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lunedì, Novembre 4, 2024

Marmettola, l’impatto ambientale dell’oro bianco sui fiumi italiani

Il marmo è un materiale prezioso ma la sua estrazione può comportare la dispersione della marmettola, una sottile polvere bianca che, se non adeguatamente smaltita, può finire a valle. Così l’acqua dei fiumi delle Alpi Apuane, dopo periodi pioggia intensa, si tinge di bianco

Marco Buratti
Marco Buratti
Fotografo freelance. Il sociale, l’ambiente e il mondo della ricerca scientifica sono tematiche ricorrenti nei suoi progetti fotografici. Dal 2020 collabora con l’agenzia fotogiornalistica Parallelozero. Le sue foto sono state pubblicate magazine nazionali e internazionali

Come esseri umani, abbiamo spesso maltrattato l’elemento principale per la nostra sopravvivenza: l’acqua. Abbiamo dato per scontato che sarebbe stata sempre lì, immutabile, nella sua limpidezza cristallina. Causa il cambiamento climatico e con esso l’aumento delle temperature, le rare nevicate, la siccità, i fenomeni meteorologici estremi: la scarsità e la cattiva gestione delle risorse idriche sono oggi problemi da affrontare con urgenza. Inoltre, l’acqua a nostra disposizione oltre a essere gestita male, è spesso inquinata.

Emblematica è la situazione del bacino idrografico delle Alpi Apuane. Dopo periodi di pioggia intensa, le acque a regime torrentizio dei fiumi Frigido (Massa), Carrione (Carrara), Vezza (Serravezza), della valle de il Lucido in Lunigiana, così come il lago di Isola Santa in Garfagnana, si tingono di bianco a causa della marmettola che scende verso valle riempiendo i canali di alimento della falda.

Che cos’è la marmettola?

La marmettola è la polvere di marmo, quindi una polvere minerale prodotta in grandi quantità a causa dell’estrazione, del taglio e dalla lavorazione del marmo. Ha un colore bianco ed è impalpabile e polverosa come la farina 000.

Se lasciata a terra ed esposta alle piogge si trasforma in una fanghiglia melmosa, nociva per l’ambiente, perché una volta secca cementifica gli alvei dei fiumi e dei torrenti, forma uno strato impermeabile, dannoso per ogni forma di vita e devastante per la biodiversità, e aumenta il rischio di esondazioni e alluvioni.

Nicola Cavazzuti, classe ‘66, vice presidente CAI Massa e ambientalista da 30 anni, paragona la marmettola al colesterolo. La marmettola – afferma – si inserisce dentro le fessure delle Alpi Apuane, le vene dei monti, e determina un inquinamento biologico. Essendo un ambiente carsico, depositandosi nei canali, riduce biologicamente la probabilità di sviluppo della vita perché occlude e toglie ossigeno ai microrganismi alla base della catena alimentare. Inoltre essendo carbonato di calcio è acido, e l’acidità riduce la possibilità di sviluppo della vita del microrganismo”.

marmettola Cavazzuti
Da sinistra: frazione Casette (Massa), Nicola Cavazzuti riempie una bottiglia con acqua molto torbida da marmettola a titolo dimostrativo A destra: frazione di Canevara (Massa), Nicola Cavazzuti Foto: Marco Buratti www.marcoburatti.com

Anche per Legambiente, “sedimentando nell’alveo, la marmettola occlude le branchie di invertebrati e pesci, forma uno strato impermeabile e asfittico e stronca il potere autodepurante dei fiumi”.

La polvere di marmo quindi è già pericolosa per l’ambiente per la sua consistenza e per la sua reazione agli agenti atmosferici, ma è anche inquinante perché in essa si trovano tracce di terriccio di cava, oli e grassi usati per lubrificare gli strumenti per il taglio, tracce di idrocarburi per alimentare le macchine, metalli derivanti dagli utensili di taglio, come tagliatrici a catena e fili diamantati.

La presenza di marmettola determina un significativo degrado qualitativo dei corpi idrici, causa danni alle acque superficiali – basta osservare il colore delle acque del fiume Frigido e del Carrione durante i periodi di pioggia – ma soprattutto a quelle sotterranee e sorgive. L’inquinamento delle acque sotterranee e delle sorgenti, in buona parte captate a scopo idropotabile, sebbene sia ancor più grave di quello delle acque superficiali, è meno percepito, perché non direttamente visibile. Le sorgenti con torbidità contenuta sono potabilizzate da filtri mentre quelle caratterizzate da elevata torbidità vengono temporaneamente escluse dalla rete acquedottistica, generando uno spreco di risorse.

Inoltre l’acqua contenente marmettola non può essere utilizzata neppure per irrigare in agricoltura.

Nicola Cavazzuti ha denunciato al ministero dell’ambiente la situazione critica del Carrione, fiume di Carrara, che si ripete ogni qual volta le piogge diventano abbondanti e imbiancano il fiume. In risposta, il Ministero dell’Ambiente ha inviato a Cavazzuti un documento di analisi dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) sulla questione Carrione e cave, tramite l’ Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (ARPAT) di Massa Carrara.

 In seguito a varie analisi dei fiumi, il documento di una trentina di pagine – spiega l’ambientalista – tira fuori delle conclusioni pesantissime. Infatti, sebbene le prescrizioni aiuterebbero a limitare gli inquinamenti, identifica l’escavazione in cava come un’attività inquinante a prescindere. Accusa gli enti locali di non aver fatto abbastanza in questi anni e li invita a prendere atto di questa situazione”.

Sebbene le istituzioni e gli imprenditori del marmo conoscano il problema, Arpat monitori le acque e sia stato istituito un Contratto di Fiume tra Comune e associazioni per tutelare le acque del fiume Frigido, la situazione non migliora: la marmettola continua a scendere e i cittadini continuano a pagarne le conseguenze.

marmettola fiume
Località Poggio piastrone (Massa) Foto: Marco Buratti www.marcoburatti.com

La sorgente del Cartaro – il fiume le cui acque arrivano da Rocchetta (Brugiana e Sagro) – è soggetta a inquinamento da marmettola a tal punto che per renderla potabile necessita di un impianto mastodontico per la sua popolazione, che costa ai cittadini di Massa 350.000 euro l’anno di bollette. Inquinamento causato da chi scava appena sopra la sorgente cioè nella cava Rocchetta Caldia e in quelle del Sagro. Secondo studi dell’ISPRA, per essere potabile l’acqua che entra nell’acquedotto deve avere un valore NTU – un parametro della torbidità dell’acqua – inferiore ad 1. Tuttavia, spesso l’impianto in questione non funziona: non riceve acqua perché l’acqua in entrata arriva ad avere un NTU superiore a 1300 – in base a quanto emerge dal monitoraggio dell’ARPAT sulla torbidità – e il sistema non riesce a ridurlo fino al punto di sicurezza.

Leggi anche: I rischi dell’estrazione di materie prime critiche sulle risorse idriche

Marmettola, un problema annoso

Il problema dell’inquinamento legato agli sversamenti di marmettola esiste da decenni e non è mai stato risolto: risale al 1983 uno studio della Comunità Montana delle Apuane in cui si parlava dell’impatto devastante della marmettola nei fiumi, causa di alterazione dell’equilibrio naturale e di distruzione dei microhabitat.

In passato i metodi di escavazione erano diversi (esplosivi e filo elicoidale), gli scarti di lavorazione – il marmo in forma diversa dal blocco, simile a dei sassi molto grossi o a degli scogli, per intenderci – erano utilizzati per costruire le vie di lizza, cioè percorsi utilizzati in passato per far scendere il blocco di marmo dalla cava a valle, ed era sistemato in ravaneti. Il ravaneto è un accumulo di pietre sui pendii, in cui vengono gettati i resti non lavorabili dell’estrazione, arginati da muretti di contenimento per evitare lo scivolamento a valle.

Inoltre, la quantità di marmo polverizzato era di gran lunga inferiore rispetto ad oggi,  ed era presente la sabbia silicea necessaria per far funzionare il filo elicoidale.

marmettola marmo
Cava Gioia (Carrara), un lavoratore su un blocco Foto: Marco Buratti www.marcoburatti.com

Dagli anni Settanta si sono modificati i metodi di escavazione, i ravaneti sono stati mantenuti e l’accumulo degli scarti di cava è stato utilizzato anche per la realizzazione di strade per permettere ai camion di raggiungere le zone del monte da scavare a quote più elevate. Insieme agli scarti di lavorazione come le pietre, nel ravaneto ha cominciato ad essere scaricata anche la marmettola.

Cosa ha portato questa nuova cattiva abitudine? La marmettola è una normale reazione meccanica, – spiega ancora Cavazzuti – come quando noi tagliamo il pane e si sbriciola, lì si taglia la roccia e si crea la marmettola. Negli anni Settanta c’era meno attenzione. Molte segherie che lavoravano il marmo si trovavano lungo il fiume perché usavano la forza idrica per far muovere i macchinari e la marmettola vi si riversava. Negli anni ‘70 e ‘80 il fiume Frigido di colore bianco era quasi la normalità. Negli anni ‘90 si fa un grosso investimento su Massa e le aziende di trasformazione vengono spostate nella zona industriale e vengono allontanate dal fiume. Ne rimangono poche e oggi hanno dei vincoli ambientali di smaltimento dell’acqua di lavorazione molto stringenti, dunque le pochissime aziende che sono rimaste lungo il fiume oggi non inquinano più. Rimane però la marmettola derivante dal taglio di escavazione e la situazione si è aggravata rispetto a 30 anni fa perché la tecnologia ha permesso di tagliare più velocemente e in modo più aggressivo”.

Anche le scelte sulle modalità di “coltivazione” influiscono sulla quantità di materiale fine prodotto: una tagliatrice a catena produce un residuo di lavorazione più grossolano rispetto a un filo diamantato, utilizzato per riquadrare i blocchi prima del trasporto a valle. Sarebbe auspicabile che la riquadratura dei blocchi fosse fatta in un’area dedicata, fissa e attrezzata.

In una nota l’ARPAT chiede che tutto il materiale prodotto dall’escavazione e non utilizzato in cava sia allontanato, compresa la polvere.

Non lasciare residui di lavorazione in cava, non effettuare lavori di separazione granulometrica in cava, portare via tutto il materiale fine che non serve per il lavoro in cava, non creare nuovi ravaneti e non alimentare quelli già esistenti, raccogliere e trattare le acque industriali in apposite vasche a tenuta stagna, svolgere manutenzione su strade e piazzali potrebbero essere delle azioni efficaci per evitare la dispersione.

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Marmettola, un rifiuto speciale

Le cave dovrebbero smaltire gli scarti di lavorazione come rifiuti speciali ma spesso li abbandonano nei piazzali, da dove poi la pioggia li trascina nei fiumi fino al mare. La marmettola è invece un rifiuto speciale e come tale dovrebbe essere smaltita: deve essere portata in vasche, decantata, messa in sacchi speciali e presa a carico dalle aziende certificate che si occupano di recuperarla, lavorarla ed eventualmente smaltirla.

La marmettola deve essere purificata da oli, residui di carburante e metalli pesanti. Solitamente con questa polvere è possibile fare tre diverse lavorazioni:

  • Con una lavorazione leggera, può essere impiegata per ridurre e neutralizzare l’acidità di acido solforico prodotto nelle miniere
  • Con una lavorazione media può servire da filtro per le centrali a carbone
  • Con una lavorazione importante, riducendola ad elemento volatile, può servire per gli sbiancanti per la carta

Qualche altra possibilità di riutilizzo esiste nei cementifici, in edilizia, nelle opere civili o nei recuperi ambientali. Nelle discariche la marmettola è spesso impiegata come sigillante per impermeabilizzare il fondo e i fianchi della struttura.

Se è vero che, ad oggi, il business nel marmo lo fanno per lo più gli scarti, si è creata anche un altro tipo di filiera, quella che riguarda lo scarto industriale. A trarne vantaggio sono non solo le aziende che lavorano gli scarti ma anche le aziende produttrici di marmo in quanto lo smaltimento della marmettola gli costerebbe più rispetto alla vendita.

Ad esempio, la marmettola prodotta dall’attività estrattiva Apuo-Versiliese risulta ritirata dalle cave di marmo da un’azienda di Massa, la Cages, che la rivende in gran parte all’impianto di produzione di Biossido di Titanio della Huntsman Tioxide di Scarlino, in provincia di Grosseto, che la utilizza nelle fasi produttive come agente neutralizzante degli effluenti acidi.

Le soluzioni per evitare le dispersioni di marmettola e per reimpiegarla in nuove attività, dunque, ci sarebbero: resta però il colore bianco del fiume a ricordarci come continuiamo a sottovalutare una risorsa così preziosa come l’acqua.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del workshop conclusivo del “Corso di giornalismo d’inchiesta ambientale” organizzato da A Sud, CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ed EconomiaCircolare.com, in collaborazione con IRPI MEDIA, Fandango e Centro di Giornalismo Permanente.

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