione industriale attraverso catene del valore specifiche”.

Da parte propria Erion suggerisce di puntare sulla “miniera urbana” che ci circonda. Ancora una volta, insomma, la soluzione è circolare. “Un modo intelligente per ridurre, almeno parzialmente, la dipendenza dell’Italia dalle complesse dinamiche dei mercati globali delle materie prime critiche ci sarebbe ed è la valorizzazione della nostra «miniera urbana» di rifiuti tecnologici. La corretta e completa gestione, orientata al riciclo anziché allo smaltimento, delle apparecchiature elettriche ed elettroniche post consumo, i cosiddetti RAEE rappresenta infatti una“miniera” di materie prime di grande interesse nella logica della transizione dell’economia da lineare a circolare. Oltre ai positivi effetti sull’ambiente si ottengono importanti risultati in termini di occupazione e strategici per il sistema Paese, grazie alla possibilità di ottenere materie prime e materiali critici che diversamente si dovrebbero importare”.

Nello specifico Erion prevede un piano da 100 milioni di euro, applicabile in quattro anni, che si potrebbe finanziare con la misura 2 del Pnrr, quella specificatamente dedicata ai “Progetti faro per l’economia circolare”. Entro il 2025 si potrebbero in questo modo installare 1.000 eco-point RAEE sul territorio, 100 centri di remanufacturing di apparecchi domestici e 5 impianti di idro/bio metallurgia per recupero CRM. “Il Piano – conclude il consorzio – consente di mettere a disposizione del Paese oltre 150mila tonnellate di MPS/anno da valorizzare, di cui il 4% appartenenti alla categoria delle materie prime critiche, creando 8mila nuovi posti di lavoro e contribuendo a evitare emissioni di gas serra per circa 1 milione di tonnellate”. Per riprendere una delle più famose frasi di Mario Draghi, è giunto per l’economia circolare il momento del “Whatever it takes”. Tra assenza di materie prime e aumento dei prezzi, la necessità di cambiare il paradigma sviluppo non è più rinviabile. Ad ogni costo, letteralmente.

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