Il 16 marzo il ministero della Transizione ecologica ha pubblicato la proposta di Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (PNGR) avviando così, come prevede la procedura di VAS (valutazione ambientale strategica), la consultazione pubblica.
Aperta al pubblico e della durata di 45 giorni a partire dalla pubblicazione del documento, grazie alla consultazione pubblica si potranno “presentare proprie osservazioni in forma scritta, anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e valutativi”.
Conclusa la consultazione, il Mite e Ispra avranno 45 giorni per “acquisisce e valuta tutta la documentazione presentata, nonché le osservazioni, obiezioni e suggerimenti inoltrati ed esprime il proprio parere motivato”.
Cos’è il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (PNGR) e a cosa serve
Introdotto dal decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116, il PNGR è lo “strumento strategico di indirizzo per le Regioni e le Province autonome nella pianificazione della gestione dei rifiuti”. Insomma è la cornice entro la quale le Regioni si dovranno muovere nella redazione dei loro piani.
Il PNGR costituisce una delle riforme strutturali per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e aspira a garantire ”da un lato, la rispondenza dei criteri di pianificazione agli obiettivi della normativa comunitaria […] dall’altro l’efficienza, efficacia, sostenibilità ed economicità dei sistemi di gestione dei rifiuti in tutto il territorio nazionale”. Ovviamente quando si parla di normativa comunitaria in materia di rifiuti i pilastri sono la gerarchia europea, gli obiettivi di riciclo e la riduzione dei conferimenti in discarica sotto il 10% entro il 2035.
Proprio per la sua funzione di cornice, il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti non indica interventi o progetti puntuali, che competono invece ai Piani regionali. Esso invece “fissa i macro-obiettivi, definisce i criteri e le linee strategiche a cui le Regioni e le Province autonome dovranno attenersi nella elaborazione dei Piani di gestione dei rifiuti […], offrendo, contestualmente, una ricognizione nazionale dell’impiantistica, suddivisa per tipologia di impianti e per regione, al fine di fornire, in primis, indirizzi atti a colmare i gap impiantistici presenti nel territorio”.
Abbiamo già sommariamente individuato gli obiettivi del PNGR: efficienza, efficacia, sostenibilità ed economicità della gestione dei rifiuti, da ottenere in primis colmando i gap impiantistici.
Entro 18 mesi dalla pubblicazione del Programma nazionale per la gestione dei rifiuti, le Regioni e le province autonome sono tenute a pubblicare o aggiornare i propri piani “a meno che gli stessi non siano già conformi” alle linee di indirizzo del PNGR.
Questo documento strategico ha un orizzonte temporale di sei anni (2022-2028) e, insieme al Programma nazionale di Prevenzione dei rifiuti (il primo Programma di prevenzione dei rifiuti, adottato nel 2013, è in corso di aggiornamento e revisione da parte del MiTE) si pone come uno dei pilastri strategici e attuativi della Strategia Nazionale per l’Economia Circolare (sulla quale si è svolta una consultazione pubblica e che dovrebbe essere pubblicata nella versione definitiva entro il prossimo 30 aprile).
Quali sono gli obiettivi del Programma nazionale per la gestione dei rifiuti
La priorità del PNGR, come abbiamo scritto, è il superamento del gap impiantistico per raggiungere su tutto il territorio nazionale efficienza, efficacia, sostenibilità ed economicità della gestione dei rifiuti. Per farlo il Programma pone 4 OBIETTIVI GENERALI:
I. Contribuire alla sostenibilità nell’uso delle risorse e ridurre i potenziali impatti ambientali negativi del ciclo dei rifiuti;
II. Progressivo riequilibrio dei divari socio-economici, per quanto riguarda la gestione dei rifiuti;
III. Rafforzare la consapevolezza e i comportamenti virtuosi degli attori economici e dei cittadini per la riduzione e la valorizzazione dei rifiuti;
IV. Promuovere una gestione del ciclo dei rifiuti che contribuisca al raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica.
Subordinati agli obiettivi generali, il PNGR indica 4 MACRO OBIETTIVI:
- ridurre il divario di pianificazione e di dotazione impiantistica tra le diverse regioni, perseguendo il progressivo riequilibrio socio-economico e la razionalizzazione del sistema impiantistico e infrastrutturale secondo criteri di sostenibilità, efficienza, efficacia, ed economicità per corrispondere ai principi di autosufficienza e prossimità;
- garantire il raggiungimento degli obiettivi di prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti e di riduzione dello smaltimento, tenendo conto anche dei regimi di responsabilità estesa del produttore (EPR) per i rifiuti prodotti;
- razionalizzare e ottimizzare il sistema impiantistico e infrastrutturale attraverso una pianificazione regionale basata sulla completa tracciabilità dei rifiuti e la individuazione di percorsi che portino nel breve termine a colmare il gap impiantistico;
- promuovere una gestione del ciclo dei rifiuti che contribuisca in modo sostanziale al raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica.
Il Programma deduce poi alcune MACRO AZIONI necessarie al raggiungimento degli obiettivi:
- Promozione dell’adozione dell’approccio basato sulla analisi dei flussi come base per l’applicazione del LCA (valutazione del ciclo di vita);
- Individuare e colmare i gap gestionali e impiantistici;
- Verificare che la pianificazione delle Regioni sia conforme agli indirizzi e ai metodi del PNRG;
- Promuovere la comunicazione e la conoscenza ambientale in tema di rifiuti ed economia circolare;
- Promuovere l’attuazione delle componenti rilevanti del PNRR e di altre politiche incentivanti;
- Minimizzare il ricorso alla pianificazione per macroaree;
- Assicurare un adeguato monitoraggio dell’attuazione del PNRG e dei suoi impatti.
Provando a sintetizzare, possiamo indentificare alcuni concetti guida:
- gerarchia europea dei rifiuti;
- analisi dei flussi e tracciabilità;
- principio di autosufficienza e prossimità;
- riduzione del gap impiantistico;
- neutralità climatica.
Leggi anche: Il primo Programma nazionale per la gestione dei rifiuti è previsto per giugno: cosa ne sappiamo?
Macroaree o Regioni?
Una delle questioni più calde è legata a due principi che si muovono su direttrici opposte.
Il primo, da una parte, è il principio di autosufficienza e prossimità nella gestione dei rifiuti urbani (articolo 182-bis del d.lgs. n. 152 del 2006). Principio che individua nelle Regioni gli ambiti in cui garantire il trattamento dei rifiuti.
Il secondo, dall’altra, è quello della sostenibilità economica e delle economie di scala. Mentre la ratio che guida la gestione dei rifiuti è, appunto, quella dell’autosufficienza e della riduzione delle tratte che i rifiuti stessi devono compiere per essere trattati, questa ratio deve scendere a compromessi col fatto che alcune tipologie di impianti, per essere sostenibili dal punto di vista economico, hanno bisogno di quantità di scarti che la prossimità a volte non garantisce. Nasce per questo l’idea delle macroaree.
La scelta tra questi due principi è essenziale per definire il fabbisogno impiantistico.
Come se la cava allora il PNGR? Prevedendo regole diverse per i diversi tipi di rifiuti.
Nel rispetto del citato articolo 182-bis, secondo il PNGR, “ogni Regione deve quindi garantire la piena autonomia per la gestione dei rifiuti urbani non differenziati e per la frazione di rifiuti derivanti da trattamento dei rifiuti urbani destinati a smaltimento”. Unica eccezione per questi, con la possibilità di stabilire accordi al di là dei confini regionali (macroarea), la termovalorizzazione. Devono essere gestiti all’interno del territorio regionale anche i rifiuti organici.
Ad esclusione delle citate tipologie di rifiuti, “l’autonomia gestionale può essere garantita, in alcuni casi, anche su un territorio più ampio, da individuare come macroarea, previo accordo tra le Regioni interessate […] sulla base di opportune valutazioni di sostenibilità economica, ambientale e sociale”.
L’individuazione delle macroaree deve derivare, leggiamo nel Programma, dall’analisi incrociata della produzione di rifiuti con la specifica disponibilità impiantistica.
Le macroaree dovranno essere caratterizzate da:
- prossimità intesa come contiguità territoriale;
- infrastrutturazione e organizzazione logistica tale da minimizzare gli impatti relativi al trasporto dei rifiuti;
- benefici o economie di scala nella gestione dei flussi di rifiuti prodotti;
- un bacino di produzione di rifiuti tale da giustificare la realizzazione di una rete integrata di impianti;
- una rete integrata di impianti, distribuita all’interno del territorio della macroarea in modo da evitare che l’ubicazione degli impianti ricada solo su alcuni ambiti specifici, che consenta di gestire tutte le fasi del ciclo fino alla chiusura;
- contributo quantificabile alla decarbonizzazione in termini di riduzione della CO2;
- una dotazione di impianti di trattamento che consenta di contribuire in modo sostanziale al raggiungimento degli obiettivi comunitari per tutti i flussi interessati.
Leggi anche: Le proposte di Ref ricerche sulla Strategia per l’economia circolare
Deficit impiantistico
Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani, gli impianti in Italia sono 673. La loro distribuzione geografica “non risulta omogenea tra le Regioni italiane in termini di numerosità, capacità autorizzata25 e scelte tecnologiche”. Circa il 65% della capacità di trattamento autorizzata per gli impianti di recupero della frazione organica biodegradabile, ad esempio, è al Nord. Anche il 70% degli inceneritori è localizzato nelle regioni settentrionali. Per questo, “quote considerevoli di rifiuti prodotte nelle aree del Centro e nel Mezzogiorno vengono trattate in impianti localizzati in altre aree”.
Caso a sé la Sicilia, dovei rifiuti urbani smaltiti in discarica rappresentano ancora il 58% del totale.
Laddove invece esiste un ciclo integrato dei rifiuti grazie ad un parco impiantistico sviluppato, viene ridotto significativamente l’utilizzo della discarica: “In particolare, in Lombardia lo smaltimento in discarica è ridotto al 4% dei rifiuti prodotti, in Friuli-Venezia Giulia all’8%, in Trentino-Alto Adige all’11% ed in Veneto al 14%. Nelle stesse regioni la raccolta differenziata è pari rispettivamente al 72%, 67,2%, 73,1% e 74,7% e consistenti quote di rifiuti vengono trattate in impianti di incenerimento con recupero di energia”.
Anche il Lazio e la Campania, leggiamo nel PNGR, non riescono a chiudere il ciclo all’interno del territorio regionale.
Venendo ai rifiuti speciali, gli impianti di gestione operativi sono 10.839. Anche in questo caso, la grandissima maggioranza (6.152) sono situati al Nord (dove risiede però la maggioranza delle attività produttive), 1.980 al Centro e 2.707 al Sud.
I target per colmare il divario impiantistico
Il PNRG indica target volti a colmare i divari impiantistici, target collegati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e agli obiettivi europei ai quali i Piani regionali dovranno contribuire:
- entro il 31 dicembre 2023 la differenza tra la media nazionale e la regione con i peggiori risultati nella raccolta differenziata si riduce a 20 punti percentuali, considerando una base di partenza del 22,8%;
- entro il 31 dicembre 2024 la variazione tra la media della raccolta differenziata delle tre Regioni più virtuose e la medesima media delle tre Regioni meno virtuose si riduca del 20%;
- entro il 31 dicembre 2023 si raggiunga una riduzione delle discariche irregolari in procedura di infrazione NIF 2003/2007 da 33 a 7;
- entro il 31 dicembre 2023 si raggiunga una riduzione delle discariche irregolari in procedura di infrazione NIF 2011/2215 da 34 a 14.
Anche per raggiungere una riduzione del conferimento in discarica sotto al 10% entro i 2035, il PNGR stabilisce che nei Piani regionali dovranno essere contenuti target intermedi (quarto trimestre 2023, 2024, 2026 e 2028).
Leggi anche: La tracciabilità dei rifiuti, paradigma di efficienza, trasparenza e responsabilità
Flussi strategici di rifiuti
Durante il processo che ha portato alla stesura del Piano nazionale per la gestione dei rifiuti, sono stati individuati, sulla base delle priorità indicate dalle Regioni, i seguenti flussi strategici sui quali la programmazione regionale dovrà concentrarsi:
1. rifiuti urbani indifferenziati
2. rifiuti provenienti dal trattamento dei rifiuti urbani
3. scarti derivanti dai trattamenti delle frazioni secche da raccolta differenziato e del trattamento delle frazioni organiche
4. rifiuti organici
5. rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE)
6. rifiuti inerti da costruzione e demolizione
7. rifiuti tessili
8. rifiuti in plastica
9. rifiuti contenenti amianto
10. veicoli fuori uso
11. rifiuti sanitari a rischio infettivo
Per tutte queste tipologie di rifiuti il Programma indica due necessità sringenti: incrementare quantità e qualità della raccolta; definire il relativo fabbisogno impiantistico.
Occupiamoci delle singole frazioni.
Per quanto riguarda gli urbani indifferenziati, oltre a rilevare che vanno tenuti in considerazione anche gli scarti provenienti dal trattamento dei rifiuti urbani, viene sottolineato come “in alcune aree del Paese il sistema impiantistico è insufficiente a garantire la gestione ottimizzata dei rifiuti indifferenziati mediante recupero energetico e fornire un’alternativa allo smaltimento in discarica”. Nella definizione del fabbisogno impiantistico, quindi, il PNGR indica di dare preferenza “alle scelte tecnologico impiantistiche volte al recupero energetico diretto senza attività di pretrattamento, affinché si massimizzi la valorizzazione energetica del rifiuto”
Stesso ragionamento sul recupero energetico viene fatto per gli scarti di trattamento.
Per quanto riguarda l’organico dalla raccolta differenziata, si caldeggia la realizzazione di impianti di digestione anaerobica integrati con valorizzazione della produzione di biometano.
Relativamente ai RAEE, si incoraggiano misure che possano promuovere ulteriormente raccolta e il riciclo. come: promuovere la raccolta dei RAEE ad esempio da parte del sistema della distribuzione con modalità ritiro “uno contro uno” e “uno contro zero”; incentivare le pratiche di preparazione per il riutilizzo favorendo lo sviluppo di appositi centri; potenziare la capacità di intercettazione dei RAEE tramite lo sviluppo di piattaforme di conferimento e isole ecologiche; sensibilizzare i cittadini; sviluppare una rete impiantistica, “possibilmente a tecnologia complessa, per il trattamento ad alta efficienza dei RAEE per il recupero materie prime critiche”.
Rifiuti da costruzione e demolizioni (C&D). Stando all’ultimo monitoraggio effettuato dall’ISPRA l’Italia ha raggiunto un tasso di recupero, nel 2019, pari al 78,1%, al di sopra quindi dell’obiettivo europeo del 70%. Tuttavia questi rifiuti “sono generalmente recuperati per essere utilizzati in rilevati e sottofondi stradali mentre sono sicuramente meno praticati utilizzi più nobili”. Ecco allora che, anche alla luce dell’aumento di questo flusso per via degli incentivi per le ristrutturazioni, è necessario, sottolinea il PNGR, che il recupero di questi rifiuti venga indirizzato verso operazioni più virtuose. Per farlo viene indicata la necessità di implementare misure di demolizione selettiva; realizzare centri per la preparazione per il riutilizzo; incentivare lo sviluppo della filiera per l’utilizzo dei sottoprodotti e materie prime seconde.
Quanto ai rifiuti tessili, oltre a rafforzare la realizzazione di centri di preparazione per il riutilizzo, si caldeggiano, con l’obiettivo di migliorare la raccolta, sistemi maggiormente selettivi (ad esempio raccolta dedicata dei tessili separata dagli accessori, dalle calzature e dal pellame).
Sulla plastica, visto che oggi le opzioni di riciclaggio del plasmix sono limitate, si spinge verso il riciclo chimico.
Veicoli fuori uso: ci sono carenze strutturali “sia in termini di diffusione delle tecnologie di frantumazione e post frantumazione che di recupero energetico dei residui non recuperabili (fluff)”, che hanno pregiudicato il raggiungimento degli obiettivi europei. Per questo, leggiamo, “è necessario incrementare il riciclaggio e/o garantire una quota di recupero energetico fino al 10%”.
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