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venerdì, Novembre 15, 2024

Giornata mondiale del riciclo: numeri e riflessioni per andare oltre la retorica

Vi raccontiamo il riciclo, in particolare quello italiano, con qualche numero, puntando l’attenzione su fatti anche curiosi e forse poco noti. Il nostro modo di celebrare uno degli aspetti cruciali dell’economia circolare

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

La giornata mondiale del riciclo celebrata oggi vede tutti d’accordo. E non c’era dubbio. Ormai l’economia circolare è un po’ come la decarbonizzazione: tutti la vogliono. Almeno a parole. Per celebrare anche noi il riciclo, ma senza retorica, abbiamo scelto qualche numero che, pur semplificando, possa fare un po’ di luce su alcuni aspetti – magari meno sotto i riflettori – di questo mondo.

Cominciamo.

2008  – l’anno della gerarchia dei rifiuti

Nella giornata mondiale del riciclo non si può non ricordare che nel 2008, con la direttiva quadro sui rifiuti (la 2008/98/EC), prende corpo la gerarchia europea dei rifiuti. La cornice nella quale va inquadrato il riciclo. Perché, per essere chiari, secondo la Commissione il riciclo è un bene ma non in assoluto. Il riciclo va cercato solo dopo aver messo in pratica altre strategie. La gerarchia dei rifiuti, infatti, è un ordine di priorità che stabilisce normative e politiche per il trattamento dei rifiuti nell’Unione Europea. Primo gradino della gerarchia è la prevenzione: il rifiuto migliore è quello che non abbiamo prodotto. Poi c’è il riutilizzo. E solo dopo arriva il riciclo (dopo ancora, come sappiamo, c’è il recupero, ad esempio energetico, e poi lo smaltimento in discarica). Quindi, benissimo il riciclo, ma ricordiamoci sempre di questa gerarchia.

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110% – cosa insegna il dato sballato della Finlandia

Non è quello del famoso bonus per l’edilizia. È invece il tasso di riciclo e recupero degli imballaggi (sul totale di quelli immessi al consumo) che la Finlandia dichiarava nel 2019 (dati Eurostat). E nello stesso anno il Belgio ne avrebbe raccolto e recuperato il 99,5%. Cosa ci dicono queste cifre esorbitanti? – frutto, a scanso di equivoci, di evidenti errori di calcolo. Ci dicono che se l’Europa ha ben chiari gli obiettivi di riciclo degli imballaggi e di altri beni (come i Raee), meno chiaro è come “pesare” il riciclato. O almeno così è stato fino a quando la Commissione, forse dopo aver letto quel 110% (e non solo quello), ha deciso di cambiare e precisare il metodo di misurazione. Mentre fino all’anno scorso era in vigore la metodologia di calcolo indicata nella Decisione della Commissione del 22 marzo 2005, per evitare disomogeneità tra i Paesi, nel 2019 viene pubblicata una nuova Decisione di esecuzione (la 2019/665) operativa da quest’anno (per i rifiuti prodotti e riciclati nel 2020). Un testo molto più puntuale che, filiera per filiera, materiale per materiale, indica “il punto di calcolo: il punto di immissione dei materiali dei rifiuti di imballaggio nell’operazione di riciclaggio con la quale i rifiuti sono ritrattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze che non sono rifiuti, o il punto in cui i materiali di rifiuto cessano di essere rifiuti in seguito a un’operazione preparatoria prima di essere ritrattati”. E l’Italia, come EconomiaCircolare.com ha già raccontato, salvo la plastica (sulla quale si sta lavorando) e già in linea con la nuova metodologia. Un sistema di contabilità come quello italiano, ci raccontava Valeria Frittelloni, responsabile per Ispra del Centro nazionale dei rifiuti e dell’economia circolare “fondato su documenti che tracciano i passaggi dei rifiuti, dove il dato ha un’origine amministrativa, non lo ha nessuno”. Perché “nella normativa europea la tracciabilità dei rifiuti è obbligatoria solo per i rifiuti pericolosi, mentre l’Italia adotta il Mud già dal 1994, e quindi è molto avanti nella contabilità”. Inoltre “i nostri dati sono reali, mentre altri Paesi fanno stime: supportate da analisi merceologiche e documentazione, ma sempre stime”. Nella giornata mondiale del riciclo è utile ricordarsene.

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2 – cartiere che riciclano cartoni per bevande

Questo numero ci parla di cartoni per bevande. EconomiaCircolare.com ne ha scritto qualche tempo fa: imballaggi composti per circa il 75% di cartone, 20% di plastica (o bioplastica) e 5% di alluminio, sono molto performanti per la conservazione del contenuto, la leggerezza, la resistenza. Meno performanti, invece, quanto al loro riciclo. Uno studio commissionato da Zero Waste Europe ha messo in luce le diverse criticità. Prima tra tutte: sono pochi gli impianti al mondo in grado di riciclarli efficacemente e in grado di recuperare e valorizzare tutte le tre componenti: 170 in tutto, di cui 20 in Europa e solo 2 (eccoci al numero scelto per questo paragrafo) in Italia. Il brick viene prevalentemente raccolto insieme alla carta e inviato quindi a cartiere che nella stragrande maggioranza dei casi (escluse le sole due citate) non sono attrezzate, perché hanno processi di riciclo – in particolare ammollo e spappolamento – troppo brevi per gestire i materiali accoppiati. E in queste cartiere, ciò che non è carta diventa rifiuto.

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8,6% – indice di circolarità

È questa la cifra con la quale possiamo sintetizzare il Circularity Gap Report redatto da Circle Economy, organizzazione che – come abbiamo raccontato – si occupa di aiutare i diversi stakeholder a potenziare l’economia circolare. Presentata a fine gennaio, l’edizione 2022 ci racconta come l’economia mondiale è circolare solo per (appunto) l’8,6%: tutto il resto dei materiali impiagati per realizzare i beni di cui ci serviamo diventa invece rifiuto. Una situazione che peggiora, secondo Circle Economy: cinque anni fa l’indice di circolarità era al 9,1%.

Anche Eurostat misura il Circular material use rate: “Il tasso di utilizzo di materiale circolare, chiamato anche ‘Tasso di circolarità’ – spiega Eurostat – misura in percentuale la quota di materiale riciclato e reimmesso nell’economia – risparmiando così l’estrazione di materie prime primarie – nell’uso complessivo di materiale”. Il tasso di circolarità è quindi definito come il rapporto tra l’uso di materiali riciclati e l’uso complessivo dei materiali (inclusi, ovviamente, anche i carburanti). Tasso di circolarità che per l’insieme dell’Unione europea valeva nel 2020 il 12,8%. Con eccellenze, se di eccellenze si può parlare per queste cifre, come Olanda (30,9%), Francia (22,2%), Italia (21,6%), ma anche Paesi molto meno performanti come la Romania (che si ferma all’1,3%) o il Portogallo (2,2%).

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87,3% – il riciclo record della carta

L’Italia ha già superato, con 15 anni di anticipo, gli obiettivi di riciclo della carta fissati dall’Europa al 2035: con l’87,3% di riciclo effettivo nel 2020 (dati Unirima, l’Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri), a fronte dell’85% da raggiungere entro il 2035. La carta è un ottimo indicatore anche per le altre frazioni: “L’Italia – riferisce Conai, il consorzio per il riciclo degli imballaggi – ha già raggiunto gli obiettivi di riciclo complessivi che l’Europa impone ai suoi Stati membri entro il 2025. Tra cinque anni, infatti, ogni Paese dovrà riciclare almeno il 65% degli imballaggi: con cinque anni di anticipo, quell’obiettivo è già superato di 8 punti percentuali. Conai parla correttamente di riciclo complessivo di imballaggi. Diversa è la questione per le singole frazioni, con la plastica in particolare più in ritardo.

5,2% – quella frazione estranea che “rovina” il campostaggio

Uno studio, non recentissimo, condotto da CIC (Consorzio italiano compostatori) e Corepla ha misurato, tra le altre cose, la presenza di plastica con compostabile nell’umido della raccolta domestica: nel 2020 erano circa 90.000 tonnellate. La plastica è l’elemento dominante di una serie di materiali non compostabili come vetro, metalli, pannolini, cialde di caffè, che sempre secondo l’indagine CIC-Corepla finiscono insieme all’organico: materiali che rappresentano complessivamente il 5,2% delle quantità raccolte e generano problemi nel trattamento, scarti, costi per lo smaltimento.

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43% – acquisti verdi nella Pubblica amministrazione

Tra le cose da ricordare nella Giornata mondiale del riciclo sicuramente il fatto che le materie prime secondarie, oltre che produrle bisogna anche metterle sul mercato, come sanno bene le imprese della filiera. Siccome parliamo di materiali che fanno bene all’ambiente, sarebbe opportuno, come chiedono in tanti, immaginare forme di incentivo: ad esempio una riduzione dell’Iva sulle materie prima seconde e sui prodotti riciclati come su quelli riutilizzati. Oppure, sostenere il loro impiego in uno dei mercati più rilevanti, quello degli acquisti della Pubblica amministrazione. Oggi la PA è obbligata ad approvvigionarsi tramite appalti verdi (Green Public Procurement – Gpp) con bandi di gara in linea coi Criteri ambientali minimi (Cam). Obbligata ma non sanzionata se non lo fa. E non sempre lo fa. Come spiega l’Osservatorio appalti verdi di Legambiente e Fondazione Ecosistemi, su 180 miliardi di euro in acquisti pubblici che le amministrazioni hanno speso nel 2020, solo il 43% – 77 miliardi di euro – sono stati spesi in Gpp. Certo, ci sono difficoltà oggettive dalla mancanza di formazione del personale dei Comuni alla complessità nella stesura dei bandi alla difficoltà di trovare di imprese con i requisiti previsti dai Cam. Anche questi problemi devono essere affrontati per una effettiva transizione ecologica.

14 – brevetti su riciclo e materie prime seconde

Uno degli indicatori che possiamo utilizzare per misurare il grado di innovazione di un settore è quello del numero dei brevetti registrati inerenti appunto a quel settore. Eurostat pubblica, attingendoli dallo European Patent Office, il numero di brevetti relativi al riciclo e alle materie prime seconde.  “L’attribuzione al riciclo e alle materie prime secondarie è stata effettuata utilizzando i relativi codici nella Cooperative Patent Classification (CPC)”, spiega Eurostat. Che con il termine “brevetti” fa riferimento a famiglie di brevetti, “che includono tutti i documenti relativi a un’invenzione distinta impedendo così il conteggio multiplo”. Non sappiamo, dunque, come sono stati raggruppati i brevetti nella CPC, ma l’Italia in questa classifica non fa un figurone. Su tutale europeo dei brevetti ‘circolari’ (269, contro i 156 statunitensi, i 500 giapponesi, gli 800 sud coreani e i 6467 cinesi) l’Italia ne ha presentati 14 (dati relativi al 2020). E gli altri grandi Paesi europei? La Gran Bretagna 21, la Spagna 29, la Francia 35, la Germania 66. Il dato così basso per il nostro Paese – assumendo che i raggruppamenti siano corretti e riflettano effettivamente lo stato dell’arte – può trovare giustificazione in una riflessione contenuta in una edizione non recentissima della ricerca GreenItaly di Fondazione Symbola e Unioncamere: nel capitolo dedicato alla meccanica, si afferma che i produttori italiani di macchinari per il riciclo sono soprattutto assemblatori di tecnologie che arrivano dall’estero.

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