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lunedì, Maggio 20, 2024

Come sopravvivere alla crisi climatica: giornalismo e attivismo alla ricerca di soluzioni

Di fronte alla crisi climatica giornalismo e attivismo ambientale sono sempre più attenti a raccontare le esperienze positive e le soluzioni. Perché la denuncia è necessaria ma non sufficiente: chi vuole migliorare la società deve indicare anche le vie per arrivare al cambiamento

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Raccontare il cambiamento climatico e la sostenibilità in maniera costruttiva, cercando soluzioni ai numerosi problemi ambientali e di equità del pianeta Terra sta diventando una priorità, sia per le ong del settore sia, soprattutto, per il sistema mediatico. Finora, infatti, l’emergenza climatica è stata affrontata sottolineando verso quali pericoli andavamo incontro con il riscaldamento globale: ondate di calore, siccità, alluvioni. E ciò ha perfettamente senso, perché è l’allarme lanciato dagli scienziati in base agli studi sul clima.

Accanto alla cattiva notizia, però, c’è una buona notizia: il cambiamento climatico può essere contrastato e spesso c’è una soluzione ai problemi. È la scienza a indicare quali azioni concrete possano scongiurare il pericolo di arrivare a un punto di non ritorno, ma anche le prese di posizione della scienza vanno analizzate con competenza e spirito critico. Serviranno cambiamenti radicali in tutti i settori dell’economia globale: dall’energia ai trasporti all’agricoltura fino alla finanza. E il sistema mediatico stesso è chiamato a trasformarsi, perché dovrà analizzare i problemi e confrontare le soluzioni proposte, misurarne gli effetti e coinvolgere la cittadinanza in questi processi, formando e informando correttamente le persone.

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Giornalismo costruttivo sulla crisi climatica

Nell’era della complessità comprendere i retroscena, fare inchiesta e saper valutare interessi e contro-interessi in campo è fondamentale. Ma accanto a questa irrinunciabile attività, i media devono ampliare il loro punto di vista: non pensare solo ai problemi, ma riservare maggior copertura mediatica alle soluzioni nella massima indipendenza di giudizio e trasparenza rispetto alle loro fonti di sostentamento e a eventuali conflitti d’interessi. C’è sempre più bisogno, insomma, di giornalismo costruttivo, come da tempo teorizzano tante e tanti esponenti del mondo dell’informazione. Fare giornalismo climatico orientato alle soluzioni può apparire un’impresa titanica, vista l’enormità dei problemi: ma permette anche di aiutare chi legge, guarda o ascolta nel comprendere cosa può essere fatto. La maggior consapevolezza dei cittadini, come dimostrano ad esempio le recenti inchieste sul greenwashing, è l’arma migliore per far pressioni sui governi e sull’industria stessa e cambiare il corso degli eventi.

Con una precisazione importante, come si legge nel documento “Climate Solutions Reporting Guide”, dell’associazione Covering Climate Now, che collabora con i media per favorire la produzione di contenuti informati e rigorosi sulla crisi climatica: “Segnalare soluzioni non significa minimizzare i pericoli, addolcire i fatti o schierarsi apertamente per l’una o l’altra soluzione. Significa raccontare l’intera storia sul cambiamento climatico e aiutare il pubblico e i politici a prendere in futuro scelte informate sapendo cosa funziona e cosa no”.

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Giornalismo ambientale delle soluzioni e metodo scientifico: il vademecum

Insomma, la professionalità e la deontologia dietro al lavoro del giornalista costruttivo è la stessa. Intervistare scienziati, analizzare studi e documenti, verificare la veridicità e la solidità delle fonti, mantenere l’obiettività nel raccontare i fatti. In questo il giornalismo ambientale è vicinissimo al metodo scientifico: avanza per prove ed errori alla ricerca delle soluzioni e una volta individuata una, la sottopone a una severa analisi di peer review per metterla alla prova, scoprire eventuali debolezze. Fare giornalismo ambientale in maniera costruttiva, tuttavia, ha le sue specificità e ci sono alcuni consigli per farlo nel migliore dei modi, come spiega il Constructive Institute, associazione danese per la promozione del giornalismo costruttivo, che ha stilato una sorta di vademecum.

Per prima cosa, “il cambiamento climatico non va raccontato solo in termini negativi di rischio estinzione, ma sottolineando la possibilità che noi abbiamo di decidere come sarà il nostro futuro”. Alla base, l’idea che anche per problemi complessi, l’innovazione e le soluzioni sono alla portata di tutti e spetti al giornalista evidenziarlo. E un cambio di prospettiva: “Cerca il punto di vista climatico in ogni storia: quando scrivi di politica, di economia o migrazioni. E fai esempi concreti vicini a te. Un esempio virtuoso locale piuttosto che uno planetario. I lettori si sentiranno più coinvolti dal tema”.

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Tante inchieste costruttive sui temi ambientali

Del resto, soluzioni tecnologiche alla crisi climatica si trovano ovunque. Basta cercare le storie e saperle raccontare. Così, per fare alcuni esempi, tra le migliori inchieste costruttive elencate dal Solution Journalism Network c’è il racconto di come un semplice ed efficace sistema di gestione dell’acqua piovana ha trasformato la vita in un villaggio in India colpito da siccità o come i semi di mais resistenti alla siccità possano contribuire alla sicurezza alimentare della Nigeria, fornendo nel dettaglio tutte le informazioni necessarie agli agricoltori per coltivarli.

Spesso, soluzioni tecniche innovative possono essere applicate in altre zone del mondo con un problema analogo: il progetto di Rotterdam, analizzato dalla giornalista Zuza Nazaruk, per contrastare l’innalzamento del livello delle acque è un’esperienza che, inevitabilmente, sarà utilissima alle altre nazioni a rischio inondazione. Partendo dalla notizia di come le comunità afroamericane in Florida siano colpite dall’inquinamento dalla combustione delle canne da zucchero, la giornalista Nadia Sussman ha concluso la sua inchiesta parlando di una soluzione efficace al problema trovata in Brasile.

E, infine, quale contributo possono dare la società civile e le comunità locali alla lotta al cambiamento climatico? David Sands, invece di fotografare solamente le devastazioni delle inondazioni nel Midwest, ha preferito raccontare i casi di resilienza e il modo in cui le comunità si siano attivate per rispondere a futuri cataclismi climatici. Su EconomiaCircolare.com l’obiettivo è lo stesso: abbiamo dato risalto con una serie di inchieste alle comunità energetiche e alle città circolari o raccontato come i cittadini si attrezzano per creare sistemi di economia circolare più efficaci rispetto a quelli lineari e consumistici in ogni ambito: dal riutilizzo degli imballaggi fino a soluzioni circolari nella cultura. Nella speranza di piantare un seme e che altri cittadini e sempre più aziende decidano di seguire i buoni esempi.

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L’attivismo ambientale propone soluzioni

In Italia c’è una rete di professionisti del settore dell’informazione, il Constructive Network, composto da oltre 150 addette e addetti ai lavori, la cui portavoce è la giornalista da Assunta Corbo: una rete che quotidianamente pratica il giornalismo costruttivo e ne diffonde i principi, anche attraverso la testata giornalistica News48.it. Tra i fondatori del network c’è Marco Merola, giornalista e divulgatore scientifico: con il progetto “Adaptation”, in collaborazione con il film-maker Marco Barretta, realizza mini-documentari in cui racconta la questione climatica andando a cercare le soluzioni tecnologiche e sociali che si stanno realizzando in Italia e nel mondo.

Dando grandissima attenzione alla dimensione locale, parla di come un depuratore possa cambiare radicalmente un’ecosistema nella Pianura Padana, di innovativi sensori che hanno scongiurato i pericoli conseguenti alle frane o permettono di sfruttare l’acqua piovana a uso agricolo e, infine, dà voce a chi si impegna quotidianamente, col proprio lavoro, nella gestione delle emergenze: i “guardiani” dei ghiacciai in Piemonte, i climatologi o chi monitora l’innalzamento dei corsi d’acqua per prevenire le alluvioni.

L’approccio costruttivo per cercare le possibili vie d’uscita oltre all’attività di denuncia sta diventando centrale per le stesse attiviste e attivisti climatici. I casi da citare sarebbero parecchi. Solo per fare alcuni esempi internazionali, il lavoro del Circularity Gap Report, in cui i planetary boundaries (i limiti planetari, nda) dello scienziato Johan Rockström sono stati interpretati in chiave costruttiva, dimostrando come soluzioni di economia circolare possano contribuire a non oltrepassarli. Il Global Footprint Network ogni anno calcola l’Overshoot day, ma sul sito ha anche una sezione dedicata alle soluzioni e alle buone pratiche per consumare meno risorse.

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Non c’è soluzione senza equità e sostenibilità

Come emerge dalla ricchezza di esempi citati, parlare di giornalismo e attivismo delle soluzioni sui temi ambientali, in ultima analisi, significa considerare la sostenibilità in un quadro più ampio, che dal giornalismo arriva fino alla politica e alla visione del mondo, nella convinzione che non possano esserci vie d’uscita senza la difesa dell’uguaglianza e dell’equità. Soluzioni di economia circolare sono possibili solamente se si ha una certa visione della società, fondata sulla condivisione e sulla collaborazione.

La crisi climatica richiede interventi particolarmente urgenti a tutela di coloro che subiscono in maniera sproporzionata gli effetti. Persone con reddito più basso, minoranze etniche, popolazioni indigene, donne, bambini e future generazioni hanno contribuito in maniera marginale all’inquinamento che è la causa del riscaldamento globale, eppure pagano maggiormente le conseguenze e gli impatti negativi perché hanno meno risorse per affrontarle. La soluzione, prima di tutto, è una questione di valori.

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