Nuovi investimenti, rivoluzioni nei mercati, road map, alleanze: il mercato dell’auto è in transizione e sperimenta assaggi di economia circolare. La riduzione degli impatti ambientali è infatti uno degli obiettivi da perseguire per rilanciare un settore fortemente penalizzato dalla pandemia. Elettriche e ibride di nuova generazione stanno vivendo non a caso un vero e proprio boom, in Italia anche grazie agli ecoincentivi “rinforzati”. Ma la nuova frontiera della mobilità personale su quattroruote è anche la condivisione, il passaggio dalla proprietà al prodotto venduto come servizio, e poi la disassemblabilità e la riciclabilità dei veicoli.
Il boom delle elettriche e il punto di non ritorno
Secondo il Guardian i veicoli elettrici sono vicini al “punto di non ritorno” della rapida adozione di massa. Nonostante il Covid-19 – o forse grazie proprio alla pandemia – e contestualmente all’entrata in vigore dei nuovi standard europei sulle emissioni di CO2 per le auto, la crescita dei veicoli elettrici ha superato le attese. In Italia le elettriche e ibride di nuova generazione immatricolate a dicembre 2019 erano 850, mentre a dicembre 2020 sono state immatricolate 7.155 vetture a basse e zero emissioni, con un incremento del 753,5%.
Anche il crollo del costo delle batterie ha contribuito al boom delle vendite nel 2020 (+43% a livello globale) e, stando a un’analisi di PricewaterhouseCoopers (PwC, un network internazionale di consulenza d’impresa) sui mercati di Francia, Italia, Germania e Spagna, nel primo semestre del 2020 non solo le elettriche e le ibride non hanno subito flessioni di vendite, ma rispetto al -41% registrato sul totale, le elettriche sono cresciute del 101%. Tra il 2023 e il 2025 ci sarà la svolta. “Il prezzo delle auto elettriche scenderà al di sotto di quello dei modelli equivalenti a benzina e diesel, anche senza sussidi pubblici”, afferma il giornale inglese.
Ottime notizie dunque, perché i trasporti sono una delle principali fonti di emissioni di carbonio e le auto elettriche, dando per scontato il contributo crescente delle rinnovabili alla generazione elettrica, sono fondamentali negli sforzi per combattere la crisi climatica. Ma sarà la transizione verso l’economia circolare a modificare definitivamente l’impatto ambientale del settore automotive, garantendo il raggiungimento degli obiettivi climatici. E cambiando per sempre il modo in cui vengono prodotte le auto.
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Minimizzare gli sprechi
Per le dimensioni raggiunte, l’automotive non può prescindere dall’utilizzo di esorbitanti quantità di materie prime – sotto forma di componenti destinate a finire schiacciate dallo sfasciacarrozze dopo essere state, nel migliore dei casi, disassemblate – e fonti di energia fondamentali per tutte le fasi del ciclo produttivo e non solo.
Ecco perché l’economia circolare è diventata una sfida di primaria importanza per il comparto.
Basti pensare che un’auto giace inutilizzata per il 92% del suo ciclo di vita. Molti dei componenti di un veicolo a fine vita si potrebbero recuperare e inserire in un nuovo ciclo produttivo. La differenza qualitativa tra un prodotto ottenuto con materie prime seconde e uno assemblato con materie prime vergini sarebbe impercettibile.
In base a una direttiva europea del 2000 (direttiva Europea 2000/53/CE) – recepita tre anni dopo nel nostro Paese – tutti i costruttori devono già oggi realizzare veicoli composti per almeno il 95% del peso della vettura da materiali recuperabili. Nello specifico, l’85% attraverso il riuso dei componenti e il 10% tramite recupero energetico.
La strada è tracciata: abbracciare un differente modello economico, modificando la natura delle materie prime utilizzate e riciclando tutto ciò che si può. Eliminando gli sprechi lungo l’intera catena del valore, comprese le fasi di produzione e utilizzo. È questo che si intende quando parliamo di economia circolare applicata al settore automobilistico.
Ovviamente, un altro aspetto che va considerato è quello relativo alla tipologia di risorse energetiche impiegate, puntando come detto su fonti di energia rinnovabili, che consentano di dismettere definitivamente i combustibili fossili, inquinanti e prossimi all’esaurimento.
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Come modificare i propri modelli di business
L’ultimo report Accenture, dal titolo “Redefining competitiveness through the circular economy”, parla chiaro: il principio dell’economia circolare nel settore automotive prevede di innovare i propri modelli di business e tagliare i costi su materiali e risorse, promuovendo la life-extension delle componenti, l’allungamento della loro vita insomma.
Realizzare qualcosa di nuovo con componenti a fine vita è una sfida importante. Per l’industria automobilistica, significa ottenere una trasformazione analoga alla leggendaria catena di montaggio di Henry Ford. Parliamo di numeri enormi: 10 milioni di tonnellate annue solo in Europa dei cosiddetti “vfu”, i rifiuti provenienti dai “veicoli fuori uso”.
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Un perfetto esempio di questa logica è rappresentato dagli pneumatici. Sin dalle sue origini questo componente è stato pensato con caratteristiche che permettono lo smontaggio e il riutilizzo delle sue strutture portanti. Secondo l’Osservatorio sulla Mobilità sostenibile di Airp (Associazione Italiani Ricostruttori Pneumatici) l’economia circolare consentirà di ridurre drasticamente la produzione di PFU (Pneumatici Fuori Uso).
Per estendere questa filosofia a tutti gli aspetti della produzione automobilistica è necessaria un’attenta progettazione di tutte le componenti, per arrivare a un prodotto che possa durare nel tempo ed essere reinserito nel processo produttivo, riducendo significativamente gli sprechi.
La transizione dalla “economia lineare” significa dunque cambiamenti a livello di sistema, compresa la decarbonizzazione della produzione. Significa progettare veicoli pensando a ridurre i rifiuti, al riutilizzo delle materie prime coinvolte in tutte le fasi del processo produttivo, alla smontabilità e riparabilità e al riciclo. E significa anche minimizzare lo spreco di materia e passare dall’auto di proprietà al prodotto come servizio.
Parola d’ordine: riutilizzo e condivisione
Peter Lacy, Managing Director di Accenture per la Strategia sulla sostenibilità ha provato a elencare gli elementi fondamentali per rendere circolare il proprio modello di business per quasi tutti i settori, compreso quello automobilistico.
Prima regola: i venditori di prodotti dovrebbero iniziare a vedersi come fornitori di servizi. Non più cessione della proprietà di un oggetto, ma noleggio, leasing, affitto. Come visto, un’auto giace per oltre il 90% del suo tempo vita inutilizzata. Un mezzo in car sharing invece è attivo per oltre il 40% del suo tempo.
Economia circolare significa quindi passare dall’auto di proprietà al prodotto come servizio. Secondo il manager Paolo Lugiato, esperto di mercati energetici, “nelle grandi città l’automazione e i costi ridotti delle auto elettriche aumenteranno sempre di più la diffusione del car-sharing. Saranno le stesse case automobilistiche a offrire servizi di car sharing”. Questo comporterà la lenta fine dell’auto di proprietà. In futuro, una quota significativa di auto private potrebbe essere trasformata in taxi autonomi e i proprietari potrebbero noleggiare i loro veicoli quando non sono in uso.
Infine, Lacy consiglia di trasformare il proprio business attraverso il consumo collaborativo. In campo automotive, stiamo parlando di ciò che fa la nota app di car pooling BlaBlaCar, che prevede l’uso condiviso di automobili private tra un gruppo di persone, riducendo i costi di spostamento ma anche il numero di auto in circolazione e, dunque, l’impatto ambientale.
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Allungare le vita dei prodotti
In secondo luogo, come estendere la vita dei prodotti? Un’azienda deve poter recuperare e ricondizionare in modo efficiente i suoi prodotti dopo l’uso e quindi reimmetterli sul mercato per una seconda vita. In questo senso, Tata Motor è un esempio virtuoso. Si pone al di là dei semplici concessionari di auto usate: le vetture vengono raccolte e ristrutturate nelle officine Tata, quindi sottoposte a un processo di certificazione.
Non tutti i prodotti però possono essere ricondizionati nella loro interezza, ma di certo si possono “trasformare”. La maggior parte infatti ha dei componenti con un valore elevato che, con le giuste capacità di progettazione e rigenerazione, si possono mettere insieme per formare nuovi prodotti. Per Bmw, ad esempio, ciò può significare un risparmio del 50% sui costi per i clienti che acquistano pezzi rigenerati rispetto a quelli nuovi. Il cliente ottiene esattamente le qualità di una nuova parte BMW soggetta alla stessa garanzia di 24 mesi.
Quarto punto: il remanufacturing. Vuol dire smontare un prodotto o un componente già utilizzato, rigenerarlo, rimetterlo a nuovo e riportarlo sul mercato, facendo crescere il vantaggio per tutti. Il produttore, che guadagna di più rispetto alla fabbricazione ex novo, il consumatore finale, che spende meno, l’occupazione e l’ambiente. L’European Remanufacturing Network ha calcolato i benefici ambientali in riferimento al settore dell’auto, arrivando a stimare un risparmio dell’88% sui materiali, del 56% sul fabbisogno energetico e del 53% sull’immissione di CO2.
Cosa fanno i leader del settore
La Sifà – Società italiana flotte aziendali – ha recentemente lanciato un progetto chiamato Circular mobility, diventata oggi anche una piattaforma web. L’idea è quella di mettere a sistema i protagonisti della filiera dell’auto per costruire una mobilità sempre più virtuosa e attenta alla salvaguardia delle risorse ambientali.
“Bisognerà sviluppare un ecosistema collaborativo – spiega l’ad dell’azienda di noleggio a lungo termine, Paolo Ghinolfi – in cui aziende leader del settore pubblico e privato e startup innovative lavorino fianco a fianco”. Nelle intenzioni di Sifà, gli interlocutori da coinvolgere lungo la catena del valore dell’automotive sono molteplici. Anzitutto le case automobilistiche, i fornitori di materiali e i noleggiatori, ma anche i gestori delle flotte e delle piattaforme di dati. Infine chi si occupa di riutilizzo.
Del resto, qualcosa si sta muovendo, se si pensa che oltre 60 case automobilistiche, insieme a fornitori, istituti di ricerca, ONG e organizzazioni internazionali si sono già riunite per rendere questo cambiamento reale, in quella che hanno definito Circular Cars Initiative (Cci).
Una road map
La Cci, in collaborazione con il World Economic Forum, il World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), McKinsey & Co. e Accenture Strategy, ha sviluppato tre rapporti quadro per aiutare l’industria e le autorità di regolamentazione a comprendere e a muoversi meglio in questo nuovo futuro sostenibile.
Il primo rapporto, intitolato “The Road Ahead: A policy research agenda for automotive circularity”, si interroga su come gli attuali quadri normativi possano supportare un’elevata circolarità. Il rapporto lancia un appello per un’elettrificazione dei veicoli più rapida, l’adozione di tecnologie a basse emissioni di carbonio, sussidi per la gestione della fine del ciclo di vita e incentivi per sostenere la trasformazione del settore.
Il secondo rapporto, “Raising Ambitions: A new roadmap for the circular automotive economy”, è guidato da Accenture Strategy e propone un quadro completo per aumentare l’efficienza dei materiali e consentire il riciclaggio di alta qualità e l’uso di batterie di seconda vita.
La roadmap finale pubblicata a metà gennaio 2021, “Forging Ahead: A materials roadmap for the zero-carbon car”, è invece un rapporto dettagliato dei costi e degli investimenti tecnologici necessari per decarbonizzare i materiali automobilistici. Aiuterà a produrre materiali a basse emissioni di carbonio e forgerà le partnership necessarie per lanciarli su larga scala.
Questi documenti gettano le basi per quella che potrebbe essere definita un’agenda da “industria verde”. I leader del settore stanno già investendo in un simile futuro, innovando le linee di produzioni e stringendo partnership strategiche.
Secondo una ricerca di Accenture, seguendo questo modello di sviluppo, l’economia globale può mantenere gli attuali standard di vita e offrire mezzi di mobilità per servire il previsto raddoppio della domanda globale di passeggeri entro il 2050. Può anche ridurre il relativo consumo di risorse naturali fino all’80% e le emissioni di carbonio per passeggero del 75%.
La strada da fare
Ma ci sono anche importanti vantaggi economici: le case automobilistiche che investono nell’innovazione circolare infatti, possono ridurre i costi e la complessità del processo di produzione e ottenere sempre più rendimenti finanziari.
Secondo il report, le aziende che investiranno in disruptive tecnologies e innovazioni di circular business vedranno un valore aggiunto che va dai 400 ai 600 miliardi entro il 2030. “Le auto uscite da processi di economia circolare – si legge – e messe sul mercato con nuove linee di business (Uber car, regional automated car-sharing, ecc.) potranno avere una profittabilità tre volte più alta delle classiche auto vendute al concessionario”.
Tutti i maggiori brand si sono posti l’obiettivo di raggiungere la neutralità ambientale. Le case automobilistiche stanno costantemente sviluppando le proprie strategie di sostenibilità anche se, come emerge dal report di Capgemini, dal titolo “The Automotive Industry in the Era of Sustainability”, l’industria automobilistica deve incrementare i propri investimenti attuali del 20% per poter raggiungere gli obiettivi definiti a livello internazionale. Insomma, gli esempi virtuosi non mancano, ma c’è ancora strada da fare per essere totalmente parte di un’economia circolare.
Questo è solo l’inizio.
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