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venerdì, Ottobre 4, 2024

Che cos’è il giornalismo costruttivo e perché serve per cambiare l’informazione

Un modo di fare giornalismo più attento alle soluzioni senza rinunciare all’analisi dei problemi. Con più spazio per il dialogo e meno per il sensazionalismo. Più buone pratiche per dare una risposta alle “brutte notizie”. Perché al pubblico interessa come risolvere i problemi. Ecco la nuova frontiera dell'informazione

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Bad news is good news. “Una cattiva notizia è una buona notizia”: su questa massima del giornalismo anglosassone si sono formate intere generazioni di cronisti e croniste. Nonostante lo stile cinico, vezzo di un’idea romantica di reporter del secolo scorso, il motto rendeva tuttavia bene l’idea di cosa interessasse al pubblico. Catastrofi naturali, guerre, terrorismo o efferati casi di cronaca nera: la cattiva notizia è una buona notizia per il giornale, che vende più copie e acquista nuovi lettori. Dietro il cinismo, anche una dichiarazione di professionalità: compito del giornalista è smascherare gli illeciti, i misfatti, la corruzione.

Tutto vero, ma oggi, tra i tanti cambiamenti avvenuti nel sistema mediatico, nella sensibilità dei lettori e nella possibilità del giornalismo di ricoprire la funzione di “cane da guardia” del potere, si fa strada una nuova idea di professione: orientata non solo alla denuncia, ma alla soluzione dei problemi. Tra i primi a promuovere questo nuovo approccio – sposato fin dall’inizio dalla redazione di EconomiaCircolare.com –  furono nel 2010 i giornalisti del New York Times David Bornstein e Tina Rosenberg con la rubrica “Fixes”. Tre anni dopo contribuirono a creare il Solutions Journalism Network, oggi punto di riferimento per migliaia di giornaliste, giornalisti, lettrici e lettori in tutto il mondo.

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Se racconti un problema parla anche della soluzione

Cosa sia il giornalismo delle soluzioni o giornalismo costruttivo lo spiega con un esempio la stessa Tina Rosenberg sul New York Times: “Nel 2015, ho scritto dello sviluppo sorprendentemente rapido del vaccino contro l’Ebola. Tutti sapevano dell’epidemia di Ebola nell’Africa occidentale del 2014. Ma sono rimasta scioccata dal numero di lettori che non avevano idea che ci fosse un vaccino di successo. Adesso c’è anche un trattamento efficace per l’Ebola: quante persone lo sanno? Ecco la lezione: se raccontiamo di un’epidemia, dovremmo concentrare l’attenzione sulla cura”.

In Danimarca, con gli stessi propositi, il giornalista Ulrik Haagerup ha fondato il Constructive Institute: “un network globale di persone convinte che il giornalismo sia parte del problema nella crisi di fiducia delle nostre democrazie e invece deve diventare parte della soluzione”. I consigli di Haagerup per i giornalisti sono semplici, come lo sono le 5W per i cronisti di nera: “Quando avete una storia chiedetevi sempre quali siano le possibili soluzioni, se qualcuno ha già affrontato lo stesso problema, cosa possiamo imparare dagli esempi degli altri, se possono essere riproposti in altri contesti o su diversa scala”.

Contro il sensazionalismo e la negatività

Negli ultimi due o tre decenni, milioni di associazioni sono nate in tutto il mondo per affrontare in modi nuovi problemi della più svariata natura. Ma a differenza di grandi uomini di affari, scienziati o sportivi, la visibilità di questi sforzi è stata per anni messa in secondo piano. Per questo il giornalismo delle soluzioni è anche “una risposta al crescente sensazionalismo e negatività delle notizie, con l’obiettivo di dare ai lettori una narrazione onesta, accurata e contestualizzata del mondo, senza enfatizzare oltre al necessario quello che non va”, spiega il Solution Journalism Network. Anche al Constructive Institut non hanno dubbi: “Il giornalismo costruttivo è una risposta al crescente sensazionalismo e pregiudizio negativo dei media di oggi.  La sua missione principale è ripristinare la fiducia nell’idea che fatti condivisi, conoscenza condivisa e discussioni condivise siano i pilastri su cui si fondano bilanciano le nostre comunità: così si realizza la funzione democratica del giornalismo come meccanismo di feedback che aiuta la società ad autocorreggersi”.

“Il professionista restituisce integralmente un fatto e prende in considerazione la possibilità di ‘educare’ chi riceve la notizia” recita a tal proposito la Carta etica del giornalismo costruttivo adottata nel 2022 dal Constructive Network italiano, una rete di oltre 150 operatrici e operatori dell’informazione che riflettono e agiscono in base ai principi del giornalismo delle soluzioni. Il documento contiene poi un forte richiamo al principio del dialogo e della collaborazione con il pubblico di riferimento: “Il giornalista costruttivo desidera mettersi nei panni dell’interlocutore, senza confondersi con esso, per aiutarlo ad affrontare situazioni critiche o problematiche. In sostanza, è un professionista che considera i lettori degli interlocutori a tutti gli effetti, con i quali è possibile co-creare la notizia”.

Cosa chiedono veramente le lettrici e i lettori

Rispetto agli anni Novanta, quando in base all’indagine fatta negli Usa da Public Agenda, il 79% degli intervistati sosteneva di condividere l’affermazione “compito di un reporter è dare cattive notizie”, sono gli stessi lettori a chiedere il cambiamento. Già nel 2008 i giovani intervistati dall’Associated Press si sentivano “debilitati dall’informazione sovraccarica di notizie negative” ed esprimevano il desiderio di “disconnettersi dal flusso di notizie”. E questo prima dell’avvento dei social network, delle notifiche push sugli smartphone che si aggiungono alle breaking news e ai collegamenti live interminabili.

Per Rolf Dobelli, autore di “Smetti di leggere notizie”, “sono brevi lampi di paura, scosse emotive a cui segue inevitabile l’indifferenza, ondate di dopamina informativa che diventano fonte di stress e malessere e anziché renderci più consapevoli ci impediscono di mettere nella giusta prospettiva i problemi e danno una visione distorta della realtà”. Un fenomeno che, pensando ad esempio alla cosiddetta “ansia climatica” o alla guerra nel cuore dell’Europa, sicuramente in questi ultimi anni si è accentuato.

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Più notizie costruttive ma deve esserci qualità

Invece di intervenire, ci consegniamo al ruolo di spettatori impotenti. “Le notizie negative lasciano le persone senza speranza e passive. Un pezzo costruttivo con una chiusura fiduciosa lascia i lettori più informati e desiderosi di agire”, conferma Ulrik Haagerup, citando uno studio fatto dall’università della Pennsylvania. “Osservando ciò che rende le notizie virali, i ricercatori hanno scoperto che le storie emotivamente coinvolgenti vengono condivise di più. Le storie che evocano tristezza, paura o rabbia hanno meno probabilità di essere condivise rispetto alle storie positive”.

Non si tratta, però, di raccontare una volta ogni tanto una buona notizia, precisa David Bornstein sempre sul New York Times. Di sicuro, il giornalismo costruttivo “non ha nulla in comune e non è da confondere con le storie smielate e le notizie rassicuranti e su temi leggeri raccontate dai quotidiani durante le vacanze estive”. Il giornalismo delle soluzioni ha infatti gli stessi standard di professionalità, accuratezza e obiettività del giornalismo d’inchiesta, ma sono declinati in una direzione diversa.

“Sono rimasta sorpresa – racconta Tina Rosenberg – dalla frequenza con cui le storie che abbiamo scritto su questioni difficili o inquietanti: bullismo, povertà, affidamento dei figli o depressione, sono apparse nella classifica degli articoli più popolari del giornale. I lettori hanno condiviso le storie con i familiari e gli amici direttamente interessati da questi temi. Molte associazioni con cui ho parlato sono state raggiunte da lettori che dopo aver letto l’articolo chiedevano di entrare in contatto con loro per saperne di più”.

Il giornalismo delle soluzioni: attivismo e obiettività

“Sappiamo dalla scienza comportamentale – nota David Bornstein – che le informazioni su un problema da sole raramente sono sufficienti per generare un’azione correttiva. Le persone devono sapere cosa possono fare e come”. Raccontando con regolarità le soluzioni a problematiche locali o globali, i giornalisti possono quindi contribuire a fornire alle comunità dei lettori le conoscenze per costruire un mondo più equo e sostenibile e “correggere i problemi legati alle società attuali, dalle ineguaglianze al razzismo, dalla polarizzazione del dibattito pubblico alla crisi ambientale”, come spiega sul suo sito il Solution Journalism Network.

Proprio per questo approccio orientato all’azione, tuttavia, il giornalismo costruttivo è stato oggetto di alcune critiche per una presunta mancanza di obiettività. Sebbene l’obiettività assoluta e la massima imparzialità siano in realtà una chimera anche nel giornalismo classico, perché c’è sempre un punto di vista nell’interpretazione dei fatti, Ulrik Haagerup sottolinea che il giornalista non deve promuovere una soluzione piuttosto di un’altra, né fare attivismo o politica in qualsiasi forma nei suoi articoli.

Il giornalismo costruttivo invita alla conversazione

Alla concezione anglosassone di giornalismo, Ulrik Haagerup aggiunge “il modello nordico del dialogo tra le parti per arrivare alla soluzione attraverso la conversazione”, aspetto di cui non parlano i giornalisti delle soluzioni statunitensi. Addirittura, nella visione di Ulrik Haagerup, il giornalismo costruttivo applicato alla politica dovrebbe “incoraggiare la mediazione, specialmente durante le elezioni”, fuggire dalla polarizzazione e usare sempre toni pacati nel dibattito, ispirandosi alla terapia familiare: il giornalista come colui che crea ponti e lavora per il compromesso. “Questo suscita molto scalpore quando ne parlo coi politici”, ammette il giornalista danese.

Certo, è la sua personale visione di giornalismo politico, ma favorire il dialogo, tiene a precisare, non significa per questo essere ingenui e naive nella lettura degli eventi: eppure, nell’era – declinante – del giornalismo urlato, non essere aggressivi e arroganti sembra essere un sinonimo di arrendevolezza. A guardare i fatti, tuttavia, se c’è una nazione dove il legame tra politica e giornalismo è forte e indissolubile è proprio l’Italia, che del modello urlato ha fatto la base dei talk show e di parecchi giornali. Bisogna pensare a una soluzione critica ma costruttiva.

Leggi anche: Al via la collaborazione con il Constructive Network e News48. Insieme per il giornalismo delle soluzioni

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