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domenica, Ottobre 6, 2024

Diritto alla riparazione, timidi passi in avanti in Europa e in Italia

Il 26 ottobre la Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori all'Europarlamento ha approvato una risoluzione che mira a disciplinare il right to repair. Ma serpeggia il malumore tra chi da tempo insiste per una legislazione coerente a livello comunitario. Mentre in Italia ci sono solo proposte di legge a firma del M5s

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Redazione EconomiaCircolare.com

Di solito la sensibilità su un tema è maggiore rispetto alle norme che quel tema intendono disciplinarlo: è un principio cardine dell’ordinamento giuridico. Per dirla in un’altra maniera, i cittadini spesso sono più avanti delle istituzioni. Lo conferma il diritto alla riparazione, cioè l’idea che tutti i prodotti (specie quelle elettronici) debbano essere progettati per durare a lungo e che il consumatore abbia il diritto di aggiustarli in caso di rottura. Nei giorni scorsi la Imco, vale a dire la Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori del Parlamento europeo, ha approvato una risoluzione in cui viene chiesto alla Commissione europea di “garantire ai consumatori il right to repair rendendo le riparazioni più attraenti, sistematiche ed efficienti in termini di costi”. Viene inoltre chiesto di considerare l’etichettatura di prodotti e servizi in base alla loro durata – ad esempio prevedendo un contatore di utilizzo o la durata stimata di un prodotto – e di prevedere per i RAEE un sistema di ricarica comune.

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Entro il mese di novembre la risoluzione del 26 ottobre, approvata in Commissione con 20 voti favorevoli e due contrari, dovrebbe arrivare in plenaria. Ma serpeggia un diffuso malumore tra chi da tempo insiste per un efficace diritto alla riparazione e per una legislazione comune a livello europeo. È il caso ad esempio di Ugo Vallauri, co-fondatore di Restart Project (comunità di riparatori volontari fra le più attive a livello internazionale) che alla rivista Il Salvagente ha elencato le proprie perplessità.

“La posizione assunta dalla commissione Imco – ha dichiarato – indica una tendenza a giocare al ribasso sui diritti dei consumatori rispetto invece a una legislazione europea che dovrebbe essere più ambiziosa. Il paradosso è che in genere a frenare è la Commissione e non l’Europarlamento”. In più, osserva ancora Vallauri, sull’indice di riparabilità “non c’è alcuna obbligatorietà e tutto resta volontario per i produttori”.

Insomma: quello del Parlamento europeo è un passo in avanti ma troppo timido. Specie se si considera che secondo un’indagine Eurobarometro il 77% dei cittadini dell’UE preferirebbe riparare i propri dispositivi piuttosto che sostituirli e il 79% pensa che i produttori dovrebbero essere tenuti a semplificare la riparazione dei dispositivi digitali o la sostituzione delle loro singole parti. D’altra parte il Global E-waste Monitor 2020, il report delle Nazioni Unite sui rifiuti elettronici, ha sancito che tra tutti i Paesi del mondo sono proprio quelli europei a produrne di più. Ben 53,6 milioni di tonnellate che potrebbero diventare 74 milioni di tonnellate entro il 2030, incentivate da elevati tassi di consumo, brevi cicli di vita e poche opzioni di riparazione.

Di fronte a questi dati diventa evidente che servono cambi di rotta più decisi. Ne è una testimonianza l’Italia. Il 21 settembre sul Blog delle stelle, la piattaforma del Movimento oggi al governo, si rende noto che “all’esame del Senato c’è una importante proposta di legge per il contrasto all’obsolescenza programmata dei beni di consumo, a prima firma del sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento Gianluca Castaldi. Se i beni non sono riparabili o ricondizionabili, è pur sempre possibile recuperare i materiali che li costituiscono. In quest’ottica sarebbe molto importante promuovere il reimpiego dei beni ancora integri e la loro riparazione anche tramite il sostegno ai centri specializzati snellendo la burocrazia e fornendo sgravi fiscali per gli utenti. Sono questi, in estrema sintesi, le principali misure che, con una proposta di legge sul diritto alla riparazione della nostra deputata Ilaria Fontana, potrebbero mettere l’Italia sui binari della circolarità e del rispetto delle linee guida europee”.

A parte i condizionali, dunque, nel nostro Paese c’è ancora poco sulla riparazione e sul riutilizzo. E dire che su altri questioni ambientali – dagli ecoreati al divieto delle buste di plastica – l’Italia ha saputo tracciare la rotta a livello comunitario. L’auspicio è che sappia farlo anche sul right to repair. Per non dover rincorrere la sensibilità dei cittadini e lasciare il palcoscenico alle soluzioni fai-da-te.

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