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lunedì, Dicembre 16, 2024

Cop28 sul clima, i giochi di parole di Meloni e l’urgenza dell’attivismo

Pragmatismo contro ideologia, neutralità tecnologica contro gli “inutili radicalismi”. Gli slogan della presidente Meloni alla Cop28 di Dubai nascondono un’ideologia mercatista e il tentativo di far passare per risultati concreti i ritardi nel contrasto alla crisi climatica

Raffaele Lupoli
Raffaele Lupoli
Direttore responsabile di EconomiaCircolare.com. Giornalista professionista, saggista e formatore, è docente a contratto di Economia delle organizzazioni complesse presso ISIA Roma Design e collabora con il Sole 24 Ore. Ha diretto diverse testate, tra cui il settimanale Left e LaNuovaEcologia.it. Ha lavorato con Legambiente collaborando tra l’altro alla redazione del Rapporto Ecomafie, ha coordinato la redazione del periodico Rifiuti Oggi e il mensile La Nuova Ecologia. Si è occupato di comunicazione politica e nel 2020 è stato consigliere della Ministra dell'Istruzione sui temi della sostenibilità ambientale e dell'innovazione sociale.

Alla vigilia della pausa a metà percorso della Cop28 vi sottoponiamo una riflessione che solo apparentemente, per così dire, “la prende alla lontana”. Cosa fate se in casa vostra c’è una perdita idrica o se esce fumo da una presa?

Potete prendere uno straccio e coprire la perdita o, nel secondo caso, aprire la finestra per far uscire il fumo. Dopo di che riprendete le vostre attività come se nulla fosse accaduto. Oppure potete chiudere subito la chiave d’arresto o staccare la corrente elettrica, per poi capire come riparare il danno.

Quale vi sembra la soluzione più pragmatica?

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La soluzione pragmatica per il Pianeta

Ora cambiamo esempio. Mettiamo che nel 2023 si registri un livello mai raggiunto prima di emissioni globali di anidride carbonica derivanti dall’uso di combustibili fossili (36,8 miliardi di tonnellate di CO2, con un aumento dell’1,1% rispetto allo scorso anno, stando ai dati più recenti). Aggiungiamo che stiamo vivendo il periodo di 12 mesi più caldo da 125mila anni a questa parte (fonte: Climate Central), rendendo l’anno che sta per chiudersi il più caldo mai registrato (secondo il Copernicus Climate Change Service).

Qual è in questo caso la soluzione pragmatica? Un’ipotesi è quella di ricorrere a tecnologie di cattura e stoccaggio di una piccola parte dell’anidride carbonica o magari programmare nel medio-lungo termine una nuova (ma le novità son tutte da verificare) stagione nucleare e intanto continuare a estrarre petrolio e gas. Ma non sarebbe più pragmatico interrompere al più presto la sorgente del danno climatico (vale a dire il ricorso alle fossili e al sovrasfruttamento di risorse naturali), puntando subito su riduzione dei consumi ed efficienza, reti intelligenti e mix energetico rinnovabile con accumulo?

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Gli slogan di Meloni alla Cop28

È stata la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni alla Cop28, la Conferenza sul clima di Dubai, a rivendicare un’azione orientata al pragmatismo, quando ha dichiarato che il nostro Paese “sta facendo la sua parte nel processo di decarbonizzazione, e lo fa in modo pragmatico, cioè con un approccio tecnologicamente neutro, libero da inutili radicalismi”. Poi ha aggiunto una battuta che ormai in certi ambienti è un tormentone: “Ciò che dobbiamo perseguire è una transizione ecologica, e non ideologica”.

Pragmatismo contro ideologia, neutralità tecnologica contro inutili radicalismi. Dinanzi a queste affermazioni, in buona parte sovrapponibili a quelle di altri esponenti di governo in questa e nella passata legislatura (ad esempio l’ex ministro Roberto Cingolani, ora amministratore delegato e direttore generale di Leonardo Spa), proviamo a riflettere sui termini che vengono utilizzati, perché senza un vocabolario condiviso continueranno a prevalere gli slogan e la propaganda prolifera proprio quando il senso delle parole è ambiguo e consente ai leader politici di dire “tutto e il contrario di tutto”.

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La decarbonizzazione italiana è davvero “pragmatica”?

Iniziamo con la parola “pragmatismo”, definita come atteggiamento che tende a privilegiare i risultati concreti. Dobbiamo dunque dedurre che la “decarbonizzazione pragmatica” enunciata da Meloni non necessiti di accelerazioni perché sta portando i risultati attesi. È davvero così?

Stando all’analisi del sistema energetico di Enea sul terzo trimestre dell’anno, nonostante il calo dell’8% di emissioni che si registrerà nel 2023, le tendenze per gli anni a venire ci vedono ancora lontani dall’obiettivo fissato dalla strategia europea “Fit for 55”, ridurre cioè del 55% le emissioni al 2030, ma anche dagli stessi obiettivi del Pniec (il Piano nazionale energia e clima). Nei trasporti, nei consumi residenziali, nel terziario e in agricoltura dovremmo triplicare lo sforzo di riduzione registrato negli ultimi 18 anni, mentre dovremmo accelerare di 1,5 volte il tasso di riduzione delle emissioni nella generazione elettrica e nell’industria energivora. E lo scenario attuale non fa purtroppo presagire questo livello di progressione.

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I costi umani della crisi climatica

Se quest’accelerazione ancora non si registra, dunque, più che pragmatiche le politiche fin qui adottate sono rinunciatarie. Non si sta imprimendo un’accelerazione che pure sarebbe possibile, ad esempio con un utilizzo mirato dei fondi del Pnrr, con un ripensamento dei sistemi produttivi e una forte spinta alla rigenerazione e alla circolarità.

Va poi considerato un elemento tutt’altro che secondario: decarbonizzare significa anche risparmiare vite umane e costi sanitari. Una recente analisi di Greenpeace stima che le attività delle nove grandi aziende europee del settore del settore petrolifero e del gas potrebbero causare 360mila decessi prematuri entro il 2100 con le sole emissioni di gas serra del 2022.

E a proposito di decessi, secondo uno studio di The Lancet le morti per calore in tutto il mondo tra le persone sopra i 65 anni sono state più alte dell’85% negli ultimi 10 anni rispetto al periodo 1991-2000. La maggior parte di quelle morti, spiegano i ricercatori, sono dovute al cambiamento climatico e non alla crescita della popolazione. Allora viene da chiedersi: voler scongiurare queste stragi è pragmatismo o inutile radicalismo?

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Neutralità tecnologica: ovvero, decide il mercato

C’è poi l’altra espressione molto in voga nel ricco vocabolario di chi non vuol disturbare il manovratore: neutralità tecnologica. Stefano da Empoli, economista, presidente dell’Istituto per la competitività, spiega al Sole 24 Ore che si tratta di “un approccio non discriminatorio alla regolazione dell’uso delle tecnologie, lasciando il mercato a deciderne la combinazione ottimale». In pratica, spiega meglio l’amministratore di Eni Claudio Descalzi, “abbiamo necessità di selezionare le migliori opzioni e procedere celermente all’implementazione delle soluzioni indentificate”.

Ma se questa individuazione la fa il mercato, vale a dire le imprese che detengono le tecnologie spesso più impattanti, cosa ci dà la certezza che il mercato sceglierà la soluzione più efficace ai fini della decarbonizzazione e non quella che porta maggiori profitti e magari consenta di sfruttare al massimo le fonti fossili e gli investimenti in tecnologie obsolete? Se è poi così “neutra” questa scelta, viene da chiedersi perché mai il numero di rappresentanti dell’industria fossile alla Cop28 sia quasi quintuplicato negli ultimi tre anni secondo Kick Big Polluters Out (KBPO), passando dai 503 lobbisti presenti nel 2021, a 636 nel 2022 a Sharm el-Sheikh, fino ai 2.456 di quest’anno a Dubai.

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Ideologico a chi?

Qui allora entra in campo il terzo tormentone: l’accusa di essere “ideologico” rivolta a chiunque chieda un repentino cambiamento di rotta nel contrasto alla crisi climatica o osi parlare di eliminazione gradale delle fonti fossili. Torniamo a sfogliare il dizionario: ideologia è “l’insieme di idee e valori sufficientemente coerente al suo interno e finalizzato a orientare i comportamenti sociali, economici o politici degli individui”, o in un’accezione più spregiativa “l’intensa partecipazione emotiva dei militanti, spesso simile alla fede religiosa”.

Guardando alla seconda definizione, viene subito in mente quella che viene definita per l’appunto “ideologia mercatista”, con la sua fiducia cieca nella capacità (auto)regolatoria della finanza, del commercio e dell’impresa. La transizione “ideologica”, dunque, è quella che lascia tutte le decisioni nelle mani del mercato o quella che cerca di fissare delle regole in grado di far prevalere l’interesse della collettività su quello di singoli (e spesso potentissimi) soggetti?

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Alla Cop28 nuovi negazionismi e vecchie pressioni 

Siamo davanti a una crisi che non ammette più giochi di parole. La temperatura media del Pianeta è attualmente 1,43°C sopra la media preindustriale, e secondo uno studio recente che coinvolge tra gli altri la NASA e la Columbia University potremmo raggiungere gli 1,5 gradi già entro il decennio, anticipando di qualche anno le previsioni dell’Ipcc, il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite.

Oltre ai giochi di parole non è neppure ammissibile che durante la Cop28 presieduta da un petroliere, questo stesso petroliere faccia passare – magari anche con l’aiuto dei miliardi che è in grado di stanziare – l’idea che non c’è evidenza scientifica del nesso tra estrazione di fonti fossili e crisi climatica. Le pressioni e i tentativi di censura in tal senso non sono una novità: basta ricordare che il report di sintesi dell’Ipcc presentato lo scorso marzo, quello che lanciava un ultimo accorato appello a fare di tutto per contenere il surriscaldamento globale, era stato a sua volta “annacquato” proprio con l’eliminazione dei riferimenti alla necessità di ridurre sia il ricorso alle fonti fossili (su spinta dell’Arabia Saudita) sia il consumo di carne (su pressione di Argentina e Brasile).

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Mobilitiamoci per un’azione decisa e immediata

Negazionismi a parte, il nesso fossili-crisi climatica è ampiamente dimostrato: il carbone ha causato quasi un terzo dell’aumento di 1 grado di temperatura globale, un terzo delle emissioni totali di carbonio del mondo è dovuto al petrolio e un quinto al gas. Pragmatismo allora è operare concretamente affinché si chiudano al più presto questi rubinetti che causano disastri.

Ideologico nel senso spregiativo del termine è chi pensa che le grandi aziende petrolifere possano autonomamente determinare una soluzione efficace in nome di una presunta neutralità tecnologica. I risultati concreti rivendicati dalla presidente Meloni e da tutti i governi planetari sono al più piccoli ma insufficienti passi avanti, al punto che pochi giorni fa 1.447 scienziati e accademici hanno sottoscritto un appello promosso da Scientist Rebellion per stimolare una mobilitazione collettiva finalizzata a scongiurare il collasso climatico, perché “le soluzioni sono disponibili” ma “ciò che impedisce un’azione adeguata sono gli interessi acquisiti e il potere radicato”.

Il loro invito è chiaro: “Se vogliamo creare un futuro vivibile, l’azione per il clima deve passare dall’essere qualcosa che fanno gli altri a qualcosa che facciamo tutti”. Dobbiamo uscire dalla nostra zona di comfort diventando tutte e tutti attivisti per un cambiamento radicale di rotta. L’alternativa non è tra pragmatismo e utopia, ma tra un’azione decisa e immediata e la distopia di un Pianeta in cui saltano tutti gli equilibri.

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