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domenica, Ottobre 6, 2024

Giudizio Universale, prosegue la causa climatica contro lo Stato italiano. Sentenza nel 2024?

A decidere sul ricorso promosso da oltre 200 ricorrenti sarà il tribunale civile di Roma. Sono due le richieste principali: accertare l'inazione dello Stato e tagliare di netto le emissioni di gas serra. Mentre in giro per il mondo si diffondono sempre di più le cosiddette "climate litigation"

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Redazione EconomiaCircolare.com

Il Giudizio Universale sta arrivando. No, non è il “solito” messaggio apocalittico ma è il nome della campagna che dal 2021 ha lanciato in Italia la prima causa legale climatica italiana, con l’obiettivo di costringere lo Stato ad agire per fermare la crisi climatica in corso.

Il 13 settembre si è svolta la terza udienza del procedimento, depositato presso il tribunale civile di Roma nel 2021 e promosso da oltre 200 ricorrenti, tra cui 17 minori e 24 associazioni. La richiesta si concentra sul riconoscimento delle responsabilità dello Stato, accusato di “inazione climatica”, e sull’imposizione di target nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra più ambiziosi. In modo da garantire anche la tutela effettiva dei diritti umani per le presenti e le future generazioni, così come sancito dalla recente modifica costituzionale dell’art.9.

Come ha riferito l’avvocato Luca Saltalamacchia, che fa parte del team legale di Giudizio Universale, “il giudice ha concesso alle parti la possibilità di depositare le difese finali. Ciò vuol dire che sia noi che l’avvocatura dello Stato, cioè la controparte, abbiamo 60 giorni di tempo per depositare le memorie e poi ci saranno ulteriori 20 giorni per replicare alle rispettive difese. Dopodiché il giudice potrà studiare le carte ed emettere la sentenza, che presumibilmente arriverà tra dicembre 2023 e febbraio 2024. Il giudice potrà così decidere nel merito, accogliendo o respingendo in toto o in parte il ricorso, oppure potrà chiedere ulteriori chiarimenti”.

Per Lucie Greyl, portavoce della campagna Giudizio Universale e attivista dell’associazione A Sud, “abbiamo vissuto un’estate di siccità e di incendi, di alluvioni ed eventi estremi. L’Italia divisa in due tra nubifragi e fiamme continua a mostrarci gli impatti della crisi climatica: produzioni agricole a rischio, territori alluvionati, persone sfollate; ci sono geografie e comunità che subiscono gli effetti del dissesto idrogeologico e del cambiamento climatico in maniera violenta, rapida, ingiusta. L’Italia è un hotspot climatico – continua Lucie Greyl – un punto caldo che si sta riscaldando più velocemente di altri paesi. E lo Stato ha le sue responsabilità: non ha considerato le evidenze scientifiche, non sta rispettando gli accordi internazionali sul clima e continua a intrecciare rapporti con l’industria del fossile. È evidente ormai che le politiche nazionali non sono in grado di affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico. Anche le misure programmate dall’Italia nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) aggiornato a fine luglio – ammesso che saranno effettivamente realizzate – mirano a conseguire l’obiettivo di una riduzione delle emissioni nel 2030 di appena il 36% rispetto ai livelli del 1990. Mentre le analisi scientifiche che abbiamo usato nell’impianto accusatorio della causa, ci dicono che lo Stato italiano dovrebbe tagliare entro il 2030 i propri livelli emissivi del 92% rispetto ai valori del 1990 per contribuire in modo equo al raggiungimento dell’obiettivo di riscaldamento globale entro 1,5°”.

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Le richieste di Giudizio Universale

In un’estate che non accenna ad allentare la morsa del caldo sull’intero Paese, nella giornata di ieri Roma è stata attraversata da un nutrito gruppo di attiviste e attivisti dell’associazione A Sud, tra le principali promotrici della campagna Giudizio Universale. In giro per i luoghi più noti della capitale è stata portata un’installazione alta tre metri che raffigurava la classica icona della giustizia. Nella versione di A Sud, però, la giustizia era bendata e su un piatto della bilancia pendeva il pianeta mentre dall’altro il modello di consumo e produzione attuale che la sta rendendo sempre più inospitale, simboleggiato dalle ciminiere di un’azienda fossile. Un chiaro messaggio a cambiare il paradigma che ci ha condotto dentro una crisi non ancora irreversibile, a patto però che vengano vere e proprie sistemiche revisioni politiche, industriali e culturali.

Rientrano in questa chiara cornice, dunque, le richieste depositate al tribunale civile di Roma dalle ricorrenti e dai ricorrenti di Giudizio Universale. In particolare si richiede di dichiarare che lo Stato italiano è responsabile di inadempienza nel contrasto all’emergenza climatica; condannare lo Stato a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 92% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.

“Ci auguriamo che il giudice accolga la richiesta di giustizia da parte della società civile, come è stato fatto in tanti altri ordinamenti a partire dal celebre caso Urgenda vs Paesi Bassi, e condanni lo Stato a porre in essere le doverose iniziative necessarie a rimuovere lo stato di pericolo in essere, accogliendo le richieste formulate nell’atto di citazione”, sostiene l’avvocato Luca Saltalamacchia.

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Origini e diffusione delle climate litigation

La causa di A Sud si inserisce nel filone delle climate litigation, un fenomeno in esponenziale crescita negli ultimi anni. A livello globale, la mancanza di politiche climatiche efficaci ha stimolato infatti il ricorso allo strumento giudiziario: i climate right cases o contenziosi climatici costituiscono oggi una componente fondamentale della strategia globale sul clima. Si tratta di un fenomeno relativamente nuovo, che ha spostato parte dell’azione climatica nelle aule dei tribunali, dove i giudici vengono chiamati a pronunciarsi circa l’adeguatezza delle misure in materia di cambiamento climatico adottate a livello statale da attori diversi.

In altre parole il contenzioso sul cambiamento climatico offre alla società civile uno strumento ulteriore di pressione contro le risposte inadeguate di governi e settore privato alla crisi climatica. Nel report “Global Trends in Climate Litigation” pubblicato a giugno 2023 dal Grantham Research Institute e dal Sabin Center si evidenzia un aumento crescente di climate litigations. Il numero totale di contenziosi è passato in soli 5 anni da 884 cause (censite nel 2017 dall’UNEP) a 2.180 (censite nel 2022), ampliando progressivamente la presenza  anche nei paesi del sud del mondo, ove oggi è radicato circa il 17% dei casi.

Se oltre il 50% delle cause sul clima ha infatti esiti giudiziari diretti che possono essere considerati favorevoli all’azione per il clima, tutti i contenzioni climatici hanno un impatto indiretto significativo sul processo decisionale in materia climatica anche al di fuori delle aule di tribunale grazie alle campagne mediatiche che li accompagnano.

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I precedenti in Europa

In Europa l’Affaire du Siècle, o Notre Affaire à Tous e altri contro la Francia, rappresenta un caso emblematico: portato avanti da 4 ONG francesi, è stato sostenuto da più di 2,3 milioni di cittadini che hanno firmato una petizione presentata come documentazione ufficiale in tribunale, per poi concludersi con la condanna dello Stato nell’ottobre 2021.

Pioniera è stata la pronuncia del dicembre 2019 in cui la Corte suprema olandese, dopo un lungo iter giudiziario, ha dato ragione alla fondazione ambientalista Urgenda che nel 2013 aveva avviato un contenzioso in nome proprio e di 886 cittadine e cittadini olandesi contro il governo nazionale per non aver adottato misure climatiche adeguate agli impegni assunti in sede internazionale. Il climate case di Urgenda contro il governo olandese è stato il primo al mondo in cui i cittadini hanno ottenuto una pronuncia che stabiliva per lo Stato l’obbligo legale di prevenire i cambiamenti climatici, aprendo la strada a numerosi altri contenziosi.

Nel 2021, all’interno del caso Duarte Agostinho e altri c. Portogallo e 32 altri Stati, sei giovani portoghesi hanno presentato una denuncia contro 33 Paesi, chiedendo venga riconosciuto che l’insufficiente azione climatica degli Stati UE configura una violazione dei loro diritti umani. La causa è stata presentata direttamente alla Corte europea dei diritti dell’uomo senza aver prima esaurito le vie di ricorso nazionali, sulla base dell’urgente necessità di affrontare la crisi climatica.

Tra le ultime novità spicca la vittoria riportata, dopo anni di processi, dell’agosto 2023 da gruppo di giovani del Montana, negli USA: il giudice ha stabilito che la mancata considerazione dei cambiamenti climatici da parte dello Stato nell’approvazione dei progetti sui combustibili fossili è incostituzionale. È la prima volta che un tribunale americano si pronuncia contro un governo per aver violato un diritto costituzionale basato sul cambiamento climatico. La decisione segna una vittoria importante nella lotta contro il modello energetico fossile che è alla base delle emissioni climalteranti.

“In definitiva – conclude Lucie Greyl  – quello del contenzioso climatico è un nuovo e promettente fronte di mobilitazione del movimento per la giustizia climatica. Dopo le cause vittoriose che in molti paesi hanno contribuito a creare un’opinione pubblica più consapevole e a fare pressione sulle istituzioni ci auguriamo che anche nel nostro paese Giudizio Universale possa raggiungere questo obiettivo”.

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