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domenica, Maggio 19, 2024

Rifiuti, ONU: effetti disastrosi su ambiente e salute se la crescita non rallenta

Secondo l’ultimo studio dell’UNEP nel 2023 il mondo ha generato 2,3 miliardi di tonnellate di rifiuti urbani, mentre la quantità di rifiuti non raccolti a livello globale potrebbe raggiungere 1,6 miliardi di tonnellate entro il 2050. Cambiare rotta è una sfida, soprattutto per i Paesi a basso reddito

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Due terzi di rifiuti in più entro il 2050: il volume dei rifiuti nel mondo, pari a 2,3 miliardi di tonnellate nel 2023, è destinato a continuare a crescere in modo esponenziale, con un impatto massiccio sulla salute delle persone, sull’ambiente e sull’economia.

A questo ritmo, e in assenza di interventi urgenti, si prevede che i rifiuti urbani (esclusi quelli industriali e di costruzione) raggiungeranno i 3,8 miliardi di tonnellate entro la metà del secolo, superando le previsioni di 3,4 miliardi di tonnellate contenute nel precedente rapporto della Banca Mondiale del 2018.

A mettere in guardia è una nuova ricerca del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), realizzato insieme alla International Solid Waste Association (ISWA) e presentato durante la sesta sessione dell’Assemblea delle Nazioni Unite sull’Ambiente a Nairobi.

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L’insostenibile impatto ambientale dei rifiuti

Le discariche di tutto il mondo sono responsabili del 20% delle emissioni del più potente gas serra, il metano, che viene rilasciato quando i rifiuti organici come gli scarti alimentari si decompongono, mentre il trasporto e il trattamento dei rifiuti generano anidride carbonica che riscalda il pianeta. Combattendo le discariche incontrollate, eliminando l’incenerimento dei rifiuti all’aria aperta – come avviene tuttora in molti Paesi a basso reddito – e utilizzando meglio i prodotti organici che generano metano, le emissioni globali di gas serra potrebbero, invece, secondo i calcoli di UNEP e ISWA, essere ridotte del 15-25%. Si tratta di una leva da non sottovalutare, visti gli ambiziosi obiettivi che la comunità internazionale si è posta in questo campo.

C’è poi l’enorme problema dell’inquinamento. “Le pratiche indiscriminate di smaltimento dei rifiuti possono introdurre sostanze chimiche pericolose nel suolo, nei corpi idrici e nell’aria, causando danni a lungo termine e potenzialmente irreversibili alla flora e alla fauna, incidendo negativamente sulla biodiversità, danneggiando interi ecosistemi ed entrando nella catena alimentare umana”, si legge nel rapporto. “L’inquinamento da rifiuti non conosce confini, quindi è nell’interesse di tutti impegnarsi nella prevenzione dei rifiuti e investire nella gestione dei rifiuti dove questa è carente”, è la conclusione di Zoë Lenkiewicz, autrice principale del rapporto dell’UNEP.

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Conseguenze enormi sulla salute delle persone

Inoltre i rifiuti scaricati a terra rilasciano per lungo tempo nel suolo e nelle falde acquifere agenti patogeni, metalli pesanti e altri interferenti endocrini. La combustione a cielo aperto rilascia inquinanti persistenti nell’atmosfera come i cosiddetti “forever chemicals”, con il potenziale di effetti nocivi significativi sulla salute umana, oltre che sull’ambiente.

Secondo le ricerche citate nel rapporto, al giorno d’oggi tra 400.000 e un milione di persone muoiono ogni anno per malattie collegate a una gestione inappropriata dei rifiuti (diarrea, malaria, malattie cardiovascolari, cancro), a cui vanno aggiunti altri problemi di salute non mortali e il maggior rischio di infertilità.

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Un costo economico troppo alto per tutti

L’onere economico, già oggi calcolato intorno ai 252 miliardi di dollari (dati del 2020), raggiunge circa 361 miliardi di dollari se si tiene conto dei “costi nascosti” legati al cattivo smaltimento dei rifiuti, dovuti all’inquinamento, ai danni alla salute e ai cambiamenti climatici. E il costo sarà almeno raddoppiato, raggiungendo circa 640,3 miliardi di dollari all’anno entro il 2050, se le previsioni di crescita dei rifiuti verranno confermate.

Tra gli indicatori che accompagnano lo sviluppo economico di un Paese, ce n’è uno che troppo spesso viene trascurato: la produzione di rifiuti. La crescita del Pil pro capite è generalmente accompagnata, infatti, da un parallelo aumento del volume dei rifiuti. Questo dovrebbe metterci in guardia sulle quantità che dovranno essere trattate nei prossimi anni a livello globale e nei Paesi destinati a crescere economicamente, se non si interviene per ridurre la loro produzione e per riciclarli.

“La produzione di rifiuti è intrinsecamente legata al Pil e molte economie in rapida crescita stanno lottando contro il peso della parallela crescita dei rifiuti”, mette in guardian Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’UNEP.

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Il rischio maggiore è nei Paesi a basso reddito

Le proiezioni indicano, infatti, che il maggior tasso di crescita di rifiuti urbani si registrerà nei Paesi a basso reddito dove è basso anche il tasso di raccolta, meno della metà dei rifiuti viene raccolta in maniera organizzata e ci si affida alla combustione dei rifiuti e alle discariche a cielo aperto. Oltre un terzo della popolazione mondiale, circa 2,7 miliardi di persone, soprattutto nel Sud del mondo e nei Paesi in via di sviluppo, non ha accesso ai servizi di raccolta dei rifiuti. Di questi, 2 miliardi vivono in aree rurali, mentre 700.000 si trovano in aree urbane.

Circa 540 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani, pari al 27% del totale globale, non vengono raccolti. L’Africa subsahariana (36%) e l’Asia centrale e meridionale (37%) hanno tassi di raccolta particolarmente bassi. E questa è la drammatica situazione attuale. La quantità di rifiuti non raccolti, però, potrebbe aumentare passando da 800 milioni di tonnellate nel 2020 a quasi 1,6 miliardi di tonnellate nel 2050, se non verranno adottate misure correttive. Secondo le Nazioni Unite, occorre prestare particolare attenzione ai Paesi la cui popolazione è destinata ad aumentare esponenzialmente: Congo, Egitto, Etiopia, India, Nigeria, Pakistan e Filippine. Questi Paesi rappresenteranno oltre il 50% dell’aumento totale della popolazione mondiale da qui al 2050.

Per prevedere una migliore raccolta dei rifiuti in questi Paesi, è importante tenere presente che la composizione dei rifiuti varia a seconda del livello di sviluppo economico. In Nord America e in Europa occidentale, gran parte dei rifiuti proviene da imballaggi, cartone e plastica, mentre nei Paesi in via di sviluppo questa percentuale è minima. Con la crescita delle aree urbane e il relativo trasporto di merci, possiamo aspettarci che questo tipo di rifiuti aumenti nei Paesi a basso reddito, e dobbiamo essere pronti a riciclare molto di più di quanto avviene attualmente.

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Le opportunità di una società a rifiuti zero

“I risultati di questo rapporto dimostrano che il mondo ha urgente bisogno di passare a un approccio a zero rifiuti, migliorando al contempo la gestione dei rifiuti per prevenire l’inquinamento, le emissioni di gas serra e gli impatti negativi sulla salute umana”, è l’appello di Zoe Lenkiewicz. Queste soluzioni includono la prevenzione della produzione di rifiuti, nonché metodi di smaltimento e trattamento migliori, che potrebbero limitare, secondo il rapporto, i costi netti annuali entro il 2050 a circa 270 miliardi di dollari.

Ma è possibile fare ancora meglio, passando a un modello economico più circolare in cui l’aumento della prosperità non è automaticamente legato all’aumento dei rifiuti. Secondo il rapporto, questo potrebbe comportare un guadagno economico netto di oltre 100 miliardi di dollari all’anno tra minore consumo di energia, riutilizzo dei prodotti, creazione di milioni di posti di lavoro legati alla circolarità, come previsto dalla International Labour Organization (ILO). Oltre naturalmente un clima più vivibile ed ecosistemi più sani.

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Gli ostacoli allo scenario di economia circolare

Nonostante gli ampi studi sul concetto di economia circolare, l’attuazione dei modelli di economia circolare è limitata. Il settore privato ha un ruolo fondamentale nel migliorare la circolarità, riducendo il consumo di materiali vergini nei processi produttivi. Tuttavia gran parte dell’attenzione del settore privato rimane concentrata sui miglioramenti a valle (gestione dei rifiuti) piuttosto che sulle iniziative a monte (evitare i rifiuti).

Per realizzare lo scenario dell’economia circolare (riportando la produzione di rifiuti ai livelli del 2020), regioni come il Nord America, l’Australia e la Nuova Zelanda e la maggior parte dell’Europa dovranno ridurre drasticamente i consumi ad alta intensità di risorse e la produzione di rifiuti. In altre regioni in cui si prevede un aumento della crescita economica, dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione, il mantenimento degli attuali livelli di produzione di rifiuti richiederà anche misure significative di prevenzione dei rifiuti.

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Lo scenario dell’economia circolare richiederà che la crescita economica sia completamente disaccoppiata dall’utilizzo delle risorse, con politiche governative e azioni dei produttori pienamente allineate. Gli investimenti nel riciclo dovranno essere ancora più significativi, con un aumento di tre volte della capacità globale di riciclo, da circa 400 milioni di tonnellate nel 2020 a oltre 1,2 miliardi di tonnellate nel 2050. C’è però un grosso ostacolo, avvertono gli autori del report: la mancanza di urgenza da parte dei leader politici mondiali. “Le soluzioni sono disponibili e pronte per essere incrementate. Ciò che serve ora è una leadership forte che stabilisca la direzione e il ritmo necessari, e che garantisca che nessuno venga lasciato indietro”, concludono gli autori e le autrici dello studio UNEP.

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