Il sistema produttivo nazionale e le filiere imprenditoriali, con grandi potenzialità nel campo dell’innovazione, della creatività e della collaborazione, possono rendere l’Italia un laboratorio per lo sviluppo di un modello di economia circolare. Questa visione ha portato 18 imprese italiane a unire le forze nell’Alleanza per l’Economia circolare, che dal 2017 porta avanti la sfida di valorizzare il Made in Italy puntando sulla circolarità.
Un potenziale da 700mila posti di lavoro
Si tratta di realtà leader in diversi settori chiave: turismo, beni di lusso, energia, banche e aziende di Stato. I nomi sono quelli di A2A, Aquafil, Bvlgari, Cassa Depositi e Prestiti, Cetena (Gruppo Fincantieri), CirFood, Costa Crociere, Enel, Erg, FaterSmart, Ferrovie dello Stato, Gruppo Hera, Intesa Sanpaolo, NextChem (Gruppo Maire Tecnimont), Novamont, Salvatore Ferragamo, TH-Resorts e Touring Club Italiano. Messi insieme fanno 139 miliardi di fatturato, 319mila dipendenti e 114mila fornitori. Nel loro position paper pubblicato di recente stimano la potenziale ricaduta delle politiche Europee di attuazione della strategia per l’economia circolare nel prossimo decennio. Si stimano 700mila posti di lavoro, con i costi delle materie prime ridotti di un decimo e gli investimenti aumentati del 7%. Significativo anche il contributo agli obiettivi di riduzione dei gas serra al 2030, con il 17% in meno di CO2 immessa in atmosfera. Il documento dell’Alleanza si concentra su alcune linee d’intervento prioritarie: la necessità di una governance efficace, la semplificazione normativa, l’ecoinnovazione, la misurazione dei risultati e le attività di comunicazione e formazione.
Il ruolo di piccole e medie imprese
Dal position paper emerge la necessità di mettere in discussione l’attuale sistema lineare: la pandemia ha finalmente fatto aprire gli occhi sull’intreccio tra economia, natura, società e politica, e sull’importanza di creare un sistema resiliente. I riflettori devono essere quindi puntati su un cambiamento radicale dei sistemi produttivi, dove ovviamente l’innovazione gioca un ruolo chiave. A questo riguardo, l’Alleanza sottolinea la potenzialità delle piccole e medie imprese e delle startup nello sviluppare modelli circolari sostenibili e innovativi. Un ulteriore principio guida si focalizza sulla valorizzazione delle competenze italiane. Non parliamo solo delle caratteristiche tipiche del Made in Italy, ma della possibilità di creare da zero un nuovo settore di competitività che promuova prodotti circolari e uso efficiente delle risorse. Un’economia circolare non può prescindere dal coinvolgimento dell’intera filiera: si potrà chiudere il cerchio solo se agli attori coinvolti sarà riconosciuta la responsabilità della proprie attività.
Sul fronte operativo, il report evidenzia che per valorizzare il “Made in Italy Circolare” è opportuno tenere in considerazione riferimenti quali il BS 8001 e il XP X30-901, oltre a schemi nazionali come il Made Green in Italy. Di cosa si tratta? Le prime due sono certificazioni internazionali che individuano le azioni circolari che un’impresa può mettere in campo e verificano l’impegno concreto nella transizione. Made Green in Italy invece è uno schema nazionale volontario per la valutazione e la comunicazione dell’impronta ambientale dei prodotti entrato in vigore a giugno 2018.
Serve una regia nazionale
Sul fronte della governance, l’Alleanza chiede una cabina di regia capace di spingere verso l’implementazione delle strategie circolari, il rispetto delle stesse e un monitoraggio costante delle iniziative. Al tempo stesso c’è bisogno di semplificare gli iter per la realizzazione di distretti industriali circolari a sostituzione di quelli tradizionali, uniformando le regole, riducendo i tempi di autorizzazione e agevolando gli investimenti. Altro tassello fondamentale è riuscire a estendere la logistica inversa a tutte le filiere per dare valore ai prodotti giunti a fine vita, anche in questo caso semplificando le procedure autorizzative e prevedendo incentivi fiscali.
Le 18 aziende chiedono al governo una strategia nazionale che entro i prossimi due anni definisca obiettivi e azioni prioritarie e sia pronta a recepire le future direttive comunitarie in materia. Le istituzioni territoriali dovrebbero invece poter attingere a una metodologia comune per realizzare a livello locale azioni coerenti con la strategia nazionale.
Acquisti verdi e leva fiscale
È nel medio periodo però che l’Alleanza vede le opportunità maggiori per il raggiungimento dei cinque macro obiettivi definiti: oltre a una strategia nazionale e locale, le proposte cardine riguardano l’impulso al Green public procurement (GPP) e una nuova fiscalità ambientale. Il ruolo degli acquisti verdi da parte della Pubblica amministrazione è sempre più oggetto di discussione nel nostro Paese, ma la sua applicazione è ancora poco omogenea. L’Alleanza spera che si acceleri l’approvazione di nuovi criteri minimi ambientali (Cam), e propone un’implementazione di questo strumento in due fasi. In una prima fase, che potremmo definire “di rodaggio”, il Gpp sarebbe utilizzato su base volontaria da parte delle amministrazioni locali per familiarizzare con lo strumento e sviluppare competenze adeguate. Dopo il primo periodo di applicazione volontaria, gli enti locali dovranno essere obbligati all’implementazione del Gpp.
Anche un maggior sostegno fiscale sarà necessario per spingere la transizione circolare: le risorse previste dalla legge 145/2018 – il credito d’imposta del 36% per imprese che acquistano prodotti da materiali riciclati e biodegradabili – sono esigue e si limitano ad alcune categorie di prodotti e al solo approccio del riciclo. La proposta dell’Alleanza è aumentare i fondi destinati a questo strumento, ma anche intervenire con la leva fiscale. L’Italia, rileva il documento, è agli ultimi posti in Europa per tassazione sulle risorse e un intervento in questo senso potrebbe favorire la transizione alla circolarità. “Il supporto fiscale potrebbe essere esteso in base alle caratteristiche del prodotto, del processo produttivo, del servizio offerto anche operando, ma non esclusivamente, sulle aliquote Iva”. Insomma, la richiesta è chiara: servono “misure che sostengano l’utilizzo di materie prime seconde, le energie rinnovabili, la progettazione di beni già pensati per il riuso, la riparazione, il riutilizzo, il riciclo, che abbiano il maggior ciclo di vita possibile e la minor impronta ambientale possibile”.
Riconoscere l’importanza della natura
È inoltre importante tenere in considerazione la possibilità di imputare dei costi alle esternalità negative della filiera produttiva, vale a dire far pagare di più chi inquina di più con i suoi prodotti e servizi. “Un altro metodo- aggiunge il paper – sarebbe, invece, a favore della trasparenza, introducendo requisiti, obbligatori o meno, di reporting delle esternalità ambientali a favore della trasparenza verso i consumatori”. Qui il meccanismo della responsabilità estesa del produttore (Extended Producer Responsibility , in sigla Epr) può essere lo strumento più efficace e in grado si reindirizzare i sussidi statali verso la tutela dell’ambiente. La proposta del tavolo di lavoro per un sistema circolare è quindi riconoscere un valore alla natura e tassare le attività altamente impattanti. Nell’ambito del macro obiettivo sulle innovazioni sostenibili, l’Alleanza si sofferma sull’opportunità di alleviare la pressione fiscale sul lavoro e, come dicevamo, spostare la tassazione sui beni materiali: si tratta di un intervento che richiederà del tempo e un’azione coordinata a livello europeo affinché si riesca a definire un meccanismo fiscale omogeneo.
Formare e coinvolgere gli attori dell’ecosistema circolare
L’ultimo punto della roadmap verso la circolarità dei 18 stakeholder è quello legato alla comunicazione e alla formazione. I cittadini, le aziende e le amministrazioni vanno sensibilizzati sul tema dell’economia circolare per permettere che si orientino i consumi, si sviluppino meccanismi di supporto adatti e si rendano chiare le opportunità economiche della circolarità. Un esempio lampante di questa necessità è legato al nesso tra innovazione produttiva e sviluppo impiantistico. Oggi in Italia, come ha sottolineato anche il presidente della piattaforma Icesp Roberto Morabito nel suo intervento su EconomiCircolare.com, c’è una evidente carenza di infrastrutture impiantistiche utili alla transizione circolare, accanto alla quale si registra una forte difficoltà a renderle “accettabili” per la comunità locali, che non sono sufficientemente informate e coinvolte nei processi decisionali. La transizione circolare passa anche da qui: ribaltare l’approccio impositivo per favorire una co-progettazione delle opere effettivamente in linea con le esigenze territoriali.
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