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domenica, Dicembre 1, 2024

Circularity Gap Report: “La circolarità è la chiave per l’equilibrio della vita umana sul Pianeta”

Secondo lo studio di Circle Economy l'adozione di 16 soluzioni circolari potrebbe soddisfare il nostro fabbisogno con appena il 70% dei materiali che utilizziamo attualmente, e potrebbe riportare i segnali vitali del Pianeta entro i limiti di sicurezza. Dati e spunti del report

Silvia Santucci
Silvia Santucci
Giornalista pubblicista, dal 2011 ha collaborato con diverse testate online della città dell’Aquila, seguendone le vicende post-sisma. Ha frequentato il Corso EuroMediterraneo di Giornalismo ambientale “Laura Conti”. Ha lavorato come ufficio stampa e social media manager di diversi progetti, tra cui il progetto “Foresta Modello” dell’International Model Forest Network. Nel 2019 le viene assegnata una menzione speciale dalla giuria del premio giornalistico “Guido Polidoro”

I problemi economici ed ambientali che attanagliano la nostra società sono noti da tempo. Una via per uscire da un sistema lineare degenerativo viene tracciata all’interno del Circularity Gap Report 2023, lo studio di Circle Economy, in collaborazione con Deloitte, presentato lo scorso 16 gennaio a Davos, in occasione del World Economic Forum. [Lo abbiamo raccontato qui]

Il report espone evidenze su come il nostro modello economico ci abbia spinto ad oltrepassare una serie di confini, con conseguenze pericolose ed imprevedibili. Presenta, però, anche soluzioni. “L’analisi mostra – scrivono nel report – come i bisogni e i desideri delle persone, come l’alimentazione, la mobilità, la casa e i beni di prima necessità possono essere soddisfatti entro i limiti planetari. La chiave di queste soluzioni è rappresentata dai principi circolari: alcuni così semplici che ci si chiede perché non si sia sempre fatto così. Altri che richiederanno, invece, una collaborazione tra una serie di attori dell’industria e del governo, e un cambiamento radicale nello stile di vita dei più ricchi del mondo”.

L’economia lineare come punto di partenza

L’impatto ambientale registrato negli ultimi anni può essere attribuito in gran parte all’aumento delle emissioni di gas ad effetto serra (GHG) ma non solo. L’estrazione e l’uso dei materiali provoca forti danni ambientali: determina, ad esempio, oltre il 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico.

Alla base di questo sistema economico lineare vi è, dunque, un sovrasfruttamento delle risorse del Pianeta, senza che per altro questo si traduca necessariamente in un maggiore benessere per le popolazioni. “In molte parti del mondo, – si legge ancora nel report – l’iperconsumo è diventato la norma, mentre in altre non sono neanche garantiti gli standard di vita minimi”. In pratica, nel soddisfare i bisogni, reali o indotti, della società stiamo oltrepassando cinque dei nove confini planetari – concetto introdotto nel 2009 da Johan Rockström, ex direttore dello Stockholm Resilience Centre (SRC) dell’Università di Stoccolma, insieme a 28 scienziati di fama mondiale – che sono cruciali per la salute del Pianeta: cambiamento climatico, perdita di biodiversità, cambiamento del sistema di terra (uso del suolo), inquinamento chimico e ciclo dell’azoto e del fosforo. L’acidificazione degli oceani – guidata anche dall’aumento vertiginoso delle emissioni di carbonio – è poi pericolosamente vicina al suo punto di svolta.

In questo quadro drammatico giocano un ruolo centrale gli eccessi di alcuni Paesi e di alcuni sistemi: solo otto nazioni (Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Russia) sono responsabili dell’85% delle emissioni di gas serra nel 2015.

Inoltre, un maggiore consumo di materiali non è del tutto collegato all’aumento della popolazione: negli ultimi 50 anni, la popolazione globale è raddoppiata ma l’estrazione di materiali è più che triplicata dal 1970, ed è quasi raddoppiata dal 2000, raggiungendo oggi i 100 miliardi di tonnellate.

Leggi anche: L’economia mondiale è sempre meno circolare. Secondo il Circularity Gap Report scende al 7,2%

Consumare di più non fa stare meglio

Pur essendo strumentale all’innalzamento del tenore di vita, lo studio sottolinea come, dopo un certo livello di consumo, il benessere cessa di aumentare.

L’analisi individua, infatti, diversi esempi di Paesi in cui un’impennata nell’uso dei materiali è andata a scapito degli indicatori di benessere, come l’aspettativa di vita, l’alimentazione, l’uguaglianza, l’istruzione e l’accesso all’energia.

Ad esempio, Singapore e Lituania hanno registrato il maggiore aumento dell’impronta materiale tra i 148 Paesi studiati nel report per il periodo che va dal 2005 al 2015, ma la Lituania non ha registrato alcuna crescita media negli indicatori di benessere (un piccolo aumento dell’aspettativa di vita è stato compensato da una piccola diminuzione della soddisfazione di vita).

Trovare un equilibrio

Come sappiamo, il Pianeta ospita oggi 8 miliardi di persone e per nutrire, trasportare e vestire tutte le popolazioni del mondo, l’economia globale consuma 100 miliardi di tonnellate di materiali all’anno. Inoltre, entro il 2050 si prevede che l’estrazione e l’uso di materiali raddoppieranno rispetto ai livelli del 2015. Senza strategie di gestione dei materiali che ci mantengano all’interno dei confini planetari, le Nazioni Unite hanno messo in guardia da un possibile “collasso totale della società”, causato da catastrofi climatiche, vulnerabilità economiche, instabilità politiche e fallimento degli ecosistemi.

Appurato che uno sviluppo che includa uno sfruttamento smisurato delle risorse non porta a reali benefici per le persone, si apre quindi la necessità di trovare un sano equilibrio tra la vita umana e i limiti ecologici: in questo, sottolinea ancora lo studio, l’economia circolare – che dà la priorità a soluzioni sistemiche che ci aiutano a usare meno, più a lungo, riutilizzare ed evitare materiali tossici – ha un ruolo chiave.

Secondo il report, l’adozione di soluzioni circolari per quattro sistemi chiave individuati – l’edilizia, il sistema alimentare, la mobilità e i trasporti, i beni di consumo e i prodotti industriali – potrebbe soddisfare il nostro fabbisogno con appena il 70% dei materiali che utilizziamo attualmente, e soprattutto potrebbe riportare i segnali vitali del Pianeta entro i limiti di sicurezza. Andando oltre il riciclo, l’aumento dell’uso di materiali secondari deve essere accompagnato da una gestione intelligente dei materiali che permetta di fare di più con meno, di usare più a lungo e di sostituirli con materiali rigenerati, gestiti in modo sostenibile.

Non sembra esserci, dunque, via d’uscita se non ridimensionare i nostri stili di vita: attualmente consumiamo e sprechiamo troppo. L’economia circolare può essere un mezzo per alleviare le pressioni sull’ambiente e dare forma a una società prospera per le persone ma questo richiede un uso più efficiente, e talvolta minore, dei materiali.

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Rallentare

Nonostante le esigenze che scaturiscono da quanto detto fin qui, sappiamo che la circolarità è in inversione di tendenza: nel 2023 il tasso di circolarità dell’economia globale è sceso ancora ed è arrivato al 7,2%. Un numero davvero esiguo, in rapporto ai 100 miliardi di tonnellate che l’economia globale consuma, ma allora a quanto dovremmo ambire?

“Sebbene il nostro obiettivo – specificano nel report – possa sembrare il raggiungimento di un’economia completamente circolare, questo non è tecnicamente possibile: c’è un limite pratico al volume di materiali che possono essere rimessi in circolo. Questo è dovuto in parte a vincoli tecnici, ma anche perché alcuni materiali vengono bruciati durante il loro utilizzo (si pensi ai combustibili fossili), mentre altri sono bloccati in scorte a lungo termine per molti anni, rendendoli indisponibili per il riciclo. Inoltre, i materiali che possono essere riciclati, come il metallo, la plastica e il vetro, possono essere riciclati solo poche volte, poiché ogni ciclo degrada la qualità e richiede almeno un po’ di materiale vergine. L’enorme volume di materiali che utilizziamo rappresenta una sfida: ci vorrebbe un’economia molto lenta per ridurre l’uso dei materiali ed eguagliare la nostra capacità di riciclo”.

Le strategie slow mirano infatti a mantenere i materiali in uso il più a lungo possibile, ad esempio attraverso la progettazione per la durevolezza e la riparabilità.

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16 soluzioni circolari

Il Circularity Gap Report analizza come si possano soddisfare i bisogni delle persone secondo i principi dell’economia circolare. Ne scaturiscono una serie di 16 soluzioni circolari modellate sui quattro sistemi globali già citati, responsabili della maggior parte delle emissioni e dei rifiuti globali: sistema alimentare, edilizia, prodotti e beni di consumo, e mobilità e trasporti.

Le soluzioni di economia circolare appartenenti a ciascun sistema contribuiscono solo ad una piccola riduzione dell’impatto ma, se combinate tra loro, possono dimostrare i benefici che un’economia circolare può avere a livello globale.

Il grafico che segue illustra l’effetto che le 16 soluzioni circolari potrebbero avere sull’inversione del superamento dei cinque confini planetari.

circularity gap report grafico
Dati e grafiche Circularity Gap Report 2023

Se l’economia circolare fosse implementata nei quattro sistemi globali succitati, l’estrazione di materiale vergine potrebbe essere ridotta di circa un terzo (34%): da 92,7 a 61,2 miliardi di tonnellate.

Le emissioni di gas serra potrebbero diminuire in misura sufficiente a limitare l’aumento della temperatura globale a 2 gradi; e soprattutto, l’attuale superamento dei cinque confini planetari potrebbe essere invertito.

Alla base di tutta l’analisi del Circle Economy vi è l’ipotesi che si passi completamente all’energia pulita. Ciò comporterebbe la trasformazione del mix energetico in modo che il 75% dell’elettricità attualmente alimentata da combustibili fossili (carbone, gas naturale e derivati del petrolio) si orienti sulle rinnovabili, eliminando gradualmente anche l’uso di combustibili fossili per scopi industriali (calore e vapore); con l’eccezione di industrie difficilmente abbattibili, come la produzione di acciaio e le attività di estrazione di combustibili fossili.

Anche la produzione alimentare globale può avvenire in modo circolare. Secondo lo studio, non sarebbe necessario sacrificare la resa dei raccolti per ridurre l’impatto ambientale, se i sistemi alimentari fossero concepiti su un ciclo chiuso dei nutrienti, e se la gestione dell’acqua fosse radicata all’interno di un sistema rigenerativo.

Modificare le nostre abitudini alimentari è però fondamentale: ridurre alimenti ad alto impatto, come la carne, e l’eccessivo apporto calorico, privilegiare cibi sazianti e sani con un minore impatto ambientale, spostando quindi le calorie da carne, pesce e latticini verso cereali, frutta e verdura. Senza dimenticare di abolire gli sprechi alimentari lungo la catena di approvvigionamento e a livello del consumatore, attraverso una migliore gestione del trasporto e dello stoccaggio, una maggiore refrigerazione e una pianificazione intelligente.

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Sabbia: la risorsa più utilizzata al mondo dopo l’acqua

Tra i quattro sistemi che inquinano di più quello che si fatica maggiormente ad associare all’economia circolare è forse l’edilizia. Eppure, il modo in cui edifici e infrastrutture vengono costruiti influenzerà la domanda di materiali e di energia non solo per la sua costruzione ma anche per la fase di utilizzo e ne decreterà il ciclo di vita.

“Gli edifici già in uso – dicono nel report – sono i principali responsabili delle emissioni di carbonio di quasi un terzo del consumo energetico globale. In tutto il mondo, la costruzione e la demolizione determinano quasi un terzo del consumo totale di materiali e generano una quantità analoga di rifiuti. In particolare, negli ultimi due decenni, l’aumento della domanda da parte dell’industria delle costruzioni ha fatto sì che l’estrazione di minerali non metallici, in particolare sabbia e ghiaia, triplicasse”.

Le attività a monte di questo sistema, come l’estrazione e la produzione di materiali da costruzione, sono processi ad alta intensità energetica che generano grandi quantità di emissioni di gas serra: la produzione di cemento contribuisce da sola a circa il 7% delle emissioni globali di CO2. Dopo l’acqua pulita, la sabbia è la risorsa più utilizzata al mondo.

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Le soluzioni per l’edilizia

Visto il dispendio di energia e di materiali, le soluzioni, per quel che concerne l’edilizia, punteranno su una maggiore efficienza e riduzione energetica e un minor uso di materiali, ad esempio con l’approccio “passivhaus”, quello della cosiddetta casa passiva. Anche qui è necessaria l’introduzione di soluzioni energetiche pulite: per esempio, approcci di riscaldamento e raffreddamento a basse emissioni di carbonio, come le pompe di calore. Privilegiare elettrodomestici ad alta efficienza energetica, lavaggi a temperature più basse e abbassare il termostato di qualche grado.

Inoltre, negli edifici esistenti sono già disponibili enormi quantità di materiali: l’invito è perciò sfruttarli al massimo, riutilizzando, riqualificando e ristrutturando con materie prime seconde. Dove si tratta di nuove costruzioni, si chiede di essere il più efficienti possibili con soluzioni urbanistiche che seguano i principi della progettazione circolare, in modo che gli edifici possano essere riutilizzati, riadattati o facilmente smontati in futuro.

Passare poi all’uso di legno lamellare a strati incrociati al posto di acciaio e cemento o ad altri materiali disponibili localmente può ridurre le emissioni.

Il report invita, infine, a utilizzare la costruzione modulare e dare la priorità a strutture e telai leggeri per ridurre l’uso di cemento e acciaio, nonché, quando possibile, ricorrere ai tetti verdi.

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