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domenica, Dicembre 1, 2024

C’è un gender divide nell’accesso ai finanziamenti e siamo lontani da chiuderlo

Le fondatrici di start up hanno più difficoltà a ottenere finanziamenti, compreso il settore del climate tech. I dati evidenziano un gap di genere profondo nell’accesso ai prestiti: per colpa di stereotipi, pregiudizi e un settore, quello del venture capital, dominato da uomini. Eppure le ricerche evidenziano, numeri alla mano, risultati identici o superiori delle imprese create da donne

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

C’è un gap di genere nell’accesso ai finanziamenti per la nascita di nuove startup e le donne sono notevolmente svantaggiate. È quanto emerge dalle statistiche di due società di analisi dei dati finanziari statunitensi. Solo il 6,6% dei finanziamenti di venture capital statunitensi nel settore delle tecnologie climatiche nel 2023 è andato a fondatrici di aziende: secondo i dati di Pitchbook sono stati 21 su un totale di 319. A livello globale, la situazione non è certo migliore. Le fondatrici sono riuscite a chiudere appena 58 accordi di finanziamento nel settore delle tecnologie climatiche, rispetto agli 826 raggiunti dagli uomini.

I dati di Crunchbase sui finanziamenti legati al genere sono leggermente migliori. Il monitoraggio annuale ha mostrato che l’anno scorso 65 società di climate tech fondate da donne e con sede negli Stati Uniti hanno ricevuto finanziamenti, ovvero il 10% del totale dei finanziamenti: nello stesso periodo, però, hanno ricevuto finanziamenti 565 startup fondate da uomini. La disparità nei numeri tra le due società di analisi è dovuta probabilmente a differenze nella definizione di “climate tech”.

L’anno appena terminato, peraltro, ha rappresentato un passo indietro anche in valori assoluti nel settore della tecnologia climatica, con una diminuzione degli investimenti femminili e un conseguente calo dei finanziamenti raccolti da imprenditrici: 80 milioni di dollari rispetto ai 106 milioni di dollari del 2022. Un circolo vizioso da cui è difficile uscire: in tutti i settori ci sono meno startup fondate da donne (il rapporto è di 1 a 6). Ma allo stesso tempo, se le donne hanno più difficoltà ad accedere ai finanziamenti, hanno anche minori probabilità di avviare una nuova startup.

donne imprenditrici
Foto: Canva

Per chi sollevasse dubbi sul gender divide nei finanziamenti, in particolare negli Stati Uniti, è emblematico ricordare che la possibilità per un’imprenditrice di accedere ai prestiti è recentissima. Prima dell’approvazione del Women’s Business Ownership Act nel 1988, in molti Stati degli Usa alle donne era richiesto di presentare la co-firma di un parente di sesso maschile per ottenerlo. A quanto pare, però, gli stereotipi continuano ancora oggi ad avere effetti negativi, come dimostra una ricerca di Dana Kanze pubblicata su Science e divenuta punto di riferimento sull’argomento.

Il report Advancing Gender Equality in Venture Capital, realizzato dal Women and Public Policy Program dell’università di Harvard, ha recentemente approfondito il tema della difficoltà per le donne ad accedere ai finanziamenti venture capital, individuandone numerose ragioni, nessuna delle quali – e non potrebbe essere diversamente – ha fondamenti logici. La premessa è questa: le donne rappresentano solo l11% dei partner delle società di venture capital, un settore dunque quasi interamente dominato dagli uomini, con tutti i pregiudizi, consapevoli o inconsci, che si riflettono nelle politiche di assunzione, nelle promozioni fino a valle nei finanziamenti.

Le politiche di assunzione all’interno delle società di venture capital, infatti, sono generalmente molto informali e si basano su network e segnalazioni: se il settore è dominato da uomini, anche i network sono composti principalmente da uomini e le probabilità di assumere una donna sono nettamente inferiori. Lo stesso per quanto riguarda le promozioni, frutto di avanzamenti interni o altre segnalazioni e ancora una volta, per una questione meramente numerica, le donne sono svantaggiate.

Storicamente, poi, i venture capital tendono a finanziare startup con team di gestione interamente maschili. Lo studio di Harvard ha dimostrato che il 70% degli investitori di venture capital ha preferito i progetti presentati da imprenditori rispetto a quelli presentati da imprenditrici, anche se i progetti erano identici. E, infatti, meno del 5% di tutte le imprese finanziate da venture capital hanno donne nei loro team esecutivi e solo il 2,7% ha come amministratrice delegata una donna.

La cosa grave è che spesso ciò si fonda su pregiudizi. Come se gli uomini avessero una mentalità più imprenditoriale: mentre agli uomini, al momento della decisione se sbloccare il finanziamento o il prestito, si chiede di illustrare le opportunità di crescita della startup, alle donne si chiede di dimostrare la stabilità economica. Andando oltre gli stereotipi, le numerose ricerche non hanno individuato differenze tra l’orientamento all’innovazione e al rischio tra fondatori maschio e femmina, suggerendo che entrambi i generi hanno la stessa probabilità di distribuirsi sul continuum di rischio e innovazione.

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Chiudere il gap è il miglior investimento possibile

Oltre a essere un problema di giustizia ed equità, ci sono ricadute negative per l’economia. “La parità di genere nel venture capital è importante non solo perché è la cosa giusta da fare, ma anche perché è la cosa più intelligente da fare”, scrive Siri Chilazi, una delle autrici del report di Harvard. Le ricerche hanno dimostrato che le società di venture capital con il 10% in più di investitrici effettuano un numero maggiore di investimenti di successo, hanno rendimenti superiori dell’1,5% e una crescita del 9,7% dei prodotti. Sul lato degli investimenti, i dati dimostrano come le startup fondate da donne hanno risultati migliori nel tempo di quelle fondate da uomini.

Secondo uno studio del Boston Consulting Group fatto sui dati relativi a un periodo di cinque anni, le aziende fondate da donne hanno generato 78 centesimi di ricavo per dollaro investito, rispetto ai 31 centesimi generati da aziende fondate da uomini: si tratta di oltre il doppio di ricavi. Mentre quando le startup sono finanziate da venture capitale esclusivamente maschili, le performance delle aziende sono del 24% peggiori rispetto a venture capital diversificati nella composizione di genere. Insomma: “l’aggiunta di un maggior numero di donne nell’ecosistema del venture capital – come investitrici, fondatrici e leader delle società in portafoglio – è quindi un modo, basato su prove, per aumentare i rendimenti dell’intero settore”, conclude l’autrice.

Ecco perché sono importanti iniziative come WEgate, una piattaforma lanciata dalla Commissione europea dedicata alle imprenditrici e alle loro esigenze di avvio, finanziamento e gestione delle imprese. Il portale offre l’opportunità di partecipare a webinar settoriali e di facilitare lo scambio di idee e intuizioni tra donne provenienti da ambiti e Paesi diversi, ha una sezione focalizzata sulle competenze manageriali, le tendenze di mercato e la gestione aziendale. Insomma, uno strumento di formazione e supporto, per favorire la creazione di quei network che spesso rappresentano un ostacolo, invece di un catalizzatore, per l’imprenditoria femminile.

donne imprenditrici
Foto: Canva

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Non va meglio con la filantropia e i finanziamenti pubblici

La situazione non migliora se guardiamo la filantropia climatica: l’80% delle donazioni va a organizzazioni guidate da uomini e solo lo 0,2% dei finanziamenti delle fondazioni si concentra esplicitamente sulle donne e sull’ambiente. Né va meglio con i finanziamenti a programmi condotti da donne per politiche di adattamento e resilienza climatica. Questo divario, in alcuni contesti, diventa drammatico e c’è urgenza di aumentare i flussi finanziari e l’accesso ai finanziamenti.

Anche perché, in molte nazioni a basso reddito, sono proprio le donne a essere maggiormente colpite dagli effetti dei cambiamenti climatici. In Africa, come fa notare Open Global Rights, “il lavoro di adattamento al cambiamento climatico condotto dalle donne è gravemente sottofinanziato, con solo lo 0,01% dei finanziamenti destinati alla lotta per la giustizia climatica. Anche per quanto riguarda la riduzione del rischio di catastrofi e la resilienza, i finanziamenti sono marginali, pari allo 0,003%”.

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