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venerdì, Novembre 15, 2024

“Il Pnrr punta sul recupero di energia invece che di materia”. Al via la petizione “Non bruciamoci l’occasione”

All'Ue il Pnrr italiano piace, tanto da aver dato quasi tutte A. In Italia, invece, non mancano dubbi e perplessità: è il caso della petizione che contesta la centralità data al biometano. "Non è coerente continuare a erogare incentivi a fondo perduto che andrebbero invece riassegnati alla fase di riprogettazione industriale"

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

Una pagella con quasi tutte A, quindi il voto massimo, e una sola B alla voce “costi”. Per un Paese come l’Italia il giudizio della Commissione europea sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è apparso quasi come un miracolo: non solo perché lo Stato si è finora contraddistinto per una perenne difficoltà ad adattarsi alle stringenti norme comunitarie (come insegna ad esempio il recente caso della plastic tax), ma anche perché il piano italiano per utilizzare i fondi del Next Generation Ue non ha certo brillato, tra mancanza di partecipazione e una transizione ecologica più negli annunci che nei fatti. Le critiche, anche quelle di questa testata, non sono mancate. Eppure lo scorso 22 giugno l’incontro a Cinecittà tra la presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen e il presidente del consiglio Mario Draghi è stato in pratica uno scambio di complimenti. Tutto bene allora? Davvero possiamo sperare che con l’arrivo dei decreti attuativi, e quindi finalmente dei primi progetti concreti da poter analizzare, nonché dei primi fondi, l’Italia possa imboccare la lunga strada della lotta ai cambiamenti climatici?

A leggere la petizione “Non bruciamoci l’occasione”, che si può consultare sull’omonimo sito,  il quadro non è così idilliaco come è stato dipinto in queste settimane.

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Una petizione, in attesa di ricorsi

Uno dei principali promotori della petizione “Non bruciamoci l’occasione”, che critica il Pnrr italiano perché in contrasto con le normative europee, è Massimo Piras. Portavoce del movimento Legge Rifiuti Zero per l’Economia Circolare, Piras è uno storico attivista romano (qui una sua analisi sulla gestione dei rifiuti a Roma Capitale) che da anni si occupa di gestione dei rifiuti. Insieme a lui hanno lanciato la campagna “Non bruciamoci l’occasione” anche Giuseppe Miserotti – Isde Medici per l’ambiente – e Giovanni Damiani, presidente GUFI (Gruppo Unitario per le Foreste Italiane). Sul sito il numero delle adesioni è in continuo aumento – al momento, tra singoli, associazioni e comitati se ne contano più di 122 – così come il numero delle firme alla petizione. Ma la campagna di sensibilizzazione non si limita a questo.

“La mobilitazione che si può fare attualmente è questa – dice Piras a EconomiaCircolare.com – Non possiamo agire dal punto di vista giuridico, perché al momento il Pnrr è stato presentato alla Commissione e la futura decisione del Consiglio d’Europa, che si prevede darà il definitivo assenso, non è impugnabile. Dobbiamo aspettare i progetti attuativi, che invece potranno essere contrastati sul piano giuridico. In questo senso la giurisprudenza ci conforta, nel senso che ci si potrà rivolgere non solo ai Tar ma anche alla Corte di Giustizia europea, che sui temi ambientali è molto sensibile. Per attuare questo Piano hanno perfino riscoperto la Legge Obiettivo, con le Valutazioni di Impatto Ambientale che sono state accentrate e i territori che non potranno esprimersi. Anche il Parlamento è stato esautorato dal Pnrr, con le Commissioni che non hanno potuto fare emendamenti ma solo osservazioni, le quali tra l’altro non sono state neanche tenute in conto”.

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“Gli effetti perversi del sostegno al biometano”

Ma perché allora all’Europa il Pnrr italiano piace? Nonostante, come sostiene la petizione in un documento lungo 21 pagine che analizza “la errata attuazione dei principi del Green Deal europeo”, sulla transizione ecologica disegnata dal ministero creato ad hoc ci siano ancora dubbi e perplessità? “Come hanno sottolineato già in tanti, non è affatto vero che il 37% delle risorse del Nex Generation è destinato alla cosiddetta rivoluzione verde – osserva ancora Piras – È stato calcolato che di progetti relativi a una vera transizione ecologica c’è appena il 13% del totale. L’ipocrisia maggiore poi è proprio sull’economia circolare. Se ne parla da anni come soluzione salvifica e poi al momento di finanziarla viene destinata ad essa appena l’0,8%? Bisogna puntare sul recupero di materia, mentre il Pnrr punta ancora sul recupero di energia, un aspetto che da tempo è stato superato per quel che riguarda il ciclo dei rifiuti”.

In effetti, a leggere le puntuali osservazioni della campagna che cita regolamenti e direttive per suffragare le proprie tesi, un ruolo centrale nel Recovery Plan italiano è stato assegnato al biometano. Non solo specificamente nelle misure relative al settore energetico, ma anche a quelle relative all’agricoltura e ai trasporti. “Nel 2020 – si legge nel documento della campagna – nonostante il rallentamento dell’economia dovuto all’esplosione della crisi pandemica, la quantità di metano nell’atmosfera ha continuato ad aumentare vertiginosamente”. Invece di puntare a una drastica riduzione di uno dei peggiori gas climalteranti, il Pnrr punta a “una generica modernizzazione di processi energetici e tecnologie basati su matrici non ecosostenibili come il metano e l’idrogeno blu o grigio”. La posizione della petizione è talmente netta da destinare un corposo paragrafo agli “effetti perversi del biometano”.

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Al contrario degli annunci di circolarità, basate sull’assunto che il miglior rifiuto è quello che non si produce, il Pnrr italiano tende a privilegiare la riconversione degli impianti esistenti. Nel caso dei rifiuti urbani si passa da biogas a biometano: ovvero da una fonte fossile a un’altra. “Dovrebbero esserci bastate le sanzioni per non corretta applicazione delle direttive UE sulla gestione degli incentivi alle fonti rinnovabili girate improvvidamente agli inceneritori di rifiuti dediti ad attività di speculazione energetica e non a recupero di materia, le sanzioni per il mancato e corretto avvio a recupero dei rifiuti contenuti nelle ecoballe frutto dell’emergenza rifiuti in Campania, le sanzioni per le emissioni atmosferiche nella Pianura Padana e per i continui superamenti dei limiti di PMx ed NOx in molte e ampie zone del nostro territorio nazionale dovute a inadempienze pianificatorie e/o controlli sulle attività industriali, del trasporto privato nonché emissioni domestiche dovute al riscaldamento , ma così non è. In continuità con quanto già prodotto, anche il PNRR propone la finalizzazione della produzione dei rifiuti alla speculazione energetica dall’alto impatto sulla matrice aria, prevedendo nel monte risorse destinato alla transizione ecologica anche un contributo all’investimento a fondo perduto fino al 40% per la riconversione di oltre 600 impianti di biogas a produzione di biometano, in favore di 13 cordate finanziarie sorrette da banche e istituti finanziari/assicurativi, per la realizzazione di impianti centralizzati di grande o grandissima potenzialità per la produzione di biometano da rifiuti organici e metano fossile”.

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All’agricoltura e al Sud il biometano?

Non è un caso che nella Missione 2 del Pnrr l’economia circolare vada a braccetto con l’agricoltura sostenibile. A legare questi due ambiti c’è proprio la produzione di biometano, ottenuto attraverso la digestione anaerobica dei rifiuti, che il Pnrr definisce “strategico per il potenziamento di un’economia circolare basata sul riutilizzo ed è un elemento rilevante per il raggiungimento dei target di decarbonizzazione europei”. Inoltre “se veicolato nella rete gas, il biometano può contribuire al raggiungimento dei target al 2030 con un risparmio complessivo di gas a effetto serra rispetto al ciclo vita del metano fossile tra l’80 e l’85%”. Un’affermazione importante che, secondo la campagna Non bruciamoci l’occasione, viene “smentita dai dati forniti dal GSE (Gestore servizi energetici), un organismo che non è soggetto terzo in questa partita e che eroga incentivi a fondo perduto alle FER. Tramite il Gse annualmente vengono erogati incentivi pari a circa 12 miliardi di euro, di cui per biomasse/biogas circa 3 miliardi annui a fronte di una modesta produzione di energia. Nel periodo 2015-2020, in particolare per il biogas, è stata, in media, di appena il 4% del totale delle rinnovabili”.

Poco dopo il concetto viene esplicitato ulteriormente. “La tecnologia della digestione anaerobica, finalizzata alla produzione energetica da biogas e biometano, è una tecnologia da considerarsi “matura”, essendo utilizzata da decenni, quindi non bisognosa di ulteriori incentivi statali oltre quelli già concessi da 15 anni ad oggi. Quindi non è coerente continuare a erogare incentivi a fondo perduto che andrebbero invece riassegnati, per esempio, alla fase di riprogettazione industriale legata all’avvio di una vera economia circolare”. Impianti del genere – vale a dire “finalizzati all’utilizzo di metano fossile per il riscaldamento dei digestori anaerobici, in cui fermenta la sostanza organica dei rifiuti e dai quali discende la produzione di biometano, che verrebbe poi intubato e/o liquefatto per essere trasportato e poi ritrasformato in fase gassosa, altrove” – mancano soprattutto al Sud. Ed è facile prevedere che, pur in assenza di riferimenti specifici nelle ultime versioni del Pnrr, sarà proprio qui che verranno realizzati.

Dalle critiche, poi, si passa anche a proposte più ampie. “Una transizione ecologica in agricoltura – si scrive – richiede una nuova visione di tipo sistemico, che è rappresentata dall’agroecologia, termine completamente assente nel Pnrr, nonostante sia un obiettivo indicato dalla FAO. Manca la visione ecosistemica che colleghi le componenti suolo, acqua, ambienti naturali, biodiversità ai campi coltivati e agli allevamenti: ad esempio il suolo è già un ecosistema, la cui fertilità richiede un approccio ecologico, non solo economico. Occorre rafforzare la transizione verso un modello agro-ecologico che non alteri il clima, riduca le emissioni e il consumo di acqua e suolo, valorizzi le risorse locali promuovendo l’autonomia alimentare (filiere corte), qualifichi l’agricoltura integrata e agevoli stili alimentari sostenibili, a base prevalentemente vegetale”.

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Mobilità sostenibile con il biometano?

Tra i carburanti alternativi individuati dal Pnrr per i veicoli di nuova generazione ci si sarebbe aspettati, a detta di molti, un maggior coraggio sull’elettrico. Invece il Piano, nel capitolo dedicato alla mobilità sostenibile, intende “promuovere la sostituzione di veicoli meccanici obsoleti e a bassa efficienza con veicoli alimentati a metano/biometano”. A detta del governo, infatti, il biometano risulterebbe già da ora uno dei carburanti con minor impatto ambientale. È una tesi portata avanti anche da colossi del settore come Eni e da molte associazioni di categoria nei trasporti.

“Tale affermazione non è confermata da alcun dato scientifico – si ribadisce al contrario nel report – Gli studi e i dati relativi alle emissioni in atmosfera per il trasporto di tipo pesante sono assolutamente antitetici a questa scelta. Nella tabella pubblicata da INEMAR – ARPA Lombardia si evidenzia che la proposta di riconversione a biometano del trasporto di tipo pesante (bus – autocarri – trattori) presenta nel raffronto con l’alimentazione diesel euro 6 una emissione di NOx di sei volte maggiore, di CH4 quasi mille volte maggiore, di CO quattro volte maggiore e di CO2 del 50% in più”.

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Idrogeno blu col biometano?

I fondi del Next Generation puntano, non solo in Italia, a creare uno sviluppo industriale dell’idrogeno per favorire la transizione energetica. Nel nostro Paese la battaglia si è concentrata, come abbiamo raccontato più volte, sui colori: le pressioni di big del settore come Eni e Snam puntano a inserire anche l’idrogeno blu, ovvero l’idrogeno che è tratto dalla produzione di metano e che intende poi stoccare l’anidride carbonica. In attesa dei decreti attuativi, che potrebbero far tornare dalla finestra ciò che era stato messo alla porta durante la presentazione del Piano (il ministro Cingolani ha spiegato che nel Pnrr c’è soltanto l’idrogeno verde, ma che poi bisognerà valutare caso per caso), la campagna Non bruciamoci l’occasione segnala un altro rischio.

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“Nel caso dell’idrogeno blu oltre allo sfruttamento del metano fossile non si può escludere l’utilizzo del biometano – denuncia il report – con la conseguente accelerazione dell’uso della frazione organica e degli scarti agricoli e la costruzione di megaimpianti di digestione anaerobica per la loro metanizzazione. Tali processi di recupero di energia dai rifiuti attualmente sono stati esclusi dalla filiera di economia circolare e relegati a processi di pre-smaltimento, in cui i combustibili prodotti non sono conteggiati negli obiettivi di riciclaggio”.

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